Coloro che non appartengono a Gesù: secondo speciale sul thrash brasiliano
Esattamente quattro anni fa usciva su Metal Skunk un mio pezzo sul thrash brasiliano anni Ottanta. Intendeva essere un’espansione della recensione del capolavoro d’esordio dei Sarcofago, oltre che un piccolo omaggio a quel monumento corrispondente al nome di Cogumelo Records. La cosa si ramificò ulteriormente e superò i confini verdeoro allorché scrissi d’altre band sudamericane, citando moniker sopraggiunti da paesi sparsi in quell’articolo denominato Coppa Libertadores. Poi mi occupai dei Dorso e di qualche altra realtà misconosciuta, e chiusi parentesi.
Siccome quattro anni sono tanti, e siccome il mio entusiasmo per il thrash metal di quelle regioni è una fiamma non destinata a spegnersi, è arrivata l’ora di ravvivarlo facendo menzione di alcuni ghiotti nomi che proprio adesso mi sovvengono, o che, nelle settimane precedenti, avevo stabilito d’approfondire con voi. Stavolta, però, uscirò parzialmente da quella acclamata e nostalgica linea temporale, e tirerò in ballo anche uscite recenti. Si parte.
Gli Andralls sono una sorta di fucina per l’area di San Paolo, nel senso che dal loro calderone fuoriesce un po’ di tutto. Li paragonano ai Sepultura per via del vocione di Alex Coelho, sorprendentemente efficace e, mantenendo le dovute proporzioni, in un certo senso paragonabile a quello di Max. Debuttano nel 2000 e consolidano la propria attività tre anni più tardi con un thrash metal assai moderno, una risposta coerente a quel che parallelamente girava in Europa: zero tecnicismi, un ritorno alla velocità esecutiva, pochi fronzoli e un suono relativamente attuale. Il gruppo ha una discreta personalità e si mantiene attivo fino al 2013, poi una pausa riflessiva lunga un biennio. A quel punto nessuno resta inattivo: Coelho permetterà ai Lama Negra di debuttare a tempo considerato scaduto, mentre il batterista Alexander Brito finirà addirittura in Europa, alla corte dei Nuclear Warfare, per le registrazioni di Empowered by Hate. A dispetto degli esordi preferisco gli Andralls di Inner Trauma, terzo sigillo del 2005, sonoramente più secco e tagliente e riportante taluni echi di Slayer che male non fanno mai.

Andralls
Decisamente più serioso è il tono dei connazionali Hammurabi, che con gli Andralls condividono il chitarrista Guilherme Goto, fresco d’ingresso in entrambe le formazioni. E pure in altre, ci arriveremo presto. The Extinction Root è uscito quasi quindici anni fa, ed è una trasposizione moderna dei concetti minimali espressi da Wagner Lamounier all’epoca dei primi e chiacchieratissimi fattacci. Lo stesso Daniel Lucas al microfono non prende particolarmente le distanze dal maestro, al contrario delle chitarre, che rinforzano la sezione solista e il carico melodico con armonizzazioni e passaggi ben curati. Tutto è dunque giocato sui contrasti, e il gruppo si ritrova a dover gestire le due anime, non senza qualche difficoltà, negli otto minuti di A Land Forgotten in Hell, debitrice di quel trasformismo in corso d’opera tipico dei nostrani Mortuary Drape.
Dopo due dischetti carini è ora che vi faccia capire che c’è del buono qua dentro. Gli Executer, sempre da San Paolo, sono attivi da una vita ma hanno concentrato la quasi totalità della loro discografia nel nuovo millennio. Nel 1991 riuscirono però a pubblicare Rotten Authorities su Heavy Metal Maniac, la stessa di Wicca dei Mystifier. Poi scomparvero per un decennio buono, lasciando l’amaro in bocca ai tre gatti che li conoscevano e promuovevano. L’album sfoggiava una copertina goduriosa, ritraente un politicante obeso e circondato dai suoi vizi e demoni. Il suono era corrispondente al fuoco di un mitragliatore, dal tiro pari o non inferiore a Torment in Fire dei Sacrifice e a certe cose dei Sadus per estremismo e causticità invocati. Oltre a questo riecheggiavano gli episodi più tirati di Exodus e Dark Angel per l’ossatura dei pezzi e per quel trait d’union per certi versi invisibile con la scena della West Coast. Ritornati nel 2003 con la complicità del fresco Psychotic Mind, si ripresentano con Juca in condizioni più che accettabili, una sorta di Ingo brasiliano, e con un suono un po’ dominato dalle frequenze basse che successivamente sarà corretto in Welcome to Your Hell. L’ultima loro uscita discografica compirà presto dieci anni: altri otto e va portata a troie.

