Cristo si è fermato a Eboli, Satana no: le pagelle dell’Agglutination

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BELPHEGOR: partiti come stereotipo della band black/death ignorante e perennemente uguale a se stessa, è un pezzo che si sono trasformati nell’ennesimo gruppo Nuclear Blast iperprodotto che timbra il cartellino una volta ogni due anni con dischi sempre più leccati e melodici. L’anno scorso al Traffic mi avevano divertito molto ma il merito era stato soprattutto dell’atmosfera: club piccolo e pubblico caciarone che bestemmia dall’inizio alla fine. Stavolta, invece, mi rompo un po’ le palle e finisco per seguire il concerto dalle retrovie.  Bravi, per carità, ma fuori contesto. VOTO: 6,66 POLITICO

LA BIRRA: unico vero tasto dolente. Forst tiepida e un po’ sgasata; economica, sì, ma comunque piscio di cane. E lo dice uno che potrebbe aprire un corso per sommelier di birra del discount. Non ho provato le salsicce locali che venivano arrostite allo stand deputato alla bisogna alimentare, quindi non mi esprimo. Magari ditemi voi com’erano. Però, quando, a concerto ormai finito da un pezzo, hanno svuotato l’ultimo fusto offrendone il contenuto ai superstiti, non mi sono tirato indietro sulla base del mio principio guida secondo il quale non si rifiuta mai l’alcol gratis. VOTO: 3

BUFFALO GRILLZ: parcheggiamo e, avvicinandoci al campo sportivo sede del festival, sentiamo del casino in lontananza. Questi sono sicuramente i Buffalo, fa il Messicano. È vero, a cantare in growl con l’accento napoletano ci riesce solo Giannone, rispondo io. Facciamo la fila mentre stanno suonando Forrest Grind, forse il loro unico brano che ha qualcosa di simile a un testo, ed entriamo, ahinoi, a show quasi concluso, sulle note della delirante Canzone del sale. Non saranno il mio gruppo grind italiano preferito ma mi stanno talmente simpatici che ne parlerei bene anche se pubblicassero un disco di scoregge. VOTO: 38 E’ MAZZATE

CARCASS: prestazione mostruosa, ancora migliore di quella che mi ero goduto all’Hellfest, un po’ per i suoni più nitidi, un po’ perché gli inglesi insistono meno sui medley, il che rende il concerto più fruibile. I vecchi pezzi, infatti, sono stati riarrangiati radicalmente. Questo perché i Carcass non sono un carrozzone nostalgico ma una band che è tornata perché aveva veramente qualcosa da dire, che ha trovato una nuova identità e agisce di conseguenza. Loro raccontano sempre che Symphonies of sickness è un album così grezzo e claustrofobico non per scelta stilistica ma perché all’epoca non avevano i soldi per registrarlo meglio. Infatti Exhume to consume in versione 2014, suonata con chitarre così cristalline che quasi la stravolgono, è fantastica. Gl estratti da Surgical steel (stavolta viene esclusa, chissà perché, Captive bolt pistol) continuano a esaltare anche dal vivo, perfettamente all’altezza dei vecchi classici, spesso riproposti uno attaccato all’altro, con effetto deliziosamente annichilente. Corporal jigsore quandary, The sanguine articleRuptured in purulence e Heartwork sparate tutto di seguito sono abbastanza per mandare al manicomio anche il metallaro più compassato. Jeff Walker, con la vecchiaia, è diventato ancora più cattivo, mentre il nuovo batterista Daniel Wilding si conferma una macchina per uccidere. A un certo punto mi allontano per pisciare, accennano il riff di Black star e torno indietro correndo con i pantaloni mezzo abbassati. Poi attaccano Keep on rotting in the free world (Swansong è un capolavoro, checché ne dica la band stessa) e vado definitivamente in estasi mistica. VOTO: 110 E LODE CON BACIO ACCADEMICO

elvenking_agglutinationLA CUMPA: io, Trainspotting, il Mancio e il Messicano (un po’ sono venuto anche per beccare loro due): quattro cuori e una macchina. L’ineffabile Gabriele Hammerfall che finalmente è riuscito a vedersi i Carcass. Addirittura Matteo Cortesi in trasferta straordinaria. Non lo vedevo da dieci anni (Deicide, Bologna, tour di Scars of the cruficifix) e un po’ mi ha commosso riabbracciarlo. Nel mucchio becco pure qualche conoscenza romana, tra cui Eugenio, un vero Manowar che è venuto fin qua dall’Urbe con una gamba sfasciata. Un abbraccio a tutti. VOTO: 10

