DEATH ANGEL – The Evil Divide

death-angel_the_evil_divideSono tre dischi di fila che i Death Angel tirano fuori con lo stesso produttore, nello stesso studio e soprattutto con la stessa formazione. Stupefacente per un gruppo che è stato sempre tendenzialmente litigioso, fino ad arrivare allo scioglimento, complice pure la sfiga, nei primi anni novanta, seguito circa una decina d’anni dopo dalla reunion. Pare che gli americani abbiano finalmente trovato la quadratura del cerchio: dopo il più che discreto Relentless Retribution, hanno tirato fuori prima quel discone di The Dream Calls For Blood tre anni fa e ora questo The Evil Divide. E com’è? Molto bello. A livello qualitativo si pone giusto a metà tra i precedenti, ovvero è più riuscito di Relentless Retribution ma meno di The Dream Calls For Blood. Il che va benissimo eh. Se sfornassero un album come questo ogni tre anni per i prossimi, boh?, enne decenni ne sarei più che contento: lo so, è una pia illusione, ma comunque.

The Evil Divide è compatto, coeso, forse un filo troppo monolitico. Intenso dalla prima all’ultima nota e questo, per assurdo, è probabilmente il suo difetto. I pezzi sono belli più o meno tutti: splendida in apertura The Moth e poi a seguire le varie, in ordine rigorosamente sparso, It Can’t Be This, Breakaway, Hatred United/United Hate e blablabla. Come al solito menzione speciale per Mark Osegueda, la cui prestazione dietro al microfono migliora incredibilmente con il passare del tempo, mostrando peraltro una buonissima estensione in Lost, canzone sofferta e, indovinate un po’?, intensa. E qua torniamo a bomba: ascoltare questo album tutto intero è improbo. Cioè, io non ci riesco, magari voialtri sì, però io no, e con i dischi precedenti non mi era capitato, neppure con The Dream Calls For Blood che di media è anche più veloce. Non c’è un pezzo o un paio di canzoni che allenti un po’ la tensione, e questo, se è bene per certi versi, lo è meno per altri. E’ aggressivo dall’inizio alla fine, il che va benissimo, per carità, solo che ad un certo momento arriva per forza la necessità di decomprimere un po’. Ripeto, necessariamente. Peraltro anche la voce di Osegueda, se possibile, si è ulteriormente incattivita rispetto a tre anni fa: un altro disco così è canterà black metal, in pratica. Però, come detto, il vecchio Mark spacca sempre e adesso che non è più rasta non pare manco troppo un fattone punkabbestia col cane pulcioso al seguito, il che non può che farmi enormemente piacere.

Conclusione: un bel disco. Molto. Se i precedenti due vi sono piaciuti, vi piacerà anche questo. Personalmente preferisco The Dream Calls For Blood, ma sono gusti. Procuratevelo. (Cesare Carrozzi)

 

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