La nonna squartatrice, una cena con le palle ed altre schegge di disagio

Mao Sugiyama è un ragazzo giapponese che si definisce asessuato. Fin qui, visti i tempi che corrono, non c’è niente di particolarmente strano. Nel 2012 il ventiduenne nipponico decide di andare oltre e si fa rimuovere chirurgicamente i genitali. Non contento, organizza una cena tramite Twitter. Per festeggiare l’evento, potrebbe pensare qualcuno. In un certo senso sì, ma c’è un dettaglio un tantino particolare: l’unica portata del banchetto sono i testicoli ed il pene che Mao ha deciso di farsi asportare. Ovviamente non è gratis: costa 1000 euro a persona. Si presentano in sei. Diverse associazioni tentano di evitare che tutto ciò accada, ma invano: il sistema giudiziario giapponese non trova alcun appiglio legale per impedire il regolare svolgimento del “pasto genitale” a pagamento, che il giovane asiatico definisce “una performance artistica”.
Sharon Denburg nasce nel 1961 in una cittadina del Maryland, negli Stati Uniti. La sua è una famiglia ebrea ortodossa molto conservatrice. Tutta la sua esistenza è estremamente ordinaria e lineare: è da sempre una ragazza studiosa e rispettosa delle regole, sia tra le mura domestiche che fuori. Nel 1991, però, succede qualcosa che scontenta i Denburg: Sharon si fidanza e poi si sposa con Victor Lopatka, dal quale, com’è in uso da quelle parti, prende legalmente il cognome. Il ragazzo è un muratore proveniente da una famiglia onesta, ma c’è un piccolo problema: non è ebreo, ma cattolico. Dopo diverse resistenze, il matrimonio viene accettato anche dai suoi.
La vita di coppia dei due è abitudinaria e piatta: il marito lavora, lei rimane a casa. Avendo molto tempo a disposizione, Sharon si appassiona ad internet, in quel periodo in piena espansione negli Stati Uniti, e scopre che grazie alla rete può conoscere gente nuova ed anche guadagnare. Apre un sito e lo riempie di banner pubblicitari di cartomanzia online, grazie ai quali percepisce del denaro per ogni click effettuato dai visitatori. Poco dopo scopre l’esistenza dei forum tematici e delle chat room, che comincia a frequentare giornalmente. I temi cercati e/o trattati dalla ragazza non sono convenzionali: discute abitualmente in rete con degli emeriti sconosciuti di pratiche sessuali estreme. Immersa completamente in quel mondo, Sharon ben presto comincia a vendere la sua biancheria intima usata ai feticisti. Fiutato l’affare, carica sul suo sito numerosi video porno (spesso anche grotteschi) a pagamento. Victor non sa assolutamente nulla della “doppia vita” di sua moglie.

Sharon Denburg Lopotka
In questo marasma di perversione, la donna ad un tratto comincia ad interessarsi morbosamente ad una delle parafilie più deviate e malate esistenti sulla faccia della Terra: l’autoassassinofilia, cioè il desiderio sessuale di essere seviziati fino alla morte. Apre diverse discussioni nei forum ai quali è iscritta alla disperata ricerca di qualcuno disposto a realizzare quella sua assurda fantasia. Per mesi dialoga con decine di altri utenti, ma i tentativi finiscono tutti allo stesso modo: quando gli interlocutori si rendono conto che Sharon vuole davvero essere torturata sino a morire, si tirano puntualmente indietro mandandola a quel paese.
Nel 1996 si intensificano gli scambi di messaggi con Bobby Glass, un informatico di 45 anni che vive nel North Carolina. L’uomo ha una storia personale travagliata: per anni conduce una vita normale da padre di famiglia medio, ma quando si avvicina ad internet qualcosa cambia. Trascorre il suo tempo libero navigando in rete e trascura completamente tutto il resto. Sua moglie un bel giorno ha l’idea di dare un’occhiata al computer di Bobby e scopre una realtà che la traumatizza: suo marito utilizza la rete solo ed esclusivamente per cercare video con contenuti sessuali disturbanti, non di rado anche ai limiti della legalità, e/o discussioni con altri internauti a tema sadomasochistico. Sconvolta come mai nella sua esistenza, chiede immediatamente il divorzio, costringendo l’ex coniuge ad andare a vivere in una roulotte.

