End of the beginning: il 2013 secondo Metal Skunk
Compiuto il consueto rituale egolatrico delle playlist individuali che, come ogni anno, ha mandato tutti nel panico (tranne me e Charles che, essendo due maniaci ossessivo-compulsivi persone serie, ogni gennaio creiamo un file di testo apposito che si rivela stracolmo già a primavera inoltrata), è il momento della classificona generale, con il meglio e il peggio del 2013 metallaro secondo il nostro discutibile punto di vista. Nonostante l’età media delle firme del blog si sia un po’ abbassata, a vincere sono sempre le vecchie lenze, il che un po’ preoccupa, anche perché ormai pare forzato legare ciò solo al gusto scler0tizzato di noi vecchi scoreggioni (io, personalmente, mi ritengo un ascoltatore ancora curioso e affamato e, al di fuori dei confini del metallo tout-court, di band che mi regalino emozioni e che non si siano formate prima del 1990 continuo a trovarne parecchie). D’altra parte, però, il 2013 è stato soprattutto l’anno di due gruppi dall’importanza storica incommensurabile che, tornati in attività dopo un silenzio lunghissimo, hanno pubblicato due album tutt’altro che perfetti ma decisamente al di sopra delle più irrealistiche aspettative, tanto da meritarsi il primo e il secondo posto del podio…
PRIMO POSTO
“Surgical Steel è l’unico album che i Carcass potevano (e dovevano) permettersi di scrivere nel 2013. Un disco nostalgico che trasuda onestà incondizionata, anche se è un roba vecchia, scritta da vecchi, per un pubblico giovane. Se lo si ascolta con la coscienza pulita, consci degli ovvi limiti, può anche stupire, una gran cosa di questi tempi. (Gianni Pini)”.
SECONDO POSTO
“13 è un commiato eccellente, un album bello e credibile che ci ricorda ancora una volta come i Black Sabbath siano la cosa migliore mai prodotta nella storia dall’umanità (Stefano Greco)”.
“Kατά Τον Δαίμονα Εαυτού non richiede nessuna particolare giustificazione, perché è un discone della madonna a prescindere da come la pensiate su tutta la parabola sinusoidale intrapresa dai Rotting Christ, dagli inizi black all’intermezzo gothic fino a questo indefinibile crogiolo di black, epic e folk metal mediterraneo che, in realtà, hanno iniziato a costruire vent’anni fa, quando mezzo mondo giocava a rincorrere la Norvegia (Matteo Ferri)”.
TERZO POSTO
“Siamo di fronte alla più insperata e irreale delle resurrezioni, un disco stracarico di idee, non un filler che sia uno in quasi un’ora di musica. Lineare negli intenti, complesso nella struttura, Target Earth è il metallo famolo strano come ci si aspetta dai Voivod (Stefano Greco)”.
“Con Asa i Falkenbach tornano alle proprie radici. Pagan/black metal cadenzato, ipnotico e dannatamente evocativo come solo questo straordinario cantore di Odino è capace di fare: 45 minuti di pura epicità nordica (Michele Romani)”.
ALTRA ROBA CHE CI È GARBATA
“Se vi piacciono gli Warlord dovete procurarvi The Holy Empire ed al più presto possibile. Dovete proprio, non c’è storia. Ci ritrovate tutto: stesse chitarre, stessa batteria (Roland), stessi suoni di tastiera, stesso tiro dei pezzi, come se ‘sto disco invece di uscire nel millenovecentottantasei fosse rimasto sepolto sotto un cumulo di nastri, ritrovato per caso trent’anni dopo e dato alle stampe (Cesare Carrozzi)”.
“Undici canzoni, undici singoli. Earth Rocker è la colonna sonora delle cose belle della vita, un album così cazzuto che le lettrici dovranno ascoltarlo con il diaframma, altrimenti nascerà un pupo con la faccia di Neil Fallon, barba e tutto, che, appena nato, toccherà il culo all’infermiera e chiederà una birra. È tutto bellissimo, è tutto perfetto. Se gli Iron Maiden sono come la mamma, i Clutch sono come la gnocca (Ciccio Russo)”.
“The Headless Ritual vede un ritorno in grande stile di quel death misto al doom che è da sempre marchio di fabbrica del sempiterno Chris Reifert. Un album con i controcazzi, ferale, marcio dentro e al tempo stesso atmosferico in un modo tutto suo, a tratti struggente, con quell’alternanza di botte old school e passaggi doom da spaccarsi tutte le vertebre cervicali in una volta sola. Gli Autopsy continuano a invecchiare bene (Luca Bonetta)”.
