WARLORD – The Holy Empire (Sons of a Dream)

Però, sti cazzo di greci. Mediamente stanno malino, faticano a mettere insieme il souvlaki con la moussaka, a momenti l’Europa “bene” li piazza tutti quanti su Ebay – non che poi noi si stia tanto meglio, in prospettiva – eppure hanno gli Warlord in tv. Cioè, gli Warlord nel 2013 alla tv greca che tipo nella loro carriera hanno fatto solo un’apparizione dal vivo, a Wacken, ormai la bellezza di undici anni fa. Non che si siano svenati, chiaramente, che al massimo gli saranno costati una pita e cinque euro a testa, però insomma, dai. Da noi in televisione chi ci gira? Cioè, ve lo sto chiedendo, non è una domanda retorica. Chi la guarda più ormai la tv. Non che mi manchi, naturalmente. Però sono strasicuro che se l’accendessi mica ci troverei gli Warlord che, dopo un minimo di ciance, suonano Lost and Lonely Days:

Che poi pure loro, guardateli un attimo concentrandovi sul trio di membri storici del gruppo, che gli altri sono turnisti: Bill Tsamis pare uscito direttamente da Risvegli, che non so se avete presente ma è quel film dove Robert De Niro fa il paziente catatonico di un bravo dottore interpretato da un Robin Williams nel ruolo che gli è più congeniale, cioè quello del buon professore/insegnante/dottore/sailcazzo – che poi è praticamente l’unico che sa fare, il quale per un certo lasso di tempo si risveglia grazie ad un farmaco sperimentale e poi però torna in catalessi con la bavetta alla bocca e gli occhi vitrei su una sedia a rotelle. Ecco, il vecchio Bill sembra proprio che l’abbiano scongelato con un farmaco come quello tipo a gennaio di quest’anno con scadenza a giugno: se fate in tempo a vederli da vivo per questo periodo bene, altrimenti mi sa che la prossima iniezione gliela faranno tra una decina d’anni sperimentando qualche altra variante del siero dell’allegrezza. 

Poi Mark Zonder, che credo sia l’unico batterista dell’universo che fa di tutto per farsi passare per una batteria elettronica dove tutto il resto di quelli che si trovano a dover usare una batteria elettronica si ingegnano in tutti i modi per farla passare per un batterista vero. Non sto dicendo che suona male, eh. Anzi, ci mancherebbe. Dico che se uno non sa chi suona la batteria è facile che lo scambi per una batteria elettronica, esattamente uno di quei modelli in voga negli anni ottanta coi tastoni di gomma, mica di quelle che adesso ti programmi col pc con millemila suoni ultrafighi anzichenò. Pare una vecchia Roland, insomma. Pure con i Fates Warning, lui suona proprio così. Che poi, ovviamente, sembra una batteria elettronica degli anni ottanta perché viene proprio da quel periodo lì, mica è un caso. Vabbè. Tra l’altro pare il vicino di casa pacioccone e simpatico che vorrebbe chiunque.

In ultimo c’è il cantante riesumato da quasi trent’anni fa, tal Rick Anderson che in pratica nella metà degli anni ottanta fece appena in tempo ad entrare nel gruppo che gli Warlord si sciolsero. Una carriera folgorante diciamo, ed infatti un po’ folgorato c’è rimasto, che pare sciolto col microfono in mano come il cantante sedicenne imbranato della tipica cover band di Vasco Rossi (o Ligabue, o qualche altra puttanata a caso) che debutta alla Sagra della cicerchia a metà agosto o giù di lì. Con la bandana d’ordinanza.

Insomma, ma che cazzo gli dice la testa a questi sveglioni che invece di suonare dal vivo e fare tour da giovani si mettono a calcare i palchi e cinquant’anni suonati non lo so. Cioè, per carità, sono tanto apprezzabili perché si vede che lo fanno per pura e semplice passione, prendendosi le ferie dal lavoro e dalla famiglia e magari non rientrandoci manco con le spese, anzi sicuro. Già solo per quello sarebbe da fargli un monumento. Ma che vi devo dire, io gli Warlord li associo sempre alla cassettina con il logo rifatto a mano e Destroyer che suona la chitarra, Thunder Child la batteria e Damien King con un numero a caso che cinguetta melodie lancinanti su altrettanto lancinanti riff di chitarra. Cioè, immagino che se non fosse che Bill Tsamis a giugno torna in letargo questi ci verrebbero davvero a suonare alla sagra della cicerchia, magari con la cover band di Vasco come gruppo spalla.

Però sarebbe figo. Primo perché suonerebbero buona parte del vecchio repertorio, secondo perché si accontenterebbero di un piatto di cicerchie e non ultimo perché, amici cari, l’ultimo lavoro dei nostri, The Holy Empire, spacca abbastanza. In altre parole: è proprio bello. Bello bello bello. Diciamo che su disco sono ancora Destroyer, Thunder Child e Damien King qualcosa e si sente. Una prestazione maiuscola, che in proporzione fa sembrare il pur buono Rising Of Out The Ashes,  con Joacim Cans alla voce, un dischetto utile giusto come sottobicchiere.

Se vi piacciono gli Warlord dovete procurarvi The Holy Empire ed al più presto possibile. Dovete proprio, non c’è storia. Ci ritrovate tutto: stesse chitarre, stessa batteria (Roland), stessi suoni di tastiera, stesso tiro dei pezzi, come se sto disco invece di uscire nel millenovecentottantasei fosse rimasto sepolto sotto un cumulo di nastri, ritrovato per caso trent’anni dopo e dato alle stampe. Che poi in effetti tre pezzi del disco, City Walls Of Troy, Thy Kingdom Come (fantastica) e Father risalirebbero al proprio ad un vecchio demo mai pubblicato registrato nell’ottantasei. Comunque Rick Anderson dietro al microfono è fantastico. Peccato non aver avuto modo di ascoltarlo appena entrato nel gruppo dato che non fece praticamente in tempo ad incidere nulla. Ma che voce, ragazzi. Che voce.

Vabbè, insomma avete capito: ci vediamo nel 2023 alla sagra della cicerchia, ci saranno gli Warlord col catetere e la flebo più l’ennesima cover band da sagra della cicerchia. Ma anche così ne varrà la pena. Eccome. (Cesare Carrozzi)

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