Netherlands Deathfest 2017, @013 Poppodium, Tilburg, 3-5 marzo

Foto di Niels Vinck

Il momento che ho sognato per anni alla fine è arrivato; finalmente sono riuscito a presenziare ad un vero festival, e non un festival qualunque, attenzione, ma quello che è a tutti gli effetti l’evento death metal europeo per eccellenza: il Netherlands Deathfest. Cercherò di essere il più conciso possibile, anche perché è impossibile tradurre in parole quella che è un’esperienza sensoriale a tutto tondo e che, qualora decidiate di affrontare l’impresa, vi coinvolgerà corpo e mente per tre magnifici giorni, ma cercherò di fare del mio meglio e, magari, riuscirò a stuzzicare in voi quel briciolo di curiosità per fare in modo che l’anno prossimo anche voi siate dei nostri.

Giorno 1: come ogni avventura che si rispetti, anche questa ha un inizio degno di entrare nelle cronache. Io e il buon Ciccio Russo (mio fratello in armi per tutta la durata del festival) ci svegliamo di buon’ora, destinazione aeroporto di Ciampino, dove avremmo dovuto prendere l’aereo per Amsterdam. Uso il condizionale perché, una volta giunti in aeroporto, il mio fido compare si accorge che dovevamo andare a Fiumicino e non a Ciampino che, a quanto pare, è dalla parte opposta di Roma. A vederci da fuori doveva essere una scena di fantozziana memoria, con Ciccio nei panni dello smemorato Filini ed io lì, a balbettare frasi inconsulte dalle quali si potevano evincere solo accostamenti tra il nome dell’Altissimo e animali di dubbia estrazione sociale. Essendo però noi dei veri Manowar non ci siamo fatti scoraggiare e, preso un altro aereo, siamo giunti nella terra dei papaveri all’orario stabilito. Giusto il tempo di lasciare le valigie in albergo che è già ora di partire ché a momenti iniziano i Brodequin. Vi confesso che la band del Tennessee era uno dei motivi principali che mi hanno spinto a presenziare al Netherlands: lo show manco a dirlo è stato fenomenale, blast beat, riff allucinanti e growl catacombale (elementi che saranno ricorrenti in tutto il festival) a tessere le lodi dell’Inquisizione snocciolando antologie sugli strumenti di tortura medievali e sui modi più o meno fantasiosi con cui è possibile infliggere dolore al corpo umano. Terminata la performance io e Ciccio ci guardiamo sorridenti, convenendo sul fatto che i Brodequin siano una delle realtà più sottovalutate del loro genere, e che Instruments Of Torture non abbia nulla da invidiare ad Altars Of Madness. Ci dirigiamo poi al main stage, per farci prendere un po’ a schiaffi dai Discharge e da un singer che, a dispetto degli anni che si porta sul groppone, esibisce un physique du role mica da ridere.

Viene poi il turno dei Gorgasm che snocciolano uno degli show più divertenti di tutte e tre le giornate con il loro brutal death ignorante e cafonissimo. Poco dopo però attaccano i Repulsionquindi gambe in spalla e via con un altro cambio di palco. Anche qui poco da dire: la gente che questa musica l’ha creata si rivela ancora l’unica in grado di riportare dal vivo quella genuinità che è ormai un retaggio passato. Terminato il momento nostalgia abbiamo giusto il tempo di fare un salto ai vari banchetti del merch (cosa che si rivelerà ciclica durante tutto il festival, con buona pace delle nostre finanze) che è già ora di rientrare per spararsi tutto lo show dei Terrorizer che per l’occasione hanno riproposto per intero World DownfallUnica nota stonata: Pete Sandoval che ritarda l’inizio del concerto di venti minuti abbondanti perché insoddisfatto del soundcheck. Come ha saggiamente esclamato il mio compare “con tutto il bene che ti voglio, mò hai rotto il cazzo”, e non avrei saputo dirlo meglio. Siamo quasi al termine del primo giorno, e prima di spararci i Bloodbath sul main stage abbiamo il tempo di ascoltarci qualche pezzo dei Martyrdöd che si riveleranno, ahimè, una mezza delusione. Non so dire da cosa dipendesse, ma confrontandoci siamo giunti alla conclusione che questo tipo di crust mal si presta ad un esecuzione live di questa portata, limitandosi ad alzare veramente il livello solo nelle parti più sparate. Spero di riuscire a rivederli singolarmente e di cambiare magari idea, ma tant’è. I Bloodbath sono stati invece la vera sorpresa della giornata. Se ricordate la recensione che scrissi a proposito del loro ultimo disco, non è che aspettassi con ansia la loro esibizione, ma mi sono dovuto ricredere. 40 minuti buoni di death metal diretto e moderno, eseguito con maestria da dei veterani del genere. Sono riusciti a smuovermi pure con i pezzi estratti dall’ultimo, pallosissimo disco, fate voi. Torniamo in albergo in tarda serata, ansiosi di ripetere l’esperienza il giorno dopo, e con già in testa la tabella di marcia.