Bobby Glass
Tra chat e mail, Sharon e Bobby si scambiano circa 900 pagine di messaggi, sino a quando decidono di incontrarsi per mettere in pratica ciò di cui hanno discusso così intensamente per mesi: Glass non ha alcun problema con la terrificante parafilia della sua amica virtuale.
La mattina del 13 ottobre del 1996 Sharon dice al marito che andrà a trovare dei suoi amici in Georgia per qualche tempo. Non è vero: in realtà sta andando da Bobby.
Giorni dopo Victor trova casualmente un biglietto di sua moglie: “Se il mio cadavere non sarà mai ritrovato, non preoccuparti. Sappi che io sono in pace”. Allarmato, l’uomo si rivolge subito alla polizia. Gli agenti controllano il pc della ragazza ed arrivano facilmente alla roulotte di Glass. Oltre a quintali di immondizia e a decine di componenti informatici, le forze dell’ordine trovano lì diversi oggetti personali della scomparsa, giocattoli erotici, manette e corde. A brevissima distanza dalla squallida residenza di Glass, sotto pochi metri di terra, c’è il corpo in decomposizione di Sharon. Bobby viene arrestato con l’accusa di omicidio premeditato di primo grado.
Vista la natura quasi consensuale del delitto, la Corte dà a Glass circa sei anni. Il 20 febbraio del 2002, poco prima del suo rilascio, Bobby muore a causa di un infarto fulminante.
Tamara Samsonova nasce a San Pietroburgo, in Russia, il 25 aprile del 1947. E’ sempre stata considerata da tutti una donna normalissima. Laureata in lingue, lavora prima per un’agenzia turistica, poi in un Hotel. L’unico punto oscuro della sua vita è la misteriosa scomparsa di suo marito avvenuta nel 2005. A partire dalla sparizione del coniuge, Tamara ospita regolarmente della gente in casa sua dietro pagamento. La svolta avviene nel 2015: una sua coinquilina ad un tratto scompare nel nulla. I parenti della donna denunciano la sparizione alla polizia. Controllando le telecamere di sorveglianza del condominio in cui vive la Samsonova, gli inquirenti notano Tamara, proprio nel periodo in cui sparisce la sua coinquilina, intenta a portare fuori degli enormi sacchi dell’immondizia. Al loro interno non c’è della spazzatura, ma il corpo smembrato della signora misteriosamente scomparsa. Questo evento scoperchia un vero e proprio vaso di Pandora: Tamara Samsonova, ribattezzata sin da subito la nonna squartatrice, nel corso degli anni ha drogato, ucciso, squartato, fatto a pezzi e talvolta anche cannibalizzato ben quattordici suoi coinquilini (tra vittime accertate e sparizioni sospette, compresa quella di suo marito). Giudicata malata di mente, viene internata in un ospedale psichiatrico, dove trascorrerà il resto dei suoi giorni.
9 luglio 1931. Siamo a Fort McPherson, un villaggio di montagna di pochissime anime ubicato nel nord-ovest del Canada. Un uomo mai visto prima si stabilisce nella piccola borgata. L’agente Edgar Millen lo nota e decide di fargli qualche domanda. Il misterioso straniero dichiara di chiamarsi Albert Johnson. Nel verbale il poliziotto scrive che il fermato è curato nell’aspetto, di bassa statura, con una cadenza presumibilmente scandinava e sprovvisto di licenza di caccia. A Millen quella sembra una presenza strana, quasi sospetta, quindi si ripromette di continuare a vigilare sul nuovo arrivato. Johnson si allontana dal villaggio e costruisce una capanna di legno nei pressi del fiume Rat.
