L’ultimo recuperone 2022: GRAND BELIAL’S KEY e HATE FOREST

Dopo 17 anni dall’ultimo lavoro Kosherat e 14 dall’ultima fatica discografica (il 3-way split Weltenfeind con Absurd e Sigrblot) ritornano i veterani statunitensi GRAND BELIAL’S KEY con quello che, al netto di split, EP e partecipazioni varie, risulta essere appena il quarto full length in una carriera in corso dalla bellezza di 31 anni. A mio modo di vedere le cose, gli americani capitanati dal chitarrista e principale compositore Gelal Necrosodomy sono uno dei gruppi che in modo più genuino hanno messo in musica il disprezzo più schietto ed incrollabile per la religione cristiana, le sue icone e i suoi simbolismi, cosa che trasuda da ogni solco del disco, da ogni secondo che passa, da ogni pezzo presente su questo e su tutti gli altri loro dischi. Il loro stile è questo, ciò che propongono è questo e se non li avete mai sopportati non sarà Kohanic Charmers a farvi cambiare idea. Viceversa, se li avete sempre apprezzati questo è un disco che adorerete dal primo all’ultimo istante. Perché ha i riff, come sempre: Gelal è sempre stato attentissimo alla costruzione dei riff e all’assemblaggio degli stessi fino ad ottenere il prodotto-canzone definitivo. Principalmente l’impostazione è black metal ma i suoi riff sono sempre stati influenzati dal death metal americano e talvolta anche da un po’ di thrash metal. Ad esempio, se per la riuscita della canzone e del messaggio ad essa affidato serve che il riff sia in clean guitar, Gelal non esita a staccare il distorsore, come in Crud Drips from the Shofar, probabilmente il pezzo migliore di tutto il disco, che vanta per l’appunto un mestissimo interludio acustico prima di riprendere con la consueta cattiveria e terminare con un recitato in (credo) ebraico. Tutto il lavoro è compatto, assai omogeneo; otto tracce (Adrift in the Viscera of She’ol è strumentale) varie nei tempi e nei modi unite comunque dal filo conduttore che nel tempo è diventato un vero e proprio trademark (leggete i testi a stereo spento, lo meritano), composte ed arrangiate con gran cura da professionisti che non lasciano nulla al caso. Al basso c’è sempre Demonic, preciso e massiccio come suo solito, alle pelli Ulfhedinn degli Arghoslent, alla voce Unhold (Absurd, Luror, Wolfsmond, Cryogenic tra gli altri), perfido, maligno come screaming black metal necessita. Per i Grand Belial’s Key un gran ritorno con uno dei loro migliori lavori di sempre. È valsa la pena aspettare tanto tempo.

Erano tornati tre anni fa dopo un silenzio lunghissimo gli HATE FOREST di Roman Saenko, gruppo del quale vi ho già parlato in occasione dei ventennali dei loro dischi più datati. A me, francamente, Hour of the Centaur non aveva detto granché. Mi sono sempre ripromesso di riascoltarlo ma poi è finito sullo scaffale e me lo sono dimenticato, forse perché nel mio nero cuore il disco non aveva fatto alcuna breccia. Ora, nel solstizio d’inverno del 2022, esce il nuovo album Innermost e qui il discorso cambia. In meglio. Questa è stata per certi versi una sorpresa, perché è vero che si sta parlando di una band storica ben radicata nell’underground, di assoluto blasone ed altissimo prestigio, ma il silenzio durato quasi 15 anni prima di un disco non memorabile qualche tarlo nella mia dura corteccia lo aveva liberato, e le loro mascelle avevano già prodotto una certa quantità di segatura. Invece Innermost è un disco breve, diretto e crudele, spietato: sei brani per poco più di trentacinque minuti di musica vicinissima al grim & frostbitten black metal norvegese stile Immortal, Isvind, Gorgoroth e compagnia bella. Una goduria solo a scrivere questa descrizione, qui il nero è totale. È un disco di ottima fattura, una staffilata di bufera in faccia che si ascolta giocoforza tutto d’un fiato e se ne rimane assolutamente soddisfatti. I riff in tremolo sono glaciali il giusto, le atmosfere sono artiche il giusto, le voci ruggenti da orso polare con una zampa rimasta intrappolata in una tagliola piazzata da qualche cacciatore di frodo (sia stramaledetto lui e tutti i suoi cari) agghiaccianti il giusto… è tutto giusto qui, non c’è niente che non vada. Tra l’altro nessuna intro (urrà!) e rarissimi rallentamenti, nessuno dei quali accostabile al dark ambient come spesso accaduto in passato. Il disco esce con l’intenzione di spaccare tutto e basta, pochi orpelli, pochi fronzoli, molta energia e tanta, tanta cattiveria. Allora mi sembra doveroso consigliarlo anche a chi magari non è molto familiare con l’opera di Saenko perché non sprecherete il vostro tempo e nemmeno i vostri soldi se ne acquistate una copia fisica. Innermost è fuori per Osmose productions in vari formati per tutte le tasche, si reperisce facilmente senza sborsare cifre imbecilli. (Griffar)

2 commenti

  • D’accordo su tutto.
    Ho un’unica perplessità circa la batteria nei GBK: ad ascoltarla in cuffia, con quella compressione piatta e quel tipo di dinamica zero, a me sembra una batteria elettronica. Non che faccia tutta sta differenza nella qualità del disco…

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  • Gran musica, bei monicker, ottimi loghi, atmosfere drammatiche, questo sottobosco dell’extreme metal mi piace sempre di più

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