Avere vent’anni: EVANESCENCE – Fallen

Come più o meno chiunque, ero venuto a conoscenza degli Evanescence a causa del video di Bring me to Life, che le emittenti musicali dell’epoca ci fecero subire fino alla nausea. A quel tempo spuntavano come funghi gruppini e gruppuscoli che cercavano di sfruttare le ultimissime recrudescenze del nu metal o che provavano a reinterpretarne moduli e fisime in modo personale. In un contesto simile, quel video, con una svenevole Amy Lee in camicia da notte che duettava con un tizio a caso coi capelli a spazzola, non lasciava sperare in alcunché di promettente. Il successivo singolo, My Immortal, una ballatona con pianoforte corredata di video con Amy Lee sdraiata sullo stesso pianoforte, di sicuro non migliorava la situazione. Lasciai così da parte gli Evanescence e quasi mi dimenticai di loro. Mi toccò poi di intervistare Amy Lee durante la data romana del loro tour, peraltro insieme a uno Stefano Greco che all’epoca non conoscevo e che scriveva per un’altra testata, e fui sorpreso di ritrovarmi davanti non la solita sgallettata messa dietro al microfono per l’aspetto e la voce ma una ragazza molto gradevole e per nulla stupida. Ma ciò non valse a farmi riprendere in mano Fallen.

Poi arrivò il 13 novembre 2005. Guardavo quintalate di wrestling all’epoca, e quel giorno specifico ero fomentatissimo per l’arrivo di Christian in TNA, vale a dire il primo lottatore WWE di livello che passava alla piccola ma agguerritissima federazione concorrente. Quando Christian finalmente entrò nell’arena rimasi colpito dalla sua musica d’ingresso, che poi scoprii essere una versione strumentale di My Last Breath, penultimo pezzo di Fallen. Da lì andai a sentirmi bene l’album e capii di essermi perso qualcosa.

Ora non vi dirò che Fallen è un capolavoro incredibile o che è un disco perfetto, perché non lo è. Anche andando a rileggere le dichiarazioni della band è chiaro che in studio l’atmosfera non doveva essere molto tranquilla. Da una parte il contrasto acceso tra i due fondatori e compositori, il chitarrista Ben Moody e la cantante Amy Lee, con il primo che puntava a scrivere singoloni piacioni e la seconda legata a sonorità più aggressive; dall’altra le perplessità della casa discografica, a cui il concetto di cantante donna in un gruppo “metal” non andava giù al punto da spingere per far cambiare la formazione o quantomeno per inserire una seconda voce maschile, e qui il compromesso fu il duetto di Bring me to Life, che originariamente prevedeva la sola Lee al microfono.

Insomma, un bel casino. Fortunatamente, al netto di probabili esaurimenti nervosi e sfuriate violente tra gli interessati, l’equilibrio stilistico che ne uscì fuori funzionava. Niente di clamoroso, ripeto, però sempre piacevole da risentire ogni tanto. La migliore rimane proprio My Last Breath, anche nella versione cantata, ma la maggior parte degli undici pezzi del disco è decisamente orecchiabile. Amy Lee ha un timbro abbastanza particolare, pur non avendo una gran voce in senso assoluto, il resto del gruppo fa il suo dovere, gli arrangiamenti sono sufficientemente curati, i testi sono molto meno cretini della media del genere (Everybody’s Fool mi viene sempre in testa quando vedo, non so, la Ferragni) e il tutto è prodotto e confezionato esattamente come dev’essere. Purtroppo all’epoca gli Evanescence, quantomeno in Italia, furono loro malgrado invischiati nella polemica su chi fosse meglio tra loro e i Lacuna Coil, gruppo che non c’entrava nulla e che aveva altre premesse e altri obiettivi; questo, unito all’immagine eccessivamente goticona dei suddetti video, fece in modo che molti metallari evitarono di dar loro anche una minima occasione. Come accadde anche a me, del resto. Però sarebbe giusto riconoscere a Fallen la dignità che merita. (barg)

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