Violentissime batteriste orientali alla conquista del mondo

La vecchia che mi voleva è uno dei più nefasti ricordi che ancora oggi mi porto appresso: un po’ perché ciclicamente la rivedo in giro, sempre con quell’espressione iniettata di sangue che l’avanzare dell’età non ha saputo scalfire, e un po’ perché andò tutto male dal primo all’ultimo dettaglio, e non in suo sfavore. In mio.
Ci provò con le piante grasse: ne avevo acquistata una e ne stavo discutendo con una donna; l’esposizione, l’irrigazione, il momento più adatto al rinvaso di quella crassulacea in apparenza resistentissima. Se ne accorse, sentì tre o quattro parole e venne a ricercarmi più tardi. Mi invitò presso la sua dimora, dove non teneva alcuna collezione di farfalle, ma, disse, una sconfinata collezione di piante grasse che – forse – mi avrebbe mostrato in uno stimolante pomeriggio. O forse no. Comunque sia, non ci andai.
Fu la mia mania di picchiettare su qualunque superficie a incastrarmi. La vecchia che mi voleva lo notò e tenne in serbo il mio vizietto fino al momento giusto. Quando la incontravo mi fissava con uno sguardo fra l’innamorato e il ti lego in cantina e ti taglio ogni tendine che hai nel corpo. “Resterai qui con me, e alle diciannove in punto arriverò col brodo per tenerti debolmente in vita”. Un bel giorno la vecchia decise di uscire allo scoperto con la sua proposta oscena: una festa per soli artisti, “perché anch’io sono un artista, sai”, a casa sua, alla quale avrei dovuto prender parte in qualità di batterista. Non mi aveva mai sentito suonare, il che le avrebbe fatto rapidamente cambiare idea sull’affrettato modo di definirmi tale. Né aveva la minima idea di cosa ascoltassi, sia chiaro: Diocletian ieri, il nuovo singolo dei Cannibal Corpse mentre scrivo, per capirci. Io ero un artista: lei lo aveva deciso con fermezza e pertanto ero da invitare alla sua festa; probabilmente voleva intrappolarmi come si fa col topo e il formaggio: sarei uscito da lì dopo aver vissuto sulla pelle Human Centipede e un interminabile elenco di situazioni che normalmente attribuiremmo ai film del filone snuff, o torture porn che dir si voglia.

Già mi vedevo legato nel suo scantinato, alimentato ad acqua e brodo vegetale granulare per settimane, col telefono cellulare che tenta invano di squillare almeno nelle prime ore di batteria carica. Sarebbe stata la mia Misery e mi avrebbe costretto a riscrivere i miei articoli sul thrash metal parlando bene delle ultime produzioni dei Testament, e io, in cambio, le avrei dovuto donare la gratitudine di un attempato e consenziente toy boy. Non sarei mai più uscito da quella festa per soli artisti, non prima d’averle fatto testare l’efficienza di tutti quei giocattoli che, certamente, aveva ordinato e custodito – per me – in oscuri armadi le cui chiavi non meritavano alcun duplicato.
Naturalmente lo feci presente in redazione, e, con tutto lo spirito cameratesco che ben potrete immaginare, ognuno di loro (e in particolar modo il Carrozzi, l’infimo) mi consigliò di non mancare all’appuntamento con il Male sotto forma di macilenta settantenne: tentarono il tutto per tutto pur di mandarmi incontro a quell’ammasso di grinze, capelli sfibrati e vene varicose.
Maledetti maiali. Oppure era tutta colpa mia, dato che picchiettavo da tutte le parti?
Sono un cialtrone autodidatta ma mi sono appassionato alla batteria per la prima volta nel 1997, semplicemente sedendomi dietro a una Pearl e partendo con un impreciso quattro quarti senza aver la minima idea di cosa fosse un quattro quarti. A doverlo spiegare in termini squisitamente tecnici, a dire il vero, non lo so neanche adesso: so bene cos’è la profondità di campo, perché in fotografia mi sono applicato per anni, eppure, per quanto sia stato a lungo dentro ad alcune band, non mi è mai fregato un cazzo di diventare a tutti gli effetti un batterista e prender parte a reiterate lezioni teoriche. Il motivo di codesta scelta non sono mai andato a ricercarlo. Ho giusto approfondito il minimo indispensabile da autodidatta: postura, settaggio, e tutto il resto ad orecchio con conseguenze che potrete facilmente immaginare.
Già da adolescente il mio disturbo mi portava a tamburellare su qualunque superficie alla mia portata: i poggiatesta dei sedili d’una automobile, i bicchieri sulla tavola apparecchiata, e, naturalmente, la cassa riprodotta più o meno fedelmente sul pavimento, col piccolo particolare che per una vita ho abitato al secondo e pure al quarto piano, e che sotto ai miei piedi vivevano questi tizi anziani che colpivano il soffitto con la scopa pur di placarmi. Ma io non smettevo perché neanche me ne accorgevo che stavo rifacendo South of Heaven sulle piastrelle.
Ora che sono felice possessore di una batteria elettronica continuo a fare la stessa cosa di prima, Vecchia permettendo, con la differenza che al piano di sotto c’è un centro anziani ospitante individui come Paolino, tutti presi dalla mattina alla sera a bestemmiare a voce alta contro gli addetti ai servizi sociali; quindi, prima di sentire il sottoscritto che rifà Slave New World sul parquet, chiunque nel condominio sentirà Paolino e gli altri dell’anziana cricca urlare varie cose all’attenzione di Dio.
È naturale che nell’ascoltare un disco io mi concentri sulla batteria, anzi è automatico. La cosa mi ha aiutato a comprendere l’importanza, e l’abilità, di questi strumentisti nel mantenere l’alchimia perfetta in un gruppo, al punto che certe band non sarebbero più state le stesse al solo variare del batterista. Portnoy, il Barker dei Cradle of Filth eccetera eccetera. Ma quei batteristi non li ha uccisi la vecchia: hanno abbandonato le rispettive band a causa della chiamata d’un altro gruppo, o magari delle royalties. Oppure dell’alcolismo.

