Sui giovani d’oggi NON ci scatarro su: PALMISTRY e RIOT CITY

A pochi giorni dall’uscita del momentaneo disco dell’anno, ovvero l’ennesima pietra tombale dei Saint Vitus, ecco un’altra uscita con i controcazzi che finirà dritta in playlist. Scovata, stavolta, spulciando Bandcamp a caso.

Mi sono infatti imbattuto, forse in collegamento al napoleonic war black metal dal Quebec di cui si parlava qualche giorno fa, in un’etichetta canadese di nome Temple of Mistery. Andando a controllarne il roster sono stato attratto dalla copertina funebre di Behold! di tali Palmistry.

Quando ne ho cominciato l’ascolto mi sono reso conto ancora una volta che, come in parecchi casi ormai dagli anni Duemila in poi, la consolazione viene sempre dalla musica lenta, cadenzata e funebre. E questi Palmistry ne sventolano la bandiera con grande orgoglio e competenza.

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Le cinque tracce di Behold! sono quanto di meglio ci si possa aspettare da chi vuole un suono aspro, dissonante e tombale al tempo stesso, implacabile catena di montaggio di riffoni da dieci tonnellate l’uno, con la spettrale voce della misteriosa Signora K. B. a intonare cantilene di morte e disperazione. L’occulto e la stregoneria sono l’ovvio leitmotiv ancora una volta. Ma stavolta è tutto particolarmente credibile, grazie al sinistro e marziale incedere e all’amore per la disarmonia che caratterizza lo svolgersi quasi catatonico di tutti i pezzi presenti su questo che tecnicamente sarebbe un EP ma che, però, si avvicina più ad un album, vista la durata che supera di pochissimo la mezz’ora.

Questi canadesi sono un’altra fulgida realtà del genere che si va ad aggiungere a roba come i Messa o i purtroppo defunti Haunted, di cui abbiamo già avuto il piacere di parlare su queste pagine.

Ancora una volta, come capita spesso per le realtà underground provenienti da Bandcamp, il supporto disponibile al momento è solo quello digitale, mentre quello fisico sarà disponibile dal mese prossimo, a quanto leggo nella descrizione online. Nulla togliendo al fatto che, in qualsivoglia maniera verrà fruito, questo lavoro lascerà di sasso qualsiasi amante delle sonorità più nere.

Sia chiaro che non ci troviamo davanti ad una rivoluzione nel genere, cosa difficile di questi tempi, ma davanti ad un’esecuzione molto personale e convincente da parte di questo duo. Secondo me sentiremo parlare ancora di loro. Molto presto.

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Sempre sul versante Canada (che, come discutevamo giusto l’altro giorno in redazione, ha una popolazione che è la metà della nostra ma una quantità pro capite di band storiche e moderne che spaccano come nessun altro paese, tolta la Svizzera), abbiamo forse trovato il gruppo che prenderà lo scettro lasciato vacante dagli ormai decaduti Enforcer, ovvero questi Riot City (nome tributo ai Mark Reale e co.?). Età media ben sotto i trent’anni e speed metal che non fa prigionieri. Copertina in stile priestiano e otto pezzi esagitati ed esuberanti come solo la gioventù capellona e borchiata sa essere. Quello che mi piaceva degli Enforcer era che andavano avanti per la loro strada fatta di riff-rasoiate e ritmiche che scavavano buche nel terreno, e lasciatevi dire che questo Burn the Night suona fresco di energie, seppure ispirato ad un genere che ormai ha quarant’anni.

È la solita storia che è iniziata con il cosidetto “boom del revival anni Ottanta“, un genere che è in voga con un certo successo  non solo nell’heavy metal, ma anche nel cinema e nell’intrattenimento in generale (qualcuno ha detto Stranger Things?). Se prima con una scrollata di spalle mi dicevo che tanto potevo sempre mettere sul piatto i classici che, chiariamo, rimangono sempre la cosa migliore, oggi non posso che essere contento che un ventenne voglia ripercorrere quelle orme, e farlo senza doppi fini di tipo commerciale (come sembra vogliano fare ora gli Enforcer), ma con la cazzimma tipica di un giovincello sfrontato e la passione genuina. Promossi anche loro. (Piero Tola)

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