Lupi travestiti da panda: IRRLYCHT – Wolfish Grandeur

Dieci anni dopo il debutto Schatten des Gewitters tornano con un full length i lupi mannari Irrlycht, tedeschi, per i quali il lupo non è solo un’icona da venerare quanto piuttosto una divinità nel senso più assoluto del termine, anche se i loro testi si ispirano anche a tomi classici tipo l’Edda o agli scritti esistenzialisti di Sartre e Camus. A gennaio, ad anticiparne la ricomparsa, era uscito uno split LP con i Malcuidant, lavoro discreto che però a me non ha detto più di tanto. Se non me lo sono ascoltato a nastro forse ci sarà un motivo, ma tra gennaio e marzo è uscito l’impossibile, in buona parte di livello dall’eccellente in su. Sarà per questo, non so.

Adesso possiamo gustarci Wolfish Grandeur, il nuovo full length, decisamente full direi perché oltrepassa l’ora di durata ed i brani sono tutti dal lungo al lunghissimo; la conclusiva Leuchten der roten Stille/Epitaph si spinge a 17 minuti e mezzo, Drohende Schatten e Perlmutt – Der Lohn des Sisyphos durano entrambe circa 10, la più corta è sui 6. Insomma, questo ci fa capire che nel disco hanno messo molte idee e che, per esporle tutte, hanno avuto bisogno di dilatare parecchio il minutaggio, dato che nel disco precedente al massimo si arrivava ad un pezzo da otto minuti. Nuovamente registrazione e produzione sono poderose come nei loro episodi passati, ogni strumento è distinguibile in modo nitido ed apprezzabile in ogni sua sfaccettatura, il volume del mixaggio è alto e crea un discreto wall of sound che trascina e rende assai piacevole l’ascolto.

Il loro black metal è semplice nella struttura, attestantesi fondamentalmente sul classico riffing monocorda gelido e ventoso tipico tedesco (a sua volta derivato dalla scuola svedese) ma non disdegnando parti più lente o puntate in stili diversi. Un esempio per tutti è il riff d’attacco della opener Belebung Ymirs, che molto ricorda un assalto thrash veloce, formula replicata più volte nel disco; oppure le molteplici incursioni in campo epic/pagan, dove i riff e le vocals che abbandonano lo screaming si fanno portatori di grinta e maestosità ascoltate più volte in passato in gruppi black d’ispirazione vichinga. Cito tra tutti i Nachtfalke di Hail Victory Teutonia: i fan di quest’ultimo troveranno in questo nuovo Irrlycht pane per i loro denti, chi non lo ha mai ascoltato è meglio che si dia una mossa e se lo vada a recuperare (tra l’altro è uscito giusto venti anni fa, quindi adesso è il momento giusto), perché non si può ignorare l’esistenza di un capolavoro di quel livello.

Isegrimm alle voci ci mette tutta la passione possibile ed immaginabile, e svaria tra lo screaming, il clean e tutto quello che possiamo trovare, mezzo growling compreso. Più che cantare e basta i brani li interpreta e credetemi, questo costituisce un valore aggiunto nient’affatto secondario o banale. Nordger si occupa di basso e chitarre, ed il suo lavoro è adamantino; tutti i riff sono trascinanti, melodici quanto serve, tendenti a creare un’atmosfera fredda e notturna che ricorda non poco l’ambiente più consono al loro predatore preferito. La batteria gliel’ha suonata tal Goatruler, accreditato come session (che però ha anche contribuito alla stesura dei pezzi), mentre le tastiere (bilanciatissime, mai invadenti e spesso arrangiate effetto organo) le suona mister Azazel (non credo si tratti del tipo finlandese, altrimenti nel booklet ci sarebbe scritto) e nel complesso l’impressione è di un amalgama molto affiatato. Tutti i brani sfiorano l’eccellenza, poco da eccepire. Il livello è omogeneo e assestato sull’alto di gamma, senza riempitivi, riff inutili o cali di tensione. Questi ragazzi sono dei professionisti che non lasciano niente al caso, alla superficialità o all’approssimazione, ogni passaggio è studiato e rifinito come dio comanda ed il risultato finale (anche in questo caso) è illustre. Anche se il disco è piuttosto lungo rimane sempre coinvolgente, e non permette che l’ascoltatore inizi a divagare annoiato pensando alle bollette da pagare o a quanto stia facendo schifo la sua squadra del cuore in campionato. Concludo che a mio parere (prendetelo per quel che vale) il primo disco è un pelino superiore. Ma forse è solo perché l’ho ascoltato talmente tante volte che lo so a memoria, e con Wolfish Grandeur non ho avuto ancora abbastanza tempo. (Griffar)

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