Giunge l’inverno e con esso copiose quantità di neve. Agli abitanti della zona succede una cosa strana: si ritrovano praticamente tutti con le trappole vuote. E’ evidente che qualcuno rubi regolarmente le loro prede. Alla polizia locale giungono innumerevoli denunce. Gli agenti sospettano immediatamente del forestiero ed il 26 dicembre del 1931 vanno a fargli qualche domanda. Albert si rifiuta di uscire dal suo rifugio e quindi le forze dell’ordine decidono di andarsene. Ritornano pochi giorni dopo, il 31 dicembre, con un mandato e due unità in più. I poliziotti sono abbastanza tranquilli, perché sono convinti di avere a che fare un ladruncolo di bassa lega proveniente dalla città. Rimangono sorpresi quando vengono accolti da svariati colpi di fucile, che arrivano addirittura a ferire uno di loro. Ritirarsi è l’unica scelta possibile. A questo punto è evidente che il soggetto sia un pericoloso squilibrato e che sia di conseguenza necessario passare alle maniere forti. Una squadra composta da ben nove uomini torna sul posto e, dopo numerosi avvisi, fa saltare in aria la baracca di Johnson con un candelotto di dinamite. Le forze dell’ordine sono ovviamente convinte che il criminale sia deceduto, ma si sbagliano ancora una volta: Albert ha scavato una buca sotto la neve ed è proprio da lì che emerge e comincia a sparare all’impazzata contro i poliziotti, costringendoli a ripararsi dietro gli alberi circostanti. È una sorta di partita a scacchi che dura oltre dieci ore: le due parti avverse si fronteggiano cautamente, ma alla fine gli agenti decidono di dileguarsi per riorganizzarsi. Lo straniero non è semplicemente uno squinternato, ma un vero e proprio osso duro pronto a tutto.
Un’incessante bufera di neve sfavorisce la polizia, che riesce a ritornare sul luogo della sparatoria solo quando il meteo è benevolo, il 14 gennaio del 1932. Albert, com’era immaginabile, è fuggito nel bosco. Comincia una serratissima caccia all’uomo. Dopo qualche settimana Johnson e i poliziotti si ritrovano ancora una volta faccia a faccia. Nasce un altro conflitto a fuoco e questa volta ci scappa il morto: è Edgar Millen, proprio l’agente che aveva fermato il fuggitivo il giorno del suo arrivo.
Albert è una sorta di Rambo ante litteram: sa sparare, ha pazienza, riesce a sopravvivere nel bosco con una temperatura di trenta gradi sotto lo zero e, soprattutto, non si arrende mai. Vengono mobilitati tutti gli uomini a disposizione, i cani ed addirittura un aereo. Questa volta Johnson non ha scampo: viene ucciso da un tiratore scelto nel febbraio del 1932.
Ma chi era questa persona? E perché ha scatenato quel pandemonio infernale? Le foto del cadavere dell’uomo vengono diffuse nel tentativo di scoprire la sua identità. Nessuno reclama la sua salma. In tasca Albert non ha alcun documento, ma solo oltre 2400 dollari canadesi in contanti, una cifra enorme per l’epoca. La sua storia fa il giro del mondo e diventa la leggenda del Mad trapper of Rat river (“il cacciatore pazzo del fiume Rat”). Col tempo molti fanno delle ipotesi ed accostano il misterioso squilibrato a due personaggi: un cercatore d’oro ed un rapinatore norvegese. Anni dopo spuntano dei presunti parenti di Albert. Infine la quarta ed ultima pista: Johnson era un disertore in fuga. Il mistero rimane.
Nel 2007 degli scienziati, grazie a dei finanziamenti elargiti da Discovery Channel, riesumano il corpo del Mad Trapper e confrontano il suo DNA con quello dei discendenti delle persone sopracitate. Il risultato è deludente: non c’è corrispondenza con nessuno dei quattro. L’identità del cacciatore pazzo del fiume Rat rimarrà sconosciuta per sempre.
Nel 1965 Śrīla Prabhupāda, un santone indiano, si trasferisce a New York. Ha uno scopo ben preciso: vuole fondare un nuovo culto e diffonderlo negli Stati Uniti. Riesce nel suo intento l’anno successivo: nel 1966 nasce la ISKCON (International Society for Krishna Counsciousness), un gruppo religioso comunemente noto ai più col nome di Hare Krishna. Aiutato anche dal contesto sociale americano di quel periodo, il movimento ha un enorme successo e vanta ben presto addirittura simpatizzanti ed adepti illustri, tra i quali spiccano i Beatles (soprattutto George Harrison) ed il poeta Allen Ginsberg.
