Avere vent’anni: SOULFLY – Primitive

Fin dagli albori del blog, uno degli sport preferiti della redazione di Metal Skunk è sempre stato parlare male di Max Cavalera. I luridi dreadlocks del brasiliano hanno fatto da catalizzatore a gigantesche (e motivate) pernacchie che, è giusto ricordarlo, sono frutto di un astio reso particolarmente acuto dall’ardore che molti di noi da ragazzini provavamo (e alcuni spero ancora provino) per i Sepultura vecchia maniera. Insomma, qui dei Soulfly si è sempre parlato male ad oltranza e in ogni occasione possibile, che fosse l’ennesimo disco nuovo o più recentemente l’anniversario dell’esordio.

In questa oramai lunga storia di delusioni perennemente confermate fa eccezione Primitive: che, per quanto mi riguarda, è il vero e unico colpo di coda della produzione del brazileiro di Gaeta. Già al secondo giro il fatto che i Soulfly non siano una vera e propria banda diviene palese: la formazione in pochissimo tempo ha già visto passare svariati personaggi e alla fine la cosa probabilmente è un bene perché, al riparo da proclami di tribù, famiglie e appartenenze varie, Max sembra finalmente libero di fare il disco che aveva in mente da tanto tempo. La formula che andava inseguendo dai tempi di Roots viene finalmente bilanciata e messa a punto, finché il nuovo millennio la vedrà svanire definitivamente, affondata dal passare del tempo e dal progressivo inaridirsi della vena compositiva.
La cosa davvero strana è che in senso assoluto Primitive non è granché distante dal suo scarsissimo predecessore. Anzi, dal punto di vista formale è proprio esattamente lo stesso disco (stesso grande parterre di ospiti, stessa struttura, stesso strumentale acustico, stesse robe carioca, stesso tutto) eppure il risultato finale è completamente diverso. Lo scarto di qualità fra i due album è palese ma allo stesso tempo resta difficile da circoscrivere. Ovvio che la differenza la fanno le canzoni e gli ospiti ma credo c’entri anche il generico affievolirsi di quel senso di bambinesca rivincita che sembrava animare tutto l’album di esordio. Soulfly era l’equivalente di fare la spia alla maestra su chi era stato a rubare la merenda. Qui il senso generale pare andare oltre la semplice ripicca personale e il movente sembra più quello di fare un disco più che non il ribadire fino alla morte il concetto “I am the original, you are merde”.
Forse è solo per culo ma Primitive le azzecca più o meno tutte: dai nuovi innesti Doling e Nunez al fatto che Max praticamente imbrocca tutti i riff anche nei pezzi più “pericolosi” tipo quelli dove si mette a ciarlare in portoghese. Pure lo strumentale pallido e assorto di Soulfly II funziona alla grande, rendiamoci conto. Quello che rende però il disco quello che è sono gli ospiti che e danno una varietà che non sarebbe stato possibile avere solo con i diretti interessati. Tutti gli esterni sono estremamente in palla (a dire poco) e quindi la menzione è obbligatoria per quasi tutti: dal sindaco Tom Araya che si autocita in Terrorist al fantastico duo di Sacramento Avenell e Moreno che sputa bile già nel secondo pezzo. Gente tipo Corey Taylor dà la giusta dose di esasperazione e l’incredibile Sean Lennon accompagna Cavalera in una sentita e credibile elegia paterna (ok che tutti abbiamo un padre, ma alcuni ce l’hanno un po’ più grosso di altri).
Primitive è un lavoro paraculissimo ma che rende pienamente merito al personaggio, l’unica cosa che non gli perdono è che all’epoca mi illuse in un possibile seguito a questi livelli e quindi finii per acquistare anche i successivi due album. Quelli veramente lasciateli stare. (Stefano Greco)
Nota di colore: i Soulfly (soufflé, per gli amici) sono l’ultimo gruppo che ho vista prima dell’avvento dei giorni strani che stiamo vivendo. Durante il concerto una tizia dai tratti orientali (piuttosto bona quanto imbecille) ha pensato di utilizzare la mia giacca come sgabello per vedere meglio: i suoi fantasmagorici tacchi rosa fucsia hanno a lungo massacrato il mio adorato parka firmatissimo, e quando gliel’ho fatto notare ha risposto piccata che se uno lascia la giacca per terra è del tutto naturale farne un uso del genere. Cavolo, quanto mi mancano quei giorni.

7 commenti

  • Bah, per me manca giusto il featuring con Jovanotti e jarabe de palo in culo a questo disco, giusto per raggiungere nuove e più alte vette di sublime schifo. Una cosa imbarazzante a dir poco

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  • Concordo con la recensione/riflessione. Questo è stato un buon disco, ma purtroppo la marcescenza sarebbe arrivata a breve…ha comunque dei pezzi che funzionano e se non altro era più credibile in questa forma dove scriveva riff marci come i suoi capelli, piuttosto che dopo, quando i riff li scriveva Rizzo e lui dal vivo muoveva le dita ab cazzum sulla chitarra.

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  • Sepultura e Max Cavalera, per me sono stati più di un gruppo metal. Ero completamente in fissa per loro, con tanto di maglietta del Brasile con il loro logo e CD comprati a prezzi inaccessibili ( che ovviamente ancora conservo e ascolto). Adesso non mi sognerei neanche se avessi l’ Alzheimer galoppante di dare un euro ai Solflai, mi piacicchia qualcosa qua e là ma è veramente troppo poco per il cognome che porta. ” Levateglie er vino” non a Max ma ai produttori/ manager delle case discografiche ormai alla frutta.

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  • Perdonatemi, però cercate di capire quanto potesse essere difficile aver passato la propria adolescenza con un capolavoro dei tempi andati come Schizophrenia, poi aver visto uscire dischi come Beneath the Remains e Arise, e dover prendere in considerazione i Soulfly.

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  • pierluigi aliberti

    È vero ,ci provate gusto a gettare merda a gratis .Sembra sempre che ci si debba aspettare il super capolavoro ,ma i loro album , vorremmo averli registrati in molti. Se c’è una cosa da imputare a Max e che si trascura visibilmente e la sua voce è imbarazzante.

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