Korzus
I Korzus attaccano l’ultimo Legion con un thrash metal maturo che paragonerei a certi ritmi marziali dei Nevermore di Dreaming Neon Black, se non addirittura ai Forbidden più stravaganti di metà Novanta. È un incipit a dir poco fuorviante. Un attimo dopo sostituiscono il tutto con una velocità spasmodica, schiacciano l’acceleratore e ci mettono un mattone sopra. Ignoravo che esistessero ancora. Fino a ieri ero consapevole dell’esistenza di Mass Illusion del 1991, una sorta di thrash/death tecnico alla Hellwitch, e del suo sfortunato e poco chiacchierato predecessore del 1987, Sonho Maniaco, un gioiellino di minimalismo brasiliano cucinato e impiattato come il minimalismo brasiliano in ambito thrash metal merita. Recuperate per primo quello, poi semmai il resto, poiché la loro discografia comincia inaspettatamente a rivelarsi ampia e meritevole di una zelante ripassata.
Sempre da San Paolo approfondiamo i Lobotomia, la cui pasta è tutta un’altra rispetto agli ingredienti trattati oggi. Extincao e Desastre i due album recenti, il secondo dei quali caratterizzato da un tono piuttosto serioso. Se si scova nel passato dei Lobotomia, e io ero al corrente di quello soltanto, escono fuori l’omonimo del 1986 e il bellissimo Nada é como parece! del 1989, noto come l’album di thrash metal brasiliano che comincia con un rutto fragoroso. L’hardcore punk che caratterizza tutta la loro produzione è già leggibile fra le righe; l’andamento della title track ricorda Death Trap dei Destruction e più in generale un retaggio attinente allo speed metal di metà decennio. I titoli sono meravigliosi, da Penso, Logo Desisto a Drugs passando per Manicomio. Se preferite le produzioni low-fi tipiche dell’epoca – e siete attratti da un minimalismo pressoché totale – buttatevi comunque sul primo album e statene certi: lo preferirete. Caio Flavinho che grida Lobotomia!!! al termine del pezzo d’apertura è tanto godurioso quanto Pussy Ripper che abbaia al termine di Psychoneurosis dei Sextrash. Loro non li metto in lista: già stavano nel pezzo precedente assieme a Chakal, Holocausto e tant’altro. Guilherme Goto di Andralls e Hammurabi è pure qua, unico brasiliano a non temere la disoccupazione pur risultando attivo in uno dei settori lavoratori più precari al mondo: l’heavy metal.

Mutilator
In chiusura i Mutilator, un classico. Uno di quei gruppi che prima si chiamavano in un modo e poi in un altro, tipo i Kreator che in origine erano i Tormentor. Cominciata la carriera come Desaster (chi non si è chiamato così per almeno un annetto?) i Mutilator arrivano al debutto nel 1987, guarda caso su Cogumelo Records, con l’aggressivo Immortal Force, un album con la spocchia d’attaccare alla Hell Awaits – i giri di basso di Ricardo Neves sono eloquenti in tal senso – per poi farci godere e basta, al netto di sporadici paragoni di cui non c’importa più niente. Esiste anche un figlio maturo di quell’album, Into the Strange, pubblicato sempre da Cogumelo nel 1988. Il senso di progressione è lo stesso percepibile nel passare da I.N.R.I. a Rotting. Bella roba, ad ogni modo: e nessuno che si sarebbe mai messo una t-shirt con su scritto che appartiene a Gesù Cristo. (Marco Belardi)
