FIRENZE METAL @Viper Theatre – 10.02.2024

L’ultima volta era accaduto a novembre, a due passi da una Campi Bisenzio sfigurata dall’alluvione. Ieri notte, non posso fare a meno di pensarlo, la pioggia ha nuovamente ricoperto un ruolo da protagonista: inizio a pensare che Firenze Metal e le più copiose precipitazioni siano in qualche modo collegati. Il parcheggio del Viper Theatre alle diciannove in punto assumeva un aspetto surreale. Poche macchine e nessuno dal paninaro, almeno così sembrava. In realtà erano tutti a mangiare negli abitacoli, con le luci interne accese e qualche autoradio che sparava sodo. Ho riconosciuto Cross the Styx, tanto per rimanere in tema con la serata.

Stavolta l’argomento era pressoché omogeneo, il death metal in svariate sue forme con rare concessioni al suo esterno. Il che mi ha profondamente smentito, allorché ebbi attribuito alla varietà delle edizioni passate il suo risaputo successo in termini d’affluenza. Anche stavolta è andata benone, con un numero di paganti presumibilmente oltre le seicento anime e un Viper Theatre non pieno zeppo come per Yngwie Malmsteen, ma piacevolmente gremito.

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Sinister Ghost – Ph: Marco Belardi

All’inizio non sembrava affatto così, fra ritardatari, pigri per la pioggia e gente asserragliata nella Fiat Punto a inghiottire panini con la salsiccia. Gli schermi pubblicizzavano a gran voce la data ventura del 27 aprile, solita location, protagonisti Extrema, Novembre e un paio di TBA che – hanno promesso gli organizzatori – riguarderanno anche una slot in alto nella scaletta. Spero con tutto me stesso che riusciranno a portare i Messa a Firenze: perché sono uno dei gruppi italiani del momento, perché voglio vederli e perché loro devono rivedere Firenze. Il regalo di oggi si chiamava tuttavia Fulci, già al CPA di via Villamagna qualche tempo addietro e oggi collocati in una situazione di maggiore e meritata visibilità.

I Sinister Ghost hanno iniziato il festival nel migliore dei modi. Non tutti saranno all’altezza e si registrerà qualche insolito passaggio a vuoto. Ma la prima cannonata, diciamo, è andata adeguatamente a segno. Il loro è un miscuglio fra black metal, gothic metal e qualcosina di quel presunto death metal mainstream caro ai Behemoth riflessivi di The Satanist. Poca velocità, altrettanti tecnicismi, una grande atmosfera e in sostanza un gruppo che mi prometto d’approfondire su disco. Il cantante è un classe 2000 e tiene il palco con spiccata presenza scenica e carisma. Da rivedere semmai qualche cliché abusato nel tempo, come le classiche paginate di Bibbia strappate e lanciate al pubblico. Il loro look vampiresco mi ha riportato indietro nel tempo alla prima volta in cui, sempre a Firenze, al Tenax, vidi dal vivo i Cradle of Filth. È un modo di porsi rischioso, perché gioca a metà fra lo scenografico e la baracconata, e sbagliare pochi ma significativi elementi rischierebbe di spostare il tutto in direzione della seconda. Loro ad ogni modo hanno sbagliato pochissimo: promossi, nel look e nella tenuta del palco così come nella resa sonora. Nota: nella seconda metà della scaletta è stato ospitato alla voce Danny Metal, l’influencer e batterista degli Slug Gore.

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Deviation – Ph: Marco Belardi

I Deviation sino a qualche anno fa si chiamavano Disboskator. Il loro cantante suona ora la chitarra nei Suicidal Causticity, anch’essi fiorentini. Che cosa è successo nel frattempo? I Disboskator hanno preso alla voce il cantante degli stessi e mutato il nome in Deviation, in uno di quei rimpastoni anagrafico-organizzativi che la scena locale ci ha abituato a sorbirci dai tempi dei tempi, oserei dire da metà anni Novanta, col boom locale del power metal. Trovo questo aspetto godurioso: certi gruppi, in taluni casi, anziché scoppiare in una deflagrazione fatale si assestano e si adattano, e, in qualche maniera, vanno avanti per la loro strada. La loro proposta mi ha ricordato in certi frangenti quella dei toscani Subhuman, in una versione più scarica e esemplificata. A dire il vero mi sono tornati a mente persino i Deviation della East Coast, un gruppo semisconosciuto che incise un dischetto intitolato Last Chance to Fly, un nome una premonizione, in piena era di declino del techno-thrash. Era il 1992, il 1993 o qualcosa del genere. I nostri Deviation hanno nel chitarrista Davide Puliti e nel frontman Nikolas le proprie figure cardine. Il primo tiene il palco magnificamente, mossettine anni Ottanta un po’ come accaduto con Ziro dei Game Over allo scorso Firenze Metal, maglietta degli Annihilator indosso e chitarra a punto: impossibile chiedere di più. Musicalmente, nonostante la proposta fosse alle mie orecchie favorevole, non mi hanno impressionato né deluso.

