Sembra Finlandia ma non è: GRAVEYARD OF SOULS – Infinity Equal Zero

Penso che questo sia il loro settimo album, forse anche l’ottavo, ma onestamente io li conoscevo più che altro di nome perché ricordo di aver ascoltato il primo disco tanto tempo fa senza esserne rimasto particolarmente colpito: musica discreta, come ne esce tanta, senza infamia né lode e senza grandi possibilità di ottenere grandi riscontri. Sono trascorsi molti anni e i Graveyard of Souls sono recentemente passati sotto l’etichetta russa Satanath records che, oltre a pubblicare decine di dischi quasi quotidianamente (esagero… ma mica poi di tanto), li sa anche promuovere a dovere. Per cui io, che sono un suo affezionato follower, visto che di CD gliene ho già comprati una discreta quantità, ricevo a febbraio l’advance di questa nuova release, la cui data di pubblicazione ufficiale è il 16 aprile. Lo ascolto senza chissà quale entusiasmo, visto che non è che ardessi dalla necessità di sorbirmi nuova musica del duo spagnolo Graveyard of Souls, e ci sono rimasto abbastanza di merda.
La dimostrazione che non si devono avere preconcetti e non si deve approcciarsi ad un disco con superficialità risponde al nome di Infinity Equal Zero. Loro sono di Burgos ma non suonano affatto spagnoli, manco per l’anima. Hanno un suono cupo e malinconico molto più simile a leggende finlandesi come gli Swallow the Sun oppure come i disperati canadesi Longing for Dawn, e i sette lunghi pezzi che compongono questa nuova uscita sono tutti devoti alla causa del doom/death metal con soffuse e tristi melodie completamente incentrate sulle trame di chitarra che si sdoppiano, triplicano e quadruplicano in sovrapposizioni armoniche studiate alla perfezione, orchestrate alla perfezione, composte alla perfezione ed arrangiate alla perfezione. Vengono utilizzate anche delle tastiere riempitive e d’effetto in certi episodi che solo raramente emergono dal sottofondo (la conclusiva Time to Leave ad esempio, tra l’altro praticamente strumentale), perché l’intenzione palese è quella di impostare ogni brano sulla forza delle melodie di chitarra, che, se ci pensate bene, è quanto hanno sempre fatto gli Swallow the Sun.
Il cantante ci mette del suo a tingere di nero funebre le atmosfere dei brani e si trova del tutto a suo agio nel mood, valorizzandone il risultato finale dimodoché, quantunque il disco duri oltre i cinquanta minuti, l’ascolto dell’album non è mai pesante e l’attenzione alla musica non viene mai meno, sebbene ci si muova in contesti musicali non veloci… Se si rinuncia a priori all’energia che viene data da tempi più aggressivi, quello che ti serve per non risultare noioso lo devi andare a trovare da un’altra parte, in questo caso nelle eccellenti chitarre che sono il vero punto di forza di tutto il disco, dai riff sulle note alte dell’opener Madre che si incastrano su almeno altre due tracce più basse, alla lunga e complicata Mil planetas te dicen adiós, 9 minuti e rotti di fraseggi malinconicamente melodici. Registrazione e produzione sono impeccabili, eccellenti; impossibile questa volta non riconoscere ai Graveyard of Souls di aver composto brani davvero validi: se non riescono a fare il salto di qualità con Infinity Equal Zero non so proprio cos’altro potranno inventarsi. Se fino ad oggi magari non c’erano chissà quali motivi per interessarsi alla loro musica più di tanto adesso i motivi ci sono, per cui non commettete l’errore di continuare a sottovalutarli ed apprezzate questo nuovo disco come merita: ad ogni ascolto ne vale sempre più la pena. (Griffar)