Ma cosa c’entrano i pacifici arancioni, conosciuti da tutti per i canti ed i balli tradizionali che sono soliti eseguire per strada, con questa rubrica grottesca? È presto detto: Prabhupāda, ormai anziano, nella seconda metà degli anni Settanta (morirà nel 1977) seleziona undici adepti ai quali assegna il compito di prendere in mano la ISKCON dopo la sua dipartita. In oltre dieci anni di attività il culto è cresciuto a dismisura in tutto il mondo e, com’è facile intuire, gli interessi economici in gioco a quel punto sono notevoli. Dopo la scomparsa del leader/fondatore del movimento, gli undici cominciano ad entrare in contrasto sia tra di loro che con molti dei sottocapi sparsi per il globo, sino a generare una scissione interna. Questa situazione, oltre alle ovvie azioni legali, dà vita anche a dei veri e propri deliri di onnipotenza, che in alcuni casi sfociano nella brutalità più malsana.
Nel 1983 viene ucciso un membro degli Hare Krishna statunitensi, Charles St.Denis. Per il suo omicidio, eseguito su commissione, finirà in carcere un esponente di spicco della ISKCON, tale Thomas Drescher. Il movente non viene mai chiarito del tutto, ma è praticamente certo che l’assassinio sia parte integrante di un circolo vizioso fatto di tradimenti e giochi di potere interni al culto.
Steven Bryant, un fuoriuscito, nel 1985 scrive un libro, The Guru Business, in cui racconta di come tra gli Hare Krishna diversi “capi” conducano uno stile di vita in totale antitesi con i dettami originari del movimento, arrivando addirittura a parlare di abusi sessuali su minori ed utilizzo regolare di droghe pesanti. Nel 1986 il corpo dell’autore viene ritrovato nel suo furgone con due proiettili conficcati nella scatola cranica. Anni dopo il già citato Thomas Drescher confessa anche questo omicidio, spiegando di aver semplicemente “liberato la comunità da un membro indesiderato”.
James Immel negli anni Ottanta lascia gli Hare Krishna dopo lustri di devota militanza e fonda una sua setta personale basata principalmente sull’uso dell’LSD. Nel 1987 il suo discepolo John Tiernan, in pieno delirio mistico, si avventa su di lui, lo accoltella mortalmente alla gola e poi gli taglia la testa con una mannaia da macellaio.
Diversi ex adepti, in larga parte indiani e statunitensi, hanno dichiarato di aver subito e/o di aver visto di tutto all’interno delle comunità riconducibili a questo culto religioso: sfruttamento, abusi fisici e psicologici ed addirittura vere e proprie istigazioni al suicidio.
Pare inoltre che lo stesso Prabhupāda fosse un personaggio abbastanza particolare: a lui vengono affibbiate esternazioni razziste (nei confronti dei neri), antisemite (sembra addirittura che nutrisse una certa ammirazione per Adolf Hitler) e misogine. Molti suoi seguaci hanno cercato di offuscare queste voci ponendo l’accento sul fatto che il fondatore degli Hare Krishna fosse un uomo nato alla fine dell’Ottocento in un Paese del terzo mondo e che spesso diverse sue frasi siano state volutamente decontestualizzate, travisate o talvolta persino inventate dai suoi numerosi detrattori.
Dopo gli storici fatti dell’11 Settembre 2001, negli Stati Uniti nasce la World Trade Center Survivors Network, un’organizzazione che offre supporto ai sopravvissuti o ai parenti delle vittime degli attentati. Nel 2004 la storia di un nuovo membro dell’associazione, Tania Head, colpisce l’intero Paese. La ragazza quel giorno ormai tristemente famoso è nell’ufficio dell’azienda per cui lavora e viene salvata da un vigile del fuoco, Wells Remy Crowther, uno degli eroi di quel tragico evento, che riesce a portare in salvo ben diciotto persone prima di morire divorato dalle fiamme. Nell’altra torre si trova il fidanzato di Tania, Dave, una delle tante vittime. Non finisce qui: prima di essere salvata dal pompiere martire, la Head riceve un anello da un uomo mortalmente ferito e gli promette che lo farà avere alla sua famiglia. L’esperienza quasi filmesca raccontata dalla donna finisce in men che non si dica su tutti i più importanti quotidiani nazionali e commuove gli Stati Uniti. Tania rilascia interviste a Tv e giornali in quantità industriale e diventa famosa ed amata da tutti. Partecipa inoltre ad incontri e conferenze e ad un certo punto addirittura le viene ceduto il ruolo di presidentessa dell’associazione dei sopravvissuti: la sua incredibile esperienza la rende senza dubbio meritevole più di chiunque altro di rappresentare degnamente quella gente.