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Gory Blister – Ph: Marco Belardi

I quattro gruppi che hanno proseguito lo svolgimento del festival erano tutti veterani, o quanto meno conosciuti. Sono incredibilmente affezionato ai Gory Blister, sebbene debba ammettere d’essere affezionato al loro disco di debutto Art Bleeds, preso all’uscita, e a nient’altro. All’epoca con Gory Blister, Node e Coram Lethe era come se il death metal italiano stesse vivendo una sua rivisitazione di quello tecnico e sofisticato all’americana. La furberia di Art Bleeds risiedeva nell’essere allo stesso tempo affine ai tecnicismi dal brevetto a stelle e strisce, e di alternarli a una linearità dai tratti quasi thrash metal. Il che era perfetto per il sottoscritto. Avendoli visti dal vivo in quegli anni, mi sono reso conto che l’unico reduce di quella formazione è Raff Sangiorgio alla chitarra. Al suo fianco Paolo Quaglia, ottimo alla voce, e un bassista di quelli che adoperano lo strumento a sette, otto o chissà quante corde. Il manico del basso dei Gory Blister cominciava in provincia di Firenze e si estendeva, in larghezza, sino a quella di Prato. Rispetto ai gruppi precedenti è emerso inoltre un salto generazionale: ingrigiti, un po’ tutti in sovrappeso, ma i gruppi che si sono formati negli anni Ottanta e Novanta hanno e continuano a avere un qualcosa che gli attuali non hanno. Chiamateli attributi, chiamatela esperienza. Non so precisamente che cosa sia, ma l’abbiamo presente un po’ tutti e non è raro che ricorra in un festival anagraficamente misto. Datemi retta, recuperate Reborn From Hatred dell’anno scorso. Non ne ho parlato, e ne ho completamente mancata l’uscita, ma è davvero interessante.

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Hour of Penance – Ph: Marco Belardi

Al termine del loro concerto si smontava la batteria e se ne montava un’altra, di proporzioni aumentate. Lo sgabello era destinato a Giacomo Torti, delle cui abilità ero al momento ignaro. Ma non solo: al termine del loro concerto la folla nelle prime file cominciava a intonare in coro per minuti interi In the End dei Linkin Park, quasi ci fosse stato un malinteso. Gli Hour of Penance sono stati con certezza la band più estrema e oltranzista delle sei, un death metal capace a tratti di ricordare i Nile per certe atmosfere e molto di meno i Fleshgod Apocalypse per una velata modernità di fondo, oltre che Hate Eternal e Vital Remains per la pesantezza disseminata lungo tutte le composizioni presentate. Un muro di suono, come si suol dire. Il batterista è uno schiacciasassi, come Derek Roddy allorché mise il proprio servizio a disposizione dei Nile in qualità di turnista: non un cedimento, non uno. Seguendoli dagli esordi e avendoli visti dal vivo in un’altra epoca, proprio come i Gory Blister, ho constatato anche nel loro caso che stavo osservando tutta un’altra band. Il chitarrista Giulio Moschini sono però sicuro ci fosse anche allora. Nonostante la presentazione di un brano inedito e una capacità esecutiva che oserei definire totale, il loro show mi è parso un po’ ostico per motivi che riconduco soprattutto ai gusti personali. Sono per la vecchia scuola, sono contrario all’abuso dei blast beat nel death metal e un’ora di Hour of Penance a un metro di distanza è stata una prova non facilissima da superare. C’è death metal e death metal, e c’è il grindcore, e in un certo senso nei confini del metal più estremo l’eterogeneità tipica del Firenze Metal l’abbiamo ritrovata in dettagli come questi: io avrei preferito in tutto e per tutto la proposta dei successivi Fulci, che aspettavo da anni.

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Fulci – Ph: Marco Belardi

Nel frattempo alle transenne ci giriamo tutti indietro per capire se qualche stronzo stia pogando con la pinta in mano, perché ci arriva di tutto addosso: no, è un’infiltrazione dal tetto, perché sta ancora diluviando.