ELVENKING: non è affatto il mio genere ma mi sono divertito abbastanza. Il cantante straparla un pochino ma tiene bene il palco. Il bassista ha degli spandex a righe anni ’80 che conferiscono loro un’indiscutibile patente di trueness. Il Messicano, per il quale il folklorismo è fastidio, mi chiede basito cosa ne penso. Io gli rispondo che, appunto, non è il mio genere ma ‘sta roba dal vivo ogni tanto è carina. Mi guarda come se gli avessi appena confessato di essere coprofilo. VOTO: massì, 7

ENTOMBED A.D.: sono una cover band con un membro originale e si sente. Ok, due dei giovinotti che oggi accompagnano Lars Goran Petrov avevano suonato pure su Serpent saints ma, rispetto a quando li vidi a Roma un paio d’anni fa, la resa dei pezzi è più grezza e manca la coesione garantita dalla presenza di un Alex Hellid che era riuscito a mantenere la barra dritta anche dopo lo sfarinamento del gruppo avvenuto dopo Inferno. I casini che hanno portato, di fatto, allo scioglimento degli Entombed e costretto Lars a proseguire (giustamente) con un nuovo moniker mi avevano preso abbastanza male, quindi non riesco a divertirmi come gli altri, anche se è difficile non smuoversi di fronte a macigni come Chief rebel angel e Supposed to rot. Scaletta un po’ sacrificata a causa della posizione nella bill. Saltano, tra le altre, Out of hand e Damn deal done. Gli estratti dal recentissimo Back to the front non sono, però, affatto male. Quantomeno da tutta ‘sta tarantella è uscito fuori un disco decente. Ma ne parleremo nei dettagli più in là. VOTO: 6-

guxLA GENTE: Trainspotting e il Messicano mi avevano raccontato aneddoti che sembravano usciti da La strada di McCarthy. Risse, ubriachezza molesta, tentativi di stupro. Boh, mi sembrano tutti allegri e presi bene. Anche la security è gentilissima. Ai Metallica avevo visto un gorilla aggredire un ragazzo di quattordici anni, qua il carabiniere addetto alle perquisizioni mi chiede se per favore può controllarmi lo zaino. C’è anche una discreta rappresentanza femminile. Siamo sempre troppo pochi, però, speriamo l’organizzazione non ci sia andata troppo sotto. Dato che, da un po’, ogni Agglutination rischia di essere l’ultimo, cerchiamo di fare uno sforzo maggiore la prossima volta, dai. VOTO: 7+  

LA LOCATION: uno qua tende, da una parte, a fare sempre il solito discorso. Eh, però, se devono organizzare un concerto al Sud, potrebbero trovare un posto dove ci arriva almeno il treno. Per me è il primo Agglutination, gli altri mi assicurano che Sant’Arcangelo e Chiaromonte erano ancora più in culo ai lupi. Dall’altra parte, Gerardo Cafaro è uno che non smette mai di crederci e porta nella sua terra nomi che, durante il resto dell’anno, un meridionale può sperare di vedersi solo al costo di farsela quantomeno fino a Roma. E poi mica ci si guadagna il Valhalla recandosi a festival raggiungibili con l’Eurostar. Il campo sportivo di Senise ha un fondo sabbioso ma non si crea l’effetto tempesta dell’Hellfest. Il resto tutto ok, dai. Continua a essere impossibile uscire e rientrare dall’area una volta dentro. Motivi di ordine pubblico, spiega un cartello un po’ sgrammaticato. In realtà suppongo che si voglia evitare che la gente, per risparmiare qualche euro, vada a rifornirsi al bar vicino. Il che sarebbe comunque da veri bastardi, dato che non si può risparmiare qualche euro alle spalle di uno che ti sta portando i Carcass in Basilicata. VOTO: ALTRI 20 (almeno) DI QUESTI ANNI

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