Avere vent’anni: TURBONEGRO – Ass Cobra

Ass Cobra

Credo che Ass Cobra possa essere annoverato come uno dei motivi per cui esiste un blog come questo. Non sto parlando del disco in sé, non so nemmeno se agli altri piaccia o meno, il discorso è che se noi qui dentro siamo fissati con il r’n’r è anche perché ad un certo punto siamo incappati in determinati album che si posizionano ai margini degli imprescindibili percorsi obbligati fatti di Led Zeppelin IV, Electric Ladyland e via dicendo. È l’idea che determinati dischi resteranno impermeabili da qualsivoglia tipo di intellettualizzazione e forzato incasellamento nella cultura alta. Perché puoi provare a vendermi elevata filosofia con The Wall ma provaci con un gruppo che si chiama Turbonegro i cui membri vanno in giro conciati come dei Village People più laidi. TV Sorrisi & Canzoni non te li proporrà come parte della loro collana sui Miti del Rock e non saranno mai oggetto di uno speciale tematico firmato da Red Ronnie. Per come la vedo io Ass Cobra è la magia pura del rock’n’roll, un lavoro provocatorio fino all’eccesso che gioca su tutti gli equivoci possibili e solo in questo trova la sua coerenza di fondo. Idiozia pura, umorismo sboccato ben al di là di qualsiasi correttezza politica, un immaginario omoerotico ultra pacchiano e l’ossessione anale fanno da sfondo ad un nichilismo feroce che tutti gli altri elementi, per quanto ridicoli, non riescono a neutralizzare del tutto. È il trionfo degli equilibri impossibili, è come se il gruppo facesse di tutto per risultare una boiata e riuscisse a fallire anche in quello. Il mezzo principale tramite il quale riescono a mettere insieme questo cortocircuito è il loro sound, un mix violentissimo di punk e altra robaccia suonato (quasi letteralmente) con i razzi nel culo. Si autodefiniscono deathpunk, forse la prima volta che un gruppo azzecca l’etichetta giusta per se stesso. Con il tempo il suono diventerà più elaborato, il giochino si farà più scoperto ma in Ass Cobra ancora non si capisce bene se siano uno scherzo o meno (sono davvero dei nazi-ricchioni?), perché nonostante siano una cosa che a tratti ti fa sganasciare i Turbonegro non cadono mai nella trappola di risultare un gruppo comico, anzi per qualche motivo il loro essere oltre li rende anche piuttosto minacciosi. Non sono mica i Tenacious D o Elio e le storie tese. Non è il tasso di ridancianità il metro di giudizio della loro musica. Un album di Elio si può definire ‘bello’ solo nel momento in cui fa ridere, il fatto che loro siano bravissimi a suonare alla fine è solo un accessorio, un qualcosa che è destinato a rimanere in secondo piano.

But now I'm back with a bang, I've got my own leather gang

But now I’m back with a bang, I’ve got my own leather gang

Invece i Turbonegro scrivono bordate allucinanti e si dimostrano in qualche misura reali anche nel momento in cui cantano l’appassionato romanticismo checca di una roba tipo Sailor Man. In Deathtime la fusione di humor ributtante e negatività prende una deriva talmente delirante da rivelarsi sublime. Ancora peggio va con Just Flesh che, prima di deragliare, per metà pare una cosa uscita da Damaged dei Black Flag: un racconto di depressione suicida il cui apparente realismo viene squarciato dal solito brio sconveniente per poi finire in un delirio di immagini sessuali brutali ma in qualche misura ancora piacevoli. Roba che alla fine ti fai quasi schifo da solo. Ma i Turbonegro non rispettano nulla, tantomeno loro stessi o il copione che mettono in scena. Quindi, dopo aver glorificato qualsiasi sorta di abiezione in Hobbit Motherfuckers, si ergono a censori della morale dei giovani e con caricaturale accento tetesco ci raccontano di cyber idiots with pierced scrotums copulating with animals in cars parked outside the rave party. Ommiodddio, qui sarebbe da fargli una statua. Ve li ricordate gli anni ’90? No, perché era proprio così, l’estetica del punkabbestia era divenuta dominante e anche nei quartieri bene non ci si poteva esimere dal girare con cani pulciosi e passare il sabato sera alla ricerca di un qualche capannone lurido dover poter sentire la gabber pippando ketamina. Oggi abbiamo l’omologazione del dissenso, ma pure quella del degrado non era malaccio dai.
E poi segue LA frase, quella che bisognerebbe tatuarsi tutti sulla panza: not enough war, not enough famine, not enough suffering, not enough natural selection. Ecco, questa è da annoverare tra le affermazioni migliori mai concepite e la cui versatilità è pressoché universale: valida per il contesto lavorativo, la riunione di condominio, l’apericena e il reality show alla televisione, buona per qualsiasi situazione e coordinata spazio temporale. Perché alla fine, siamo onesti, l’unica posizione politica seria resta sempre e solo l’essere contro l’umanità nella sua interezza.
Denim Demon, Bad Mongo, I Got Erection, Turbonegro Hate The Kids sono tra le migliori canzoni della storia altro che Imagine e quelle cacate lì (cit. Ciccio) e Ass Cobra dopo venti anni resta un buon motivo per dare ragione a tutte quelle associazioni che si battono contro la diffusione della musica rock in quanto foriera della corruzione delle anime. Alla fine mi sa proprio che avevano ragione le mamme anti-rock, altroché. Insomma fate attenzione, che in culo può far male.

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