Avere vent’anni: DAWN OF RELIC – Lovecraftian Dark

Il compleanno ventennale del secondo disco dei finlandesi Dawn of Relic mi consente di offrivi una panoramica sull’intera carriera – ahimè assai breve – di una band quasi ignota ai più, molto immeritatamente come quasi sempre capita. Già, perché parlare dei Dawn of Relic vuol dire innanzitutto parlare del loro debutto del 1999 One Night in Carcosa, e parlare di One Night in Carcosa vuol dire parlare di When Aldebaran is Visible, il pezzo di apertura effettivo dopo una intro molto lunga di un album che conta tre strumentali di pura atmosfera su otto pezzi complessivi. When Aldebaran is Visible è, a parere di chi scrive, uno dei più mastodontici pezzi di black melodico mai concepiti da mente umana: parte con un gran tiro e grandi riff molto veloci per poi adagiarsi con un soffice intermezzo di chitarre acustiche e tastiere che ti fanno sembrare di ammirare un cielo stellato nel profondo nord; in seguito ritorna ad avere un piglio molto aggressivo (the nightly wings of Byakhee, for I saw their ghastly spread… impossibile non cantare questi versi a squarciagola quando parte il cambio di tempo) prima di ritornare a una lunga coda atmospheric black metal da manuale. È uno di quei pezzi che ti entra nel cervello al primo colpo e non ne esce più neanche a distanza di decenni, pensi a One Night in Carcosa e pensi a questo brano, anche se la lunghissima suite Kadath Opened (circa 19 minuti, se consideriamo le tre parti unite come fossero un unico brano) non ha niente di meno sia per quanto riguarda la perizia compositiva, sia per gli arrangiamenti di classe superiore, sia per lo straordinario feeling notturno e romantico.
Vien da sé che superare cotanto splendore non sia stato per nulla facile, difatti Lovecraftian Dark, pur essendo un disco di alto livello, non riesce a raggiungere i picchi del suo strabiliante predecessore. Intro a parte, spariscono i brani strumentali di pura atmosfera; i pezzi riducono sensibilmente il minutaggio, solo The Wail of the Tartarean Wells sfiora i sette minuti, poi ce ne sono un paio da cinque e tutti gli altri (13 in tutto, non pochi) sono più succinti ancora. Tutte le composizioni hanno un’atmosfera più oscura, più cupa, molto malinconica. Nel complesso quello che tiene ancorati i Dawn of Relic al black metal sono le voci stridenti del cantante Mika Tönning (sì, è quello dei primi Catamenia) e qualche accelerazione in blast, ma nell’ora scarsa di durata di Lovecraftian Dark si trovano anche divagazioni di death/black melodico svedese, qualche riffone thrash, persino vaghi echi speed metal, quello più veloce, epico e trascinante. Potremo trovare possenti inserti di pura atmosfera e interessanti assoli di chitarra, qualche non particolarmente fastidiosa voce femminile e canzoni non dispersive composte egregiamente e suonate con perizia e convinzione.
Per come la vedo io il disco è comunque troppo lungo. Più o meno tutti i brani hanno la stessa struttura e, anche se le canzoni meritano tutte prese singolarmente, se si ascolta d’un fiato l’oretta scarsa del disco alla fine un po’ l’interesse viene a mancare. Ci si accorge che è finito perché nel frattempo si stava pensando ad altro, bisogna pertanto rimetterlo su da più o meno metà in avanti e allora si riescono a gradire anche i pezzi dell’ipotetico lato B come meritano, perché ribadisco che non si tratta di materiale scadente, noioso, trascurabile o quant’altro… è solo che ce n’è troppo, tutto lì.
Due anni dopo, a formazione parzialmente stravolta (erano rimasti solo i due chitarristi e il batterista, non c’è più il cantante che era praticamente un loro marchio di fabbrica, così come il tastierista) sarebbe uscito il terzo ed ultimo disco, Night on Earth. Lungo meno della metà del precedente, il suono si era spostato verso ambienti death metal scandinavo, con più di un’influenza puramente thrash. C’è la solita intro, breve, non memorabile, poi gli altri sette pezzi sono quello che ho sempre pensato avrebbero suonato i Sentenced dopo Amok, invece di scegliere altre strade forse più remunerative ma avvilenti per una band del loro calibro. Ecco: possiamo definire il terzo disco dei Dawn of Relic una sorta di Sentenced periodo mainstream più violenti: ottime melodie, brani compatti, suoni eccellenti, quasi irreali. Perfetti per chi non li aveva mai sentiti nominare, abbastanza anonimi per chi, come me, li ha adorati ai tempi di One Night in Carcosa. Un capolavoro che non sono mai stati in grado di replicare. Io li ringrazierò sempre e comunque, perché dischi di black melodico come questo ne sono usciti pochi, e pazienza se quello che hanno fatto dopo non si può definire altrettanto imperdibile. Loro un capolavoro con la C maiuscola lo hanno scritto, di quanti altri si può dire altrettanto?
Va da sé che della band non c’è traccia da anni; è molto probabile che Night on Earth sia stato il loro epitaffio. La storia dei Dawn of Relic finisce qui. (Griffar)