Lateralus, il disco che scatena le risse

Se dovessi scegliere un solo disco davvero divisivo che festeggia il ventennale quest’anno, la mia scelta ricadrebbe sicuramente su Lateralus. Inutile girarci intorno, il terzo album dei Tool è il prototipo dei dischi su cui solitamente si “litiga” sul web, di persona, tra amici e sconosciuti. È il classico lavoro che passa dall’essere valutato come un capolavoro o una merda pretenziosa, senza vie di mezzo e “alla faccia delle droghe leggere”(cit.).
Lateralus, soprattutto con il passare degli anni, ha dettato un vero e proprio paradigma di ciò che può essere la partigianeria in musica, è un disco simbolo delle “fazioni” e delle barricate e nulla mi leva dalla testa che ciò sia il frutto di motivazioni che con la musica hanno ben poco a che fare. Ritengo infatti che le divisioni che un disco come Lateralus è stato capace di generare dipendano più dalla deriva intellettuale che la band (ma sarebbe molto più corretto riferirsi al suo frontman Maynard James Keenan) ha intrapreso soprattutto a partire da questo lavoro, che per ragioni strettamente musicali, più per la spocchia e l’altezzosità dei fan più barricaderi, che per l’ulteriore stratificazione del loro sound. Ragioni che, comprensibilmente, rendono decisamente “antipatici” i Tool (un po’ come accade con gli ultimi Radiohead) e porta ad essere ipercritici verso i loro dischi, come avvenuto di recente con il buon Fear Inoculum, atteso con il fucile spianato e reo di essere “solo” un bel disco.
Tanto premesso, pur non essendo un fanatico del gruppo, per me è davvero difficile trovare difetti ad un disco come Lateralus, un lavoro che ho acquistato il giorno della sua uscita, che non ho mai smesso di ascoltare e non ha mai finito di sorprendermi.
Se, soggettivamente, Ænima sarà sempre il mio disco preferito dei Tool, Lateralus è oggettivamente quello più importante, influente e che ha segnato un’epoca. E il bello è che lo ha fatto ancora prima della sua uscita, anche solo con il video di Schism – brano anticlimatico e caratterizzato da i tempi dispari già presenti nel lavoro precedente, scelto come primo singolo del disco – evoluzione dei video già realizzati da Adam Jones, che trovano qui una forma finalmente compiuta finendo per segnare l’immaginario di quegli anni.
Ma tutto Lateralus è letteralmente la sublimazione di un percorso evolutivo che inizia dall’esordio e che diventa sempre più complesso. Da un lato, musicalmente, inglobando sonorità che sembravano essere antitetiche rispetto alla proposta iniziale (dal progressive a certe componenti etniche) e che, invece, diventano elementi costitutivi e basici del sound della band. Dall’altro, a livello tematico (lasciando stare agli starnazzanti fanatici della band le varie pippe mentali su Fibonacci e affini), affrontando un vero e proprio viaggio all’interno della psiche umana (come dimostrato, anche visivamente, dallo splendido artwork), attraverso simbologie lacaniane e liriche che risentono delle riflessione della scuola freudiana.
Tutto questo emerge non appena si preme play e parte The Grudge, uno dei brani più noti e ritmicamente complessi dei Tool, in cui le atmosfere di Ænima si fondono con i King Crimson di Lark’s Tongue in Aspic , i Jane’s Addiction e 40 anni di psichedelia. Un brano martellante, in cui vengono introdotte le costruzioni circolari che caratterizzano l’album, cupo, ma in cui “ogni cosa è illuminata” da una produzione a dir poco perfetta e adatta ad un disco solo apparentemente freddo. Un lavoro incredibilmente ricco, in cui ogni brano è perfettamente sfaccettato, come nel caso della doppietta Parabol/Parabola che contiene materiale per dieci canzoni e idee per un intero album, senza risultare pesante e pretenzioso, con una naturalezza che si confà solo alle opere importanti.
Anche i brani che, sulla carta, sono più vicini al passato e più semplici, come la title track o la trascinante Ticks & Leaches, in realtà si rivelano molto più complessi e si inseriscono perfettamente nell’inquieto movimento che contraddistingue tutto il disco, riuscendo a spiazzare anche “giocando sul sicuro”.
Allo stesso modo, i Tool riescono a convincere e a non fare il passo più lungo della gamba neanche negli episodi più sperimentali, come nella sequenza Reflection/Triad, tra i vertici assoluti del disco e della carriera di una band che, in quel momento, era letteralmente in stato di grazia, anche a livello di singole prestazioni. E in un certo senso questo indubbio pregio rappresenta, a distanza di anni, anche il suo limite nel contesto della discografia del gruppo.
Se Lateralus, come ho osservato poc’anzi, è la sublimazione di una ricerca e di un percorso, allo stesso tempo rappresenta anche il suo punto di arrivo, il disco con cui viene definitivamente codificato il sound dei Tool (che influenzerà, nel bene e nel male, centinaia di band dei generi più disparati) e che costituirà la base per le future pubblicazioni del gruppo. Due soli dischi di indubbia qualità nell’arco di 20 anni, ma che non soddisferanno mai del tutto le aspettative altissime del suo pubblico, proprio per quell’assenza di sorprese che fino al 2001 avevano costellato la carriera dei Tool.
Ma, al di là di queste considerazioni ex post, Lateralus rappresenta comunque un punto di arrivo insuperabile, che tra i suoi mille riferimenti e i tantissimi generi anche solo lambiti per pochi secondi, ha contribuito a creare una nuova “psichedelia” (volendo racchiudere in una sola parola le mille facce di questo disco) realmente contemporanea. Per questo, indipendentemente dall’antipatia che si può provare per la band e i suoi fan, Lateralus è un disco che ha lasciato una traccia importantissima in questi vent’anni e, sono pronto a scommetterci, sarà ancora rilevante anche tra altri venti. (L’Azzeccagarbugli)
Credo che tu abbia ragione.
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