BLOCKHEADS – This World Is Dead (Relapse)

4pnl_folderVia col pippone, ci metto giusto due minuti. Punto primo: non credo che nel metal & dintorni si possa fare un discorso del tipo major o label indie. Cioè sì, ma le vere major alla fine sono le stesse che dominano anche gli altri mercati discografici non metal. La confusione credo dipenda dalla tendenza a trasportare nel mercato la dimensione tutta virtuale e retorica della scena metal & dintorni senza neanche puntualizzare che, alla fine, death metal, grindcore, love metal e chissà quante altre etichette sono solo (sotto)generi che trovano una sistemazione immaginaria in virtù di una continuità ideologica con certe premesse cardinali del genere. In poche parole, il metal lo fai con un microfono e i soliti strumenti di 50 anni fa e il mercato resta una piccola parte di un più ampio sistema di produzioni in cui primeggiano sempre le stesse grandi etichette. Stare lì a spaccare troppo il capello in due chiedendosi se Century Media sia major e Peaceville indie vuol dire ignorare il lavoro durissimo di sopravvivenza che etichette veramente microscopiche e veramente autonome si impegnano a portare avanti schiacciate dal peso di ben altre storiche indie, che ormai hanno attraversato per i fatti loro ben 25 anni di storia del metal.

La dimostrazione la corroborano dischi di rara bellezza come Enemy Of The Music Business, che all’epoca dava il benservito a Digby Pearson e soci per un trattamento non proprio di favore ai danni della band, o altri titoli eloquenti ad opera di Doom e compagnia bella. Ci sarebbe