BLUT AUS NORD – Disharmonium – Undreamable Abysses

Se c’è una costante nella carriera dei Blut aus Nord è quella di essere una creatura in fieri, in costante movimento verso direzioni che è davvero impossibile prevedere. Prendiamo in considerazione l’ultima parte della discografia della band: troviamo la sperimentazione più accentuata e algida dell’incredibile trilogia 777 e subito dopo, quasi per accentuare il contrasto, il ritorno alle sonorità più classiche – si fa per dire – di Memoria Vetusta III, a cui fa seguito un disco più sintetico come Deus Salutis Meæ che reintroduce anche alcuni elementi più psichedelici che poi ritroveremo in dosi massicce nel riuscitissimo Hallucinogen.
Un quadro che ci fa comprendere non solo il costante moto creativo che ha segnato la vita dei francesi ma anche i motivi per cui i Blut aus Nord risultano indigesti a molti. E cioè da un lato perché vengono tacciati di presunzione e dall’altro proprio perché vengono visti come delle “bandieruole”: avete presente il discorso di Stannis La Rochelle su Stanley Kubrick? Ecco, esattamente quello.
Personalmente, pur riconoscendo loro una certa dose di supponenza, ho da sempre visto nei Blut aus Nord un qualcosa di più rispetto alla marmaglia di gruppi pazzi geniali folletti che hanno costellato la scena da fine ’90 alla prima metà dei 2000: una genuina ed autentica spinta creativa, una continua sfida con sé stessi, la volontà di spingersi sempre oltre, un po’ come i Deathspell Omega e il loro ottimo ritorno.
In questo contesto si inserisce alla perfezione Disharmonium – Undreamable Abysses, ulteriore centro nel catalogo della Debemur Morti. Un lavoro difficile, che richiede diversi ascolti e la massima attenzione per entrare nel suo mood e che, comunque, continua a risultare respingente e impenetrabile. E ciò per una scelta quasi concettuale.
L’album infatti richiama l’immaginario dell’orrore cosmico di H.P. Lovecraft, citato esplicitamente o implicitamente in ogni brano, dall’iniziale Chants of the Deep Ones a That Cannot Be Dreamed fino a Keziah Mason (la strega del racconto I Sogni della Casa Stregata). Chi è avvezzo a certe tematiche sa benissimo che questo tipo di horror è difficilmente rappresentabile in forme “audiovisive”, tanto è vero che ben poche trasposizioni cinematografiche sono riuscite a dare nuova linfa alle pagine del maestro di Providence (un’eccezione alla regola è il recente Color out of Space), perché è difficile mettere in scena ciò che non può essere sognato.

Un sempre sobrio Nic Cage nel buon Color out of Space
L’indescrivibile orrore viene messo in musica dai Blut aus Nord in un modo che rispecchia alla perfezione la copertina dell’album: un vortice di cui è impossibile anche solo immaginare la fine, dove non penetra la luce e non vi è più spazio per nulla di remotamente umano. Il tutto si traduce in un suono dissonante e opprimente, in cui le basi di un black metal furioso si perdono in un tappeto sonoro estremamente ricco le cui parti vocali si confondono sullo sfondo e diventano solo una componente di un suono unitario. Inutile citare un brano in particolare, perché i Blut aus Nord tracciano un mood estremamente omogeneo, che di primo acchito potrebbe anche sembrare monotono ma che, dopo numerosi ascolti, si rivela essere assolutamente “programmatico”.
Un disco monolitico, che non concede spazio né aria all’ascoltatore e che non è neanche possibile decifrare appieno: prendere o lasciare. Per chi scrive, una nuova, ultronea, conferma di una band davvero unica. (L’Azzeccagarbugli)
Si potrebbe fare una riflessione sulla disarticolazione dei registri lacaniani, pensando alla sua rilettura del modo di scrivere di James Joyce. Perché anche questo disco disarticola la dimensione musicale, però azzera struttura e melodia andando a parare solo su quel che Lacan definisce il Reale (non la realtà, ma come giustamente intuisci tu ciò che “non si può simbolizzare”).
D’altro canto se seguissimo questa “logica” (ciò che non si può sognare) non potremmo nemmeno “parlare su” questo album.
Alla fine della fiera lo trovo coraggioso, in linea con ciò che penso del personaggio Vindsval. Ammiro molto i Blut Aus Nord e molte delle loro cose le trovo straordinarie.
Tuttavia sto disco è insopportabile, un’orchite progressiva sarebbe meno difficile da vivere.
Inoltre: di così originale non ha nulla e sta storia delle dissonanze (che arrivano da certo death metal moderno) ha francamente rotto il cazzo.
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Con questo disco stanno proseguendo su una linea che è la loro modalità di composizione da diverso tempo e che si rifà al minimalismo di certi autori contemporanei. L’aspetto delle dissonanze c’è, ma a dire il vero non è affatto quello principale e penso che non abbia nulla in comune con quello che arriva dal death metal. Hanno due usi e due scopi molto diversi. Certo poi, tutto questo non giova per nulla all’ascoltabilità, ma possiamo star certi che ai Blut aus Nord di questo aspetto non gliene sia mai fregato nulla.
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Minimalismo? La quota creativa dedicata ai vari Memoria Vetusta non è affatto minimalista. Così come Hallucinogen dal mio punto di vista è tutt’altro che improntato al minimalismo. Io credo che trovare una linea di continuità nella produzione Blut Aus Nord sia un’operazione del tutto inferenziale, se non aleatoria. Ribadisco solo il qui ed ora, per quel che ho percepito: sto disco gli è uscito male, hanno cagato fuori dal vaso. Non cambia il mio giudizio sulla band, come non credo che questa singolarità cambi l’epistemologia del loro approccio al black metal. Più in generale: rimangono una delle poche band ancora in grado di sorprendere dopo più di 25 anni di carriera.
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