R.I.P. Meat Loaf [1947-2022]

Chi è cresciuto negli anni ’90 ricorderà il secondo Bat Out of Hell: nel giro di poche settimane, I’d Do Anything for Love era diventata la canzone più suonata di sempre ai funerali, stracciando di almeno tre lunghezze I Will Always Love You di Whitney Houston; impossibile accendere la radio senza incrociarla in programmazione praticamente a ogni ora su qualsiasi canale, specialmente nel periodo natalizio (Mariah Carey sarebbe arrivata l’anno dopo a peggiorare il mondo). Tra le decine mi milioni di ascoltatori, in molti dopo la coercizione lo erano diventati volontariamente – facendo decollare il disco ai primi posti delle classifiche di vendita mondiali, un successo che Meat Loaf non conosceva più da decenni – mentre la maggioranza silenziosa subiva I’d Do Anything for Love come un male necessario nei negozi, in sala d’attesa, in autoradio di ritorno dal lavoro, ovunque. Per me avrebbe potuto andare avanti all’infinito, a differenza di qualsiasi altra merdata passasse tra radio e tv, per una volta questo loop non mi disturbava.
Sarò tra i pochi a preferire tuttora di gran lunga il secondo Bat Out of Hell al primo, forse perché è uscito quando ero bambino e non si poteva scappare mentre il primo è uscito quando non ero manco un’idea nei coglioni di mio padre, forse per i video spettacolari di Michael Bay, ai miei occhi di allora molto meglio di qualsiasi altro film avessi mai visto, sicuramente per le musiche e la produzione di Jim Steinman, che non avevo idea di chi fosse ma in realtà conoscevo benissimo (già ero stato irrimediabilmente lobotomizzato da This Corrosion dei Sisters of Mercy, anche quella è roba sua), soprattutto per la voce inimitabile di un interprete allo stesso livello di De Niro quando ancora ci credeva. Il successivo Welcome to the Neighborhood sfruttava l’onda lunga infilando un paio di numeri ancora all’altezza seppure in plateale Steinman karaoke – I’d Lie for You (And That’s the Truth) e Not a Dry Eye In the House, ai controlli la mercenaria Diane Warren, sorta di Steinman in sedicesimi; anche i video erano diretti da un emulo di Michael Bay qualsiasi, quindi dall’emulo di un emulo – poi ho smesso di interessarmene. Ogni tanto gradite apparizioni su schermi via via sempre più piccoli e videonoleggi sempre più periferici, dopo la gloria di Fight Club in cui da solo reggeva il peso immenso del film “controverso” designato, il mio preferito resta Chasing Ghosts, film che nessuno ha visto su sbirraglia corrotta e umanità guasta che continua a tirare la carretta al fienile senza sapere perché, con quasi tutti i miei attori preferiti messi in fila – Michael Rooker, Gary Busey, Michael Madsen, Danny Trejo, Lochlyn Munro, Shannyn Sossamon – oltre ovviamente alla comparsata nel film sui Tenacious D, unico motivo per subire quella tristezza oltre alla comparsata di 20 secondi di Neil Hamburger. Per tanti la voce è Frank Sinatra, per altri Bruce Dickinson, per me sarà sempre Meat Loaf. (Matteo Cortesi)
” I understand. In death, a member of Project Mayhem has a name. His name is Robert Paulson.”
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Il suo nome è Robert Paulson.
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Non ho mai capito il successo di Fight Club e non lo avevo (Meat) riconosciuto quando vidi il film.
Cmq r.i.p. al polpettone.
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Concordo, mai capita tutta sta grandezza in Fight Club. Meat Loaf ha cantato a teatro senza microfoni, era un animle da palcoscenico.
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Chi cazzo se ne frega di Fight Club… bel film ma chi cazzo se ne frega. Casomai da ricordare per il Rocky Horror Picture Show.
RIP a un grande artista
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Ciao Polpettone, cantante di alcuni tra i più grandi pezzi di hard rock di sempre.
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Non mi scorderei nemmeno “Yellow Submarine” con Alice Cooper… Per dire.
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