Il caso Fulci è destinato a far parlare di sé. Un po’ come per i Sanguisugabogg, per certi versi similari, o i più tecnici Blood Incantation, nelle ultime annate abbiamo assistito all’ascesa di gruppi death metal che lentamente si sono trasformati in veri e propri fenomeni di massa. Dietro a tutto questo c’è stata una capillare gestione delle risorse social a fini promozionali, il prendere un pretesto e lanciarlo come esca a una massa di metallari che vuole rivivere ad ogni costo il contatto con un gruppo carismatico, conosciuto, famoso. I Fulci li ho conosciuti con Tropical Sun, buon motivo per cui alla presentazione di Eye Full of Maggots sono quasi capitolato con la schiuma alla bocca. Aspetti negativi di questo concerto? Ero a fotografare, come al solito. Apro dunque parentesi: i gruppi metal hanno l’abitudine del cazzo di voler suonare al buio, in pieno controluce o altre situazioni assai sfavorevoli per i fotoamatori. Il contesto estremo di cui si permeava questo Firenze Metal abbassava ulteriormente le luci allineandole al carattere cupo delle musiche. Alcuni mesi fa tirare fuori un ragno dal buco con i Mortuary Drape era stato arduo, e ben comprendo la loro necessità di ricreare un habitat degno della messa più nera. I Fulci hanno messo di lato al palco due led verdi alti un metro e mezzo simili a un neon per concentrare tutto l’interesse sullo schermo retrostante, in un continuo omaggiare il regista italiano con grafiche create ad hoc e scene tratte dai suoi film più celebri, su tutte l’incredibile trashata della lotta fra lo squalo e il morto vivente in Zombi 2. I Fulci erano a un metro da me e a malapena li ho visti: si sono esibiti col batterista e una seconda chitarra oltre ai tre membri stabili, e hanno dei brani pazzeschi. Se lo stato dell’Ohio può andare fiero dei Sanguisugabogg, al netto della mediaticità dell’interesse calamitato su di loro, noi dobbiamo fare altrettanto coi Fulci poiché lo spettacolo che inscenano voi non lo vedete, e tanto meno lo fotografate, quasi foste seduti al cinema, ma è incredibile. E ieri il locale sono sicuro si sia riempito grazie a loro, in particolar modo, con un livello di affluenza al merchandising che non ho visto alle altre bancarelle. Anche perché i calzini griffati Fulci li vendevano i Fulci, e nessun altro.

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Cripple Bastards – Ph: Marco Belardi

A chiusura i Cripple Bastards, altra band che avevo già ammirato dal vivo più o meno da ventenne. In attesa di titoli come Italia di merda, Morte da tossico e Misantropo a senso unico, l’unico sbaglio dei veterani grindcore (sempre meno hardcore e sempre più metallari man mano che passava il tempo) è stato quello di abbassare sensibilmente la voce di Giulio all’improvvisato soundcheck pre-concerto. Il che ha sputtanato dei suoni che nel soundcheck erano stati pressoché perfetti, con le chitarre riapparse altissime e un pelino zanzarose un attimo più tardi. Il Firenze Metal era cominciato con tre quarti d’ora in ritardo, presumo per la scarsa affluenza all’orario presunto di apertura dei cancelli. Ciò ha implicato, in un certo senso, il medesimo grado di cottura a vapore nei soggetti che come me hanno oramai sforato con l’età ben oltre il livello di sostenibilità di cinque ore di martello pneumatico da un orecchio all’altro. Non posso dire di essermi goduto a pieno il loro concerto, ma ho certamente goduto nel rivedere Giulio the Bastard invecchiato benissimo, seppur cinquantenne, con gli occhi posseduti dalla convinzione e gli stessi atteggiamenti invasati di una volta, quelli che, non appena li vidi, mi fecero pensare si trattasse del Mark Greenway in formato tricolore. Der Kommissar, ancora lì, e Schintu al basso, anch’egli ancora lì, imbiancato e tutto preso nel soundcheck a giocherellare col giro portante di Bloodline degli Slayer. Rivedere i Cripple Bastards anche se con un occhio chiuso è stato come riallacciarmi a una linea temporale che in passato ho avuto la fortuna di godermi. Grazie per lo spettacolo, e per quel che riguarda il Firenze Metal, che l’offerta sia una o l’altra, la certezza è che a Firenze i metallari ci sono e hanno fame di concerti. Non solo di panino alla salsiccia nella Fiat Punto mentre fuori diluvia. Ci rivediamo a aprile. (Marco Belardi)

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