La mensa di Odino #24 (edizione Entangled in Chaos)
Edizione speciale della Mensa con quattro gruppi che cominciano con E. Partiamo con gli ELVENKING, che concludono la trilogia Reader of the Runes con questo Luna, il cui titolo completo è appunto Reader of the Runes – Luna. Ho dovuto sentire l’album parecchie volte per un motivo ben preciso: sulle prime non mi stava piacendo per niente. La cosa mi sembrava strana, perché ho sentito (credo) tutti gli altri undici lavori del gruppo friulano e non ne ricordo uno particolarmente sottotono. Ho quindi continuato a sentire il disco per capire se la prima impressione fosse corretta e pian piano mi sono ritrovato a cambiare opinione. Certo, Luna non è una delle loro migliori prove, anche perché parte maluccio con Season of the Owl che è decisamente banalotta per i loro standard, e di sicuro è il meno riuscito dell’ultima trilogia (quello forse è il secondo, Rapture), ma, una volta che si riesce ad entrare nelle sue corde, si riesce ad apprezzare. Non ci sono pezzi clamorosi che inserirei in un ipotetico greatest hits degli Elvenking, però la media è comunque più che gradevole, con alcuni picchi qua e là come la conclusiva Book II, che dura dieci minuti. Per il resto è il solito album degli Elvenking, il che è positivo; colpisce la citazione del debutto Heathenreel nella copertina, anche se stilisticamente quel disco non viene ripreso affatto.
Proseguiamo con il quarto lavoro degli ELDERWIND, gruppo russo nato nel 2012 e dedito a una delle molte sfumature dell’ampio sottogenere del black atmosferico. Molta acqua è passata sotto i ponti dai tempi del primo album, The Forest of Nature, schiacciato dall’influenza preponderante dei Lustre, con produzione particolarmente grezza e tempi dilatatissimi. Questo nuovo Older than Ancient riprende coerentemente l’evoluzione dei dischi successivi, diventati via via sempre più violenti, epici e strutturati, aumentando la componente sinfonica a scapito di quella atmosferica. Ormai i Lustre sono solo una delle tante influenze, che si allargano fino ad arrivare ai Bathory del periodo epico. Di dischi come questo ne esistono migliaia, ma non sono molti quelli che riescono ad arrivare a questi livelli; durante l’ascolto si riesce quasi a percepire l’odore del muschio umido nel sottobosco e il rumore dei legnetti spezzati sotto alle scarpe. Ottimo per le giornate piovose di primavera, e carina pure la copertina.
Ci sono poi gli EXILIUM NOCTIS, ellenici di Volo, in Tessaglia. Pactum Diaboli è il loro secondo album, dopo Fragments of Apocalypse del 2022: siamo dalle parti di una specie di black metal bombastico e fracassone che di greco ha ben poco, ispirandosi più allo stile tipico dell’Europa centrosettentrionale, dai Behemoth ai God Dethroned fino ai secondi-terzi Emperor (come in Deorum Cremator). Molto blastbeat alternato al più classico tupatupa, voce in primo piano spesso raddoppiata, riff che rimandano al black melodico anni Novanta e poco o pochissimo spazio per l’atmosfera. Di dischi così ne esistono a valanghe, sia molto migliori che molto peggiori; in futuro gli Exilium Noctis potrebbero dare qualche soddisfazione se accentuassero la parte melodica (in stile God Dethroned, per capirci), per ora molto minoritaria, ma per il momento Pactum Diaboli è consigliato solo ai fan più accaniti del genere.
E infine concludiamo con gli ELUVEITIE, di cui negli anni ci siamo occupati varie volte testimoniandone il declino qualitativo collegato alle derive commerciali. Il gruppo svizzero, in sintesi, aveva cominciato la propria storia con un death melodico in stile Dark Tranquillity ma dalle forti tinte folk, trovando una cifra peculiare in atmosfere celtiche proprie delle loro origini, ma si è via via ammorbidito nella ricerca del singolone facile con ritornellone acchiappone cantato da voce femminile. Capirete che non mi sono avvicinato a questo Ànv con le migliori aspettative, eppure mi sono dovuto ricredere. Probabilmente il fatto che arrivasse dopo sei anni di silenzio discografico avrebbe dovuto farmi venire qualche sospetto, così come la ricerca di un recupero delle proprie origini (seppure non riuscitissimo) con la seconda parte dell’acustico Evocation uscita nel 2017 a otto anni dal primo episodio. Insomma, Ànv cerca di recuperare per quanto possibile l’antico spirito del gruppo, non proprio quello dei primissimi album ma quantomeno quello della loro fase mediana, diciamo così, e il risultato si lascia tranquillamente ascoltare. Il singolone c’è anche qui, cioè Awen, ma è molto meno spudorato rispetto alle varie The Call of the Mountains o A Rose for Epona, che era roba veramente sanremese, e in generale le sfumature celtiche appaiono più sincere e convincenti. Un cambio di rotta sinceramente inaspettato che riporta il gruppo sulla giusta strada; ora rimane solo di vederli dal vivo su qualche bel pratone alle pendici delle montagne alpine. (barg)