In redazione è stato il naturale svolgersi degli eventi a spostare l’attenzione su altri, anzi su altre batteriste. Ha iniziato Charles, ha proseguito l’infimo Carrozzi ed è giunta l’ora che Metal Skunk vi renda partecipe delle ottime interpreti, principalmente orientali, sulle quali ci siamo soffermati (DISCLAIMER) per motivi strettamente e genuinamente artistici.
La prima, scoperta dall’attento osservatore Charles, corrisponde al nome di Drummer Ami, dalla Corea (del Sud, sia chiaro: nell’altra si occuperebbe in prevalenza di testate missilistiche), ed è il genere di batterista che pur facendomi un culo immenso tendo a definire un robottino. È molto brava e anche molto eccentrica: drumkit acustici che cambiano come la domenica mattina cambieresti le lenzuola al letto, doppia cassa suonata con tacchi a spillo coloratissimi, e quel terzo del tempo dei video che viene impiegato a ruotare ossessivamente le bacchette. Sebbene Ami sia particolarmente attratta dall’hard rock e dal materiale classico in generale, direi che dai Muse agli Slipknot, dagli Anthrax ai Rammstein, passando per roba ben più ostica, ad Ami non sfugge pressoché niente. Il concetto è che chiunque tu sia finirai sul suo canale, in un modo o in un altro. Ma non è lei la mia favorita.
Passiamo poi alle mirabolanti esercitazioni batteristiche di codesta A-YEON, che a dire il vero non è una YouTuber in senso esclusivamente musicale: in alcuni video infatti mangia al ristorante, in altri cazzeggia o è al mare, ma nella maggior parte di essi suona, sempre molto meglio di me. L’aggravante di esser quasi sempre dietro a un kit elettronico non la limita. Molto più preparata della Ami in termini di fill e personalità, A-Yeon sculetta a ripetizione prima che i colpi di metronomo inizino e soprattutto ci introduce al vizio di guardare a ripetizione in camera. Un piccolo appunto: la A-Yeon suscita continui rimandi e reacts da parte del mondo batteristico maschile. Perché proprio lei, visto che si muove su terreni decisamente meno ostici della Ami, scorfani indemoniati che non siete altro?
Parlando di fill e più generalmente di tocco, oltre che della personalità, direi che mi piace molto tale Meytal Cohen, originaria di Israele e per questo probabilmente baccagliata dal nostro Edoardo Giardina dalla mattina alla sera. Meytal suona quasi esclusivamente rock, non risparmiandosi decine e decine di cover dei Tool; un repertorio che interpreta benissimo, mentre io anche domenica scorsa provavo e riprovavo Stinkfist intermezzando con le bestemmie gli ultimi e arrancanti quaranta secondi. Il principale difetto di Meytal sono le disumane espressioni facciali – corredate da sorrisini ai limiti della paresi – che puntualmente rivolge in camera; espressioni, le sue, che generalmente vengono adoperate dalle presentatrici durante i programmi di cucina mentre impastano il preparato per il castagnaccio, oltre a quell’atteggiamento di timore di rompere lo strumento e doverne comperare un altro: stai suonando i Tool? Recita da psicolabile, non fare il verso a Csaba di Real Time. In ogni caso, delle tre menzionate finora, Meytal è teoricamente e temporaneamente la mia preferita. Ma veniamo al piatto forte, cari amici, veniamo a colei che ho tenuto nascosto perfino ai miei codardi compagni di redazione.
Senri Kawaguchi. Abiti imbarazzanti, frangetta inguardabile, espressione facciale tipica di chi ha appena compiuto un omicidio e comincia a rendersene conto. Non guarda mai in camera, questa qua suona e basta e si muove principalmente in territori jazz/fusion. Aprite uno qualunque dei suoi assoli di batteria e cancellate dalla faccia della terra le altre tre. Cara Senri, sei attesa a Firenze, e per la precisione nel quartiere di Piazza Puccini, per una festa di gala per soli artisti. Ti divertirai da matti, parola mia, e si divertiranno un po’ meno i pompieri quando dovranno sfondare quella porta blindata oltre la quale si sentiva urlare. (Marco Belardi)
Condivido i gusto del maestro Edoardo Giardina. Il resto del mondo non sa cosa si perde a non idolatrare simpatiche israeliane con un’AR-15 sotto il materasso.
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L’unica batterista donna che seguo con attenzione è Emmanuelle Caplette. Nn so se l’hai mai sentita, ma siamo su altri livelli!!
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Mi permetto di suggerire Felicty Feline….batterista e (ex)pornostar. Me l’ha consigliata un amico.
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La A-YEON l’avevo già notata anche io. Di batteria non ci capisco nulla (quindi dopo 1 o 2 video passo) comunque bella ragazza. Le altre mai viste. Al momento la mia unica ispirazione come musicista donna è l’armonicista Indiara Sfair, della quale ho già visto e rivisto tutti i video nmila volte.
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Tamu Murata che se la ride per tutta “Silent Jealousy”, soprattutto nei pezzi in doppio pedale – una batterista con cui pare divertente suonare (anche perché pare divertirsi parecchio lei stessa). A-YEON e Senri distrarrebbero troppo, la prima per l’indubbia avvenenza, la seconda per crollo strutturale della mascella.
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Ho ascoltato due volte Ami, per sentire Angel of Death.
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Ti sei scordato Junna che fa reagire i Dragonforce:
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