Recuperone death metal: AUTOPSY, CATTLE DECAPITATION e VOMITORY

Quando inizio anch’io con i recuperoni di dicembre, mese nel quale l’ansia da playlist spinge a recensire più dischi di quanti se ne siano affrontati nel corso dell’intero anno, premetto sempre che ho ascoltato un sacco di roba bella della quale non ho avuto il tempo di scrivere e che sul taccuino mi sono rimasti segnati sessanta album di cui avrei voluto parlare. Quest’anno no. Quest’anno non ho avuto il tempo di ascoltare davvero una mazza e in playlist metterò soprattutto gruppi grossi perché sono i casi in cui è più semplice che la curiosità prevalga sulle incombenze. Almeno ‘sti tre li recupero sennò esce una Top 10 senza link e pare brutto.

AUTOPSY-Ashes-Organs-Blood-And-Crypts-2023

Vi ricordate quando, circa vent’anni fa, furoreggiava la moda di pubblicare due Lp a breve scadenza improntati su stili diversi? Lo fecero i System of a Down, i Rammstein, gli Opeth. Ora, non so se gli AUTOPSY avessero questo intento, né lo credo, ma l’effetto è quello. Morbidity Triumphant, uscito appena un anno prima, era grezzissimo, crudo, quasi a bassa fedeltà. Preannunciato da una copertina meno disturbante e più fumettistica, Ashes, Organs, Blood & Crypts suona invece tirato a lucido, e non è una cosa negativa. Sono sempre gli Autopsy che fanno gli Autopsy ma i pezzi sono meglio eseguiti, meglio arrangiati e meglio prodotti. A voler fare paragoni vagamente blasfemi, è grossomodo la stessa differenza che c’era tra Severed Survival e Mental Funeral. Ovviamente non siamo a quei livelli. Nondimeno questo potrebbe essere il miglior disco della reunion da Macabre Eternal.

Le chitarre sono più estrose e a volte (Throatsaw) lasciano condurre i giochi a un basso molto in primo piano nel mix. Il maggiore spazio concesso alla melodia consente a Reifert e compagni di dare sfogo alle loro influenze in campo di metal classico, come nella title-track. Qua e là ho sentito addirittura degli accenti blues. È, per quanto la scena death possa brulicare di veterani con un mestiere solido, la facilità di scrittura mostrata dagli Autopsy al nono full (decimo se contate Skull Grinder, che però dura trenta secondi in meno di Reign In Blood e quindi, secondo la nostra scuola di pensiero, è un Ep) fa davvero impressione.

cattle-decapitation-terrasite-Cover-Art

Con i CATTLE DECAPITATION non è mai scattata la scintilla. Fino a Karma Bloody Karma, quando ancora suonavano un death/grind trucido e banale, mi rompevano le palle dopo cinque minuti. Harvest Floor e Monolith of Inhumanity, buttati sui tecnicismi, saranno pure lavori interessanti ma davvero non è il mio genere. Terrasite, sorpresa, mi è piaciuto abbastanza. Se Death Atlas era tornato ad allungare il brodo e incasinare la struttura delle canzoni in modo poco costruttivo, qua i californiani vanno un minimo al sodo, per quanto possano andare al sodo i Cattle Decapitation. C’è una maggiore linearità, non c’è quella voglia stucchevole di stupire a tutti i costi. Permangono i momenti, diciamo, atmosferici nei quali Travis Ryan fa le linee vocali alla Devin Townsend senza però tirarne fuori di memorizzabili.

L’impianto generale guarda meno al deathcore – che resta una componente importante negli episodi più diretti come la riuscita The Storm Upstairs – e in alcuni frangenti deraglia con nonchalance nel black metal, o meglio in quello che gli americani ritengono black metal. Prendete le iniziali Terrasitic Adaptation e We Eat Our Young, dove a tratti sembra di sentire una versione meno incarognita degli Anaal Naathrak. Per me è il miglior album dei Cattle Decapitation dopo The Anthropocene Extinction, quindi immagino che i fan saranno in delirio. O magari ai seguaci duri e puri farà schifo e a me è garbato perché non faccio parte delle loro schiere, chissà

Vomitory-All-Heads-Are-Gonna-Roll-2023

I VOMITORY sono uno di quei gruppi che sulla carta non hanno nulla di originale (sono più o meno i Dismember sotto anfetamine con meno chitarre maideniane) ma riescono a elaborare una formula personale e riconoscibile che funziona sempre ed è replicabile ad libitum senza troppi scossoni qualitativi. Tipo i Motorhead, quindi. Per questo fu un peccato che si sciolsero e per questo è bello rivederli in giro.

Scrivere qualcosa di arguto e originale sui Vomitory dopo nove Lp non è semplicissimo ma tanto All Heads Are Gonna Roll ha già un titolo che è la migliore recensione possibile. Appena parte il brano omonimo in apertura ti si dipinge un ghigno di soddisfazione sul volto e inizia a scapocciare. Una carneficina dall’inizio alla fine, come nella loro migliore tradizione, con pochi e frenetici accenni di melodia che hanno il solo scopo di rendere ancora più letale la mitragliata successiva. Che botta, signori. Peccato essermeli persi dal vivo lo scorso autunno. Bentornati. (Ciccio Russo)

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