Giorno 2: Il secondo giorno è stato senza dubbio il più intenso e duro dal punto di vista fisico: parliamo di 12 ore ininterrotte tra death, black e una spruzzata di grind. Si parte a cannone alle 13 con i Disavowed, gloria olandese riformatasi di recente e alla quale hanno, inspiegabilmente, concesso solamente mezz’ora di show; pure il cantante s’è lamentato e a ben vedere. È poi il turno dei Dead Congregation, mia band feticcio che è stata motivo di ampie discussioni tra me e il mio compare sul fatto che le band greche abbiano quel qualcosa che te le fa riconoscere in mezzo a tutte le altre, pure se, come in questo caso, si tratta fondamentalmente di gente che ha negli Incantation la propria ragione di vita. Ci dirigiamo poi al Patronaat, incuriositi da tali Goat Torment che nessuno dei due aveva mai sentito nominare ma il cui monicker esigeva un approfondimento. Si tratta in sostanza del classico gruppo black/death trucidissimo, tutto caproni e artwork di Chris Moyen, invero tutt’altro che sgradevoli, anzi mi sono piaciuti non poco: da approfondire. Arriviamo al piatto forte della giornata ovvero gli Impaled NazareneAmmetto di non essere mai stato un fan sfegatato della band finlandese, al contrario di Ciccio che per l’occasione si era attrezzato con maglietta d’ordinanza, birrone alla mano, e via nel pit a scapocciare. Io nel frattempo mi stavo preparando per i Defeated Sanity che sono riusciti in meno di un’ora a disintegrare qualunque pregiudizio potesse ancora esistere relativamente al fatto che i metallari non sanno suonare. Musicisti mostruosi, punto e basta. Ci spostiamo nuovamente al main stage per i Candlemass che, neanche a dirlo, hanno spaccato di brutto pur risultando forse un po’ avulsi al contesto, ma ‘sticazzi. Ormai allo stremo delle forze ascoltiamo qualche pezzo dei Gorgoroth e decidiamo di tornare in albergo, vergognandoci un po’ di noi stessi ma determinati a dare il 100% nell’ultimo giorno di Netherlands Deathfest.

Giorno 3: La giornata non inizia sotto i migliori auspici, con un pioggia che si fa via via sempre più fitta man mano che ci avviciniamo al locale ed un vento che non ci dà tregua tagliandoci la faccia e martoriando la mia gola che, un paio di giorni dopo, mi presenterà il conto da pagare con tanto di raffreddore colossale e febbre. Fortunatamente il clima pessimo non aveva nulla a che fare con la qualità dello show che è stata anzi ai massimi possibili. L’ultimo giorno di festival si rivelerà essere il migliore dei tre, con una concentrazione di band talmente cazzute una dietro l’altra da non farci nemmeno rendere conto che erano tre giorni che stavamo in piedi dieci ore di fila con blast beat e doppia cassa sparati perennemente nelle orecchie. I God Macabre sono stati per me i vincitori assoluti di questa edizione, come mi fece notare il buon Ciccio pure i tizi dietro il banco del bar, palesemente non metallari, facevano su e giù con la testa mentre i nostri svedesi impartivano alla platea una lezione sull’ABC del death svedese. Una capatina al second stage per gli Pseudogodaltro giretto al banco del merch (penso che se i figli dei vari venditori andranno all’università un po’ sarà anche merito mio) e via a spararsi i CancerLe botte vere però arrivano alle 19.20, quando attaccano a mille i Demolition Hammerquasi un’ora di ceffoni in salsa thrash tiratissimo e senza tregua alcuna, con un frontman che si rivela un vero animale da palcoscenico nonostante la criniera e la barba completamente bianche. Arriviamo così ai Triptykonattesi dalla quasi totalità dei presenti a giudicare dall’afflusso di gente in concomitanza con l’inizio del loro set. In effetti hanno distrutto decisamente tutto, complici anche alcuni pezzi dei Celtic Frost piazzati in maniera strategica qua e là. Un po’ di sana ignoranza con gli Impaled e si va a rendere i nostri omaggi a Blashyrkh con lo show di AbbathAnche qui, lo spettro degli Immortal si è fatto prepotente ed ha contribuito a regalarci un’esperienza notevole, oltre che una degna conclusione di questa seconda edizione di Netherlands Deathfest.

E così finisce la mia avventura con quello che è stato in assoluto il mio primo festival di alto livello. Non ho particolari consigli da darvi a parte uno: portatevi delle scarpe comode, al termine dei tre giorni avevo un numero imprecisato di vesciche sotto le piante dei piedi che non mi facevano nemmeno camminare dritto. A parte questo dettaglio l’unica cosa che posso dire è che si è trattato di un’esperienza estrema, sotto tutti gli aspetti, e che non vedo l’ora di ripeterla. Ci si vede l’anno prossimo, Tilburg.

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