Avere vent’anni: DOMINE – Champion Eternal

Quando avevo sedici anni un amico mi passò una videocassetta con la registrazione di una puntata di Roxy Bar, creatura dell’inossidabile trombone Red Ronnie.

Che cazzo me ne faccio?” gli chiesi. “Guardala e mi dici”, rispose. In effetti c’erano degli ospiti di tutto riguardo: i Death SS che promuovevano la nuova uscita Do What Thou Wilt, interessante svolta elettronico-statanico-futurista dei nostri. Erano ovviamente agghindati come di consueto, e il buon Red si avvicinava ad ognuno di loro chiedendo di presentarsi. “La Morte” diceva uno (e giù a toccarsi in studio) (e mica solo in studio, ndbarg); “Io sono il lupo mannaro”, diceva Ross Lukather sghignazzando, e così via. Deliziato dal siparietto, comincio ad intravedere una ragione del consiglio datomi dall’amico di cui sopra.

Ma dopo ci sono i Domine. I fratelli Paoli con Morby. Non avevo mai sentito i livornesi prima di allora, e mi incuriosiva il fatto che fossero arrivati al primo full-length dopo più o meno dieci anni. Se ricordo bene il mini-set prevedeva The Mass of Chaos e The Midnight Meat Train. Fu uno shock. Adorai da subito il timbro unico di Morby, quel diaframma e quell’estensione vocale. Andai ovviamente a scoprire i Sabotage subito dopo e soprattutto i Time Machine, uno dei miei feticci dell’epoca, che per me fecero il botto l’anno successivo con il sofisticato ed elegantissimo Eternity Ends, di cui spero di poter parlare l’anno prossimo in questa stessa rubrica. Morby però apparve solo sul loro ep Shades of Time. Ma torniamo a noi. 

Champion Eternal fa parte di quella schiera di lavori made in Italy che avrebbero nobilitato il paese nel mondo del metal verso la fine degli anni novanta. Schiera che comprendeva anche Labyrinth, Rhapsody, Athena e Vision Divine, per dire. Un’epoca insolitamente fertile per il metal italiano, con delle caratteristiche proprie ed inequivocabili a livello di suono ed attitudine.

All’epoca andai ovviamente in visibilio per Legendary Tales, che nella mente di un adolescente è bombastico, esagerato, mostruoso e lussuoso. E ancora lo ascolto con estremo piacere. Però è Champion Eternal il disco che sceglierei oggi tra i due. Perché Champion Eternal è rozzo, barbarico, di bassa fedeltà, ma ti fa venire voglia di agitare lo spadone e mozzare teste. È un approccio tipicamente italico, difficile da spiegare a parole, ma riconoscibilissimo nei suoni, il quale comporta una maccheronicità (in senso positivo) nel reinterpretare un genere di origine estera che tuttavia rimanda ai borghi medievali ammantati di mistero e isolati nel mezzo della campagna nostrana. Che cosa sto farneticando? Non lo so manco io. Però fa pensare a mura in rovina o colonnati gotici e romanici, chiostri medievali e cazzi vari, di cui il Belpaese abbonda più di ogni altro. Insomma, quello che genuinamente rimane del passato, senza abbellimenti di sorta o artifizi. Ecco, un raffronto per capire l’italicità del prodotto può essere che Champion Eternal e un certo power/epic metal italiano di una certa epoca (o lo vogliamo semplicemente etichettare come “Dragonheart Records metal”?) stanno al power/epic internazionale (in cui includo anche i Rhapsody, che infatti avranno grande successo anche fuori dai confini) come il filone horror/thriller italiano degli anni ’60 e ’70 sta a quello americano e internazionale, nel modo di intendere le caratteristiche tipiche dei quel genere. Pochi, semplici elementi e meno sofisticazioni, ma un’atmosfera unica e immediatamente riconoscibile. Legendary Tales fa pensare ad un intrattenimento in 3D nel multisala della tua città. Coinvolgente di sicuro, ma mancante di spontaneità in qualche modo. I Domine hanno invece il culto del riff dalla loro parte, derivato dalla gavetta degli anni ottanta, senza inserimenti neoclassici o iper-tecnicismi per impressionare il pubblico. Un bel riff, un’atmosfera da battaglia, la voce di Morby, qualche tastiera ad hoc qua e là e una vena epica enorme, più genuina e autentica di quella dei Rhapsody.

Una vena che andò ovviamente sofisticandosi successivamente; e il secondo album, Dragonlord, seppur bellissimo, non avrà lo stesso respiro di Champion Eternal, che è e rimarrà uno dei gioielli dell’epic metal degli anni novanta. (Piero Tola)

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