“Quella dei Cult Of Luna è stata un’ascesa lenta ma costante che li ha portati a divenire tra gli interpreti più credibili e talentuosi di quelle tendenze moderne del metal figlie della contaminazione con il post-hardcore di fine anni ’90. Derivativi a inizio carriera, si sono poi costruiti progressivamente una propria identità, definita con prepotenza da questo Vertikal che è forse la loro opera più ispirata (Ciccio Russo)”.
“This World Is Dead vive di rallentamenti groovy, isteriche pedalate in stile Phobia, qualche compressione chitarristica alla Napalm Death e, soprattutto, una traccia bella pesante dei Nasum (ad esempio, c’è il gusto per le aperture melodiche di chiara ascendenza europea, nonché un impianto riff-oriented che tradisce tutta una formazione classica hardcore squatterona). Blockheads promossi col massimo dei voti (Nunzio Lamonaca)”.
“Di antico c’è un recupero pesante e inatteso della vena space rock di Spine Of God, di nuovo ci sono l’essenzialità e la volontà di riallacciarsi alle proprie radici rivendicate in episodi come Hallelujah o Three Kingfishers, riuscitissima cover di Donovan. Ispirati e padroni di loro stessi come non lo erano da parecchio, i Monster Magnet hanno ritrovato di colpo la loro identità e Last Patrol è una delle loro prove migliori di sempre (Ciccio Russo)”.
CIOFECHE DELL’ANNO
“Super Collider fa così schifo che non puoi non ascoltarlo (Charles)”.
“Oltre ogni più nefasta previsione il nuovo disco degli Orphaned Land, che da interessante fenomeno di contaminazione musicale si stanno progressivamente trasformando in un gruppo che produce paccottiglia arabeggiante per i locali dei kebabbari kurdi intorno alla stazione Termini (Matteo Ferri)”.
DISCO ITALIANO DELL’ANNO
Il secondo episodio della Trilogia del fallimento è stato citato da mezza redazione ma nel corso dell’anno passato nessuno si è preso la briga di recensirlo. Non ce ne vogliano i Marnero se siamo dei pigri figli di puttana. Intanto, se non l’avete già fatto, potete ascoltare Il Sopravvissuto sulla pagina bandcamp del gruppo bolognese.
GRUPPO DI SUPPORTO DELL’ANNO
Black Moth (“il gruppo del decennio quantomeno per un paio di settimane”: Trainspotting dixit) perché, alla fine, un po’ di patana ci sta sempre bene. Possano Odino, Crom e Harriet Bevan vegliare su di voi per tutto il 2014, o amici del vero metal.
son preoccupato, di sti dischi qua ne ho sentito uno e m’ha pure fatto schifo. :(
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I gusti sono gusti, per curiosità, quale ti ha fatto schifo?
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mi preoccupa che ne ho sentito solo uno! non sono più aggiornato come una volta :(
cmq mi riferivo ai Rotting Christ, per me assolutamente inascoltabili! poi oh, sarà un capolavoro, ma io proprio non ce la faccio :D
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tutto giustissimo per quanto riguarda i dischi che ho ascoltato..buon anno nuovo metal skunk!
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Buh, dei dischi sopra ho ascoltato per intero solo quello dei Rotting. In effetti “Κατα Τον Δαιμονα Εαυτου” è abbastanza particolare, però è oggettivamente ben fatto, si sente che dietro gli strumenti ci sono delle persone colte.
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Mi addolora leggere che l’ultimo degli Orphaned Land sia una ciofeca: dopo i due capolavori precedenti pensavo sarebbero diventati per me quello che erano gli Opeth dieci anni fa.
Ma dopo la notizia di oggi direi che la band è finita: http://www.truemetal.it/cont/news/orphaned-land-yossi-sassi-lascia-la-band/67162/1.html
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Avevo letto, la mia idea è che Sassi si sia reso conto che la direzione che stava prendendo la band non era molto compatibile con il mantenere una dimensione da gruppo metal e abbia deciso di proseguire su altri lidi. Se così fosse, sarebbe pure una scelta intelligente, anche se il vero problema del disco resta, almeno per me, la bruttezza dei pezzi, non l’ammorbidimento o l’eccesso di contaminazioni (se di contaminazioni si può parlare perché di fatto ‘All is one’ è, per l’appunto, pop mediorientale).
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