Scoperchiate le tombe, sono tornati i SAINT VITUS

È sempre difficile per me parlare con obiettività dei Saint Vitus, uno dei gruppi più grandi di sempre in ambito metal tutto. Ma converrete con me che, pure a tutti quegli anni di distanza dall’ultimo album in studio, Lillie: F-65 era una fottutissima bomba, e non uno di quei dischi che sì, son belli ed entrano nelle playlist e poi chi s’è visto s’è visto: era proprio allo stesso livello perfino di alcuni classici o quasi. Sembrava quasi che non fossero passati più di vent’anni da un Mournful Cries o un V.

Una volta mi fermai a bere una birra con Dave Chandler quando i Vitus vennero a Cracovia e gli chiesi: “Sì, ma il nuovo album?”, e lui rispose in maniera molto vaga: “Vedremo”. Quel giorno è arrivato, e, dopo le abbondanti anticipazioni, abbiamo l’album completo, intitolato Saint Vitus.

Le anticipazioni erano spettacolari, ed in questo scarsissimo 2019 facevano intendere chiaramente come i californiani avrebbero vinto a mani basse la questione album dell’anno. Quest’anno non è uscito nulla che mi abbia spinto all’ascolto più di una o due volte, senza poi essere abbandonato e mai più ripreso. Non mi aspettavo granché nemmeno dagli Enforcer, ad essere onesto, anche perché il penultimo From Beyond era sì bellino, ma si intravedeva già un calo che nulla lasciava sperare per il futuro, e infatti il nuovo album è una cagata puzzolente.

Ma questo Saint Vitus è come tornare a casa dopo una merdosissima giornata di lavoro, e stapparsi una birra, poi due, poi tre, eccetera.

Il compito vocale è stavolta affidato a Scott Reagers, ormai stabilmente in formazione da qualche anno, che da bravo veterano coglie la palla al balzo e ci fa capire che in certi casi gli anni non passano. Il suo timbro evocativo è sempre un marchio di fabbrica, un’inimitabile garanzia. I riff sono mostruosi e c’è persino il pezzo autocelebrativo (Wormhole), il cui testo è composto da titoli di loro classici. Le anticipazioni 12 Years in the Tomb, Bloodshed e Useless (qui posta in chiusura, il pezzo più violento mai scritto da Chandler & co.) non retrocedono in cazzimma di un millimetro e si vanno ad aggiungere a roba come l’allucinante Last Breath, sei minuti di psicopatia pura e riff da far accapponare la pelle. Un disco diverso dal precedente, come possono essere quelli con Wino rispetto a quelli con Reagers, in cui il cantato fa davvero la differenza in termini di stile ed espressività, e che crescerà di sicuro ad ogni ascolto fino a diventare un altro possibile classico della discografia dei nostri.

Non posso nemmeno dire che ci voglia tempo per apprezzarlo, perché i Saint Vitus o li si apprezza subito o nulla, con i loro tipici marchi di fabbrica fatti dalle divagazioni allucinate di David Chandler con il suo onnipresente wah wah o la lentezza esasperante dei loro pezzi, che fanno sempre pensare ad un cimitero di campagna abbandonato nel cuore della notte.

Una bomba dall’inizio alla fine, insomma. Aspetto chi riuscirà a scalzarli dal podio, ma a questo punto ci vorrebbe davvero uno sforzo sovraumano. (Piero Tola)

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