Tania Head
Nel 2007, in prossimità del sesto anniversario della tragedia, il New York Times decide di pubblicare una serie di articoli sul tema. Visto l’argomento, è praticamente un obbligo parlare approfonditamente anche della storia di Tania. Raccogliendo il materiale per il pezzo, in redazione qualcuno nota che i conti non tornano. Nello specifico: l’intero racconto non ha alcun riscontro o prova di sorta. Sostanzialmente la versione della più nota delle sopravvissute è stata presa per buona sulla parola. C’è di più: nelle innumerevoli interviste rilasciate, alcune volte Dave è il fidanzato di Tania, altre volte diventa suo marito. Visti i punti oscuri, un giornalista decide di contattare la diretta interessata per chiederle maggiori dettagli. Queste voci, delle semplici illazioni, fanno il giro del Paese sino ad arrivare anche alla Head, che rifiuta il confronto con il New York Times e cancella tutti gli altri eventi che ha in programma. Quando un cronista – con uno stratagemma – riesce finalmente a raggiungerla telefonicamente, riceve una risposta strana: Tania non lo lascia parlare, precisa di non aver chiesto alcun risarcimento e di non aver quindi fatto qualcosa di illecito, poi riattacca. Dopo questa chiamata, la più nota sopravvissuta d’America si chiude nel silenzio assoluto e lascia che sia solo ed esclusivamente il suo avvocato a parlare per lei. I giornalisti decidono di aggirare la barriera eretta da Tania indagando per vie traverse, arrivando a scoprire cose interessanti.
Parenti ed amici di Dave (il cognome non è mai stato reso noto per motivi di privacy) non conoscono la Head ed escludono categoricamente che il loro caro tragicamente scomparso avesse alcun tipo di rapporto con lei quando era in vita. La fondazione che Tania afferma di aver creato in memoria del suo presunto uomo non esiste.
Durante il periodo di fama mediatica, Tania racconta a più riprese di essersi recata personalmente sia in Thailandia dopo lo tsunami che a New Orleans, la città colpita dall’uragano Katrina nel 2005, come volontaria. Anche queste sue imprese sono in realtà delle menzogne.

Tania Head con Rudy Giuliani
Le due lauree americane che la donna inserisce nel suo curriculum, una delle quali conseguita ad Harvard, sono false: Tania non risulta nemmeno iscritta.
L’azienda statunitense per la quale dichiara di lavorare nel 2001 non l’ha mai annoverata nel suo organico.
Andando avanti nell’indagine, vengono fuori verità sempre più clamorose: il vero nome dell’eroina del World Trade Center è Alicia Esteve Head, è spagnola ed è entrata per la prima volta negli Stati Uniti nel 2003. Nel settembre del 2001 Alicia, come testimoniano i suoi compagni di corso, è una studentessa presso l’università di Barcellona.
Quando le rivelazioni appena elencate vengono rese pubbliche, l’ex donna coraggio più ammirata della nazione scompare nel nulla.
Nel 2008 arriva una mail alla World Trade Center Survivors Network da un account spagnolo in cui il mittente informa l’associazione che Tania/Alicia si sia suicidata. Non ci crede nessuno e infatti si tratta dell’ennesima bugia: nel 2011, tre anni dopo, la Head viene vista più volte in giro per New York in compagnia di sua madre. Le ultime notizie sul suo conto risalgono al 2012, anno in cui viene licenziata dalla compagnia assicurativa iberica per la quale lavora.
Dopo gli attentati alle Torri Gemelle, centinaia di persone hanno finto di essere parenti delle vittime o sopravvissuti. Tutti questi soggetti, scoperti per la quasi totalità in pochissimo tempo, avevano un obbiettivo comune: incassare i risarcimenti statali. Alicia Esteve Head non si può inserire in questo lungo elenco di truffatori senza scrupoli, perché c’è una particolarità che la differenzia da quella masnada di approfittatori: non ha mai chiesto né incassato un centesimo. Tania è una donna gravemente disturbata, una mitomane, che grazie a dei semplici racconti inventati di sana pianta è riuscita per anni ad avere l’attenzione e la stima di milioni di persone, ingannando con una facilità sconcertante il Paese più potente del mondo. (Il Messicano)
I Freaks decisamente più umani
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Ma no, troppe carte tutte insieme! Ci stava un articolo a botta!!
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