Il disco false metal dell’estate 2021: RAVE THE REQVIEM – Stigmata Itch

Il disco per l’estate 2021 è stato scritto nel 2020 ma è evidente che per ignavia me lo sono completamente perso, e come giustificazione non posso addurre neanche che il genere non sia esattamente la mia tazza di tè, visto il mio coinvolgimento nel Sanremetal dell’illuminato Traversa. Comunque, per qualche strana ragione, l’ascolto inizialmente casuale di questo concentrato di false metal non mi molla da diverse settimane e non c’è niente che possa farci. Dico false metal perché così capite subito che aria tira: qui trovano spazio influenze come techno, chitarroni nu metal, sanremetal, symphonic metal e qualcosa che ricorda gli In Flames del secondo periodo. Oppure potremmo riassumere con un mix a metà tra i Combichrist e gli ABBA con qualche elemento sinfonico qui e lì. Se a questo punto siete già fuggiti urlando un testo degli Slayer a caso lo capisco, del resto il commento di mia moglie ai primi dieci minuti di Stigmata Itch è stato uno sdegnoso: “Lo sai che questi scopano tutti tra di loro?”. Capisco l’imbarazzo, ma per onestà devo dire che che tutto questo pout-pourri di roba funziona alla grandissima e questo quarto lavoro dei Rave the Reqviem, dei quali non conoscevo assolutamente nulla, è una mina ultramelodica in quattro quarti che merita la giusta considerazione, quantomeno in questo periodo, in quanto starebbe benissimo pompato a manetta in quegli aquapark in cui le onde artificiali vengono indotte nelle vasche con il solo ausilio della pressione sonora.

Nel caso non si fosse capito ho trovato il disco parecchio divertente, e, a curiosare qui e lì per la loro discografia, sembra che i Rave the Reqviem abbiano trovato un equilibrio magico tra elettronica e pop grazie anche a ritornelli davvero notevoli: non solo le melodie sono tutte riuscitissime, ma le metriche sono talmente ben inserite da rendere il tutto estremamente fluido e leggero. Forse è questo l’elemento più straniante della miscela finale, ovvero quel senso di serenità e gioia-pace con un’attitudine quasi da christian metal per quanto riguarda i continui riferimenti biblici, quando non da spiritual, che va ovviamente a contrasto con la sensazione di pervertimento derivata dalla componente techno o dalla scabrosità dei testi. È sufficiente prendere ad esempio l’intro, in cui si inneggia gioiosamente al giorno del giudizio in cui il sangue dei non credenti scorrerà a fiumi, per il sollazzo dei giusti e di tutto il Paradiso.

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Forse non ha molto senso scorrere tutti i pezzi del disco: uno a caso dei quattro video pubblicati funzionerà egregiamente come esempio di quello che vi troverete ad ascoltare. Io per esempio ho sentito trillare il campanellino, che di solito mi avvisa di approfondire, sul brano I Bring the Light (trovo irresistibile il ritornello che strilla il trashissimo “Fvck yov Satan, i bring the light), ma potreste per esempio preferire qualche ulteriore nota di colore. Ad esempio il fatto che il gruppo si autonomina “Chiesa” (the church of RTR) e che i membri si fanno chiamare, rispettivamente, The Prophet, The Archbishop e The Deacon, con in più i nuovi arrivati The Cantor e The Sister Svperior, sotto l’evidente benedizione della Holy Mother (evidentemente la mamma di uno di loro), insieme a tutto l’immaginario spirituale porterebbe a pensare di essere piombati in una setta tipo quella del film Midsommar. Avete presente quel film di qualche annetto fa in cui un gruppo di ragazzi parte per un villaggio di hippies pagani in un ameno angolo della Svezia (per giunta patria dei nostri), convinti di andare a fare un’esperienza stile Geo & Geo condita da orge e qualche innocuo funghetto allucinogeno, trovandosi però in mezzo ad una setta religiosa totalizzante che pratica sacrifici umani? Evidentemente questa cosa non l’ho pensata solo io, tanto che lo hanno scelto loro stessi come tema per il video del brano Holy Homicide.

Che il sacrificio sia nei confronti del metal è un’ipotesi plausibile, di certo Stigmata Itch gioca a tenere alta l’asticella dello sgomento infarcendo quello stile “moderno” (ehm, sono passati vent’anni da quando si è iniziato con quei chitarroni lì), che ci piace chiamare false metal, con ondate di pop zuccherino, fino alle estreme conseguenze. Per me la cosa funziona al punto che sono curioso di vedere fino a dove ci spingiamo. O quantomeno fino a dove si spingono loro. (Maurizio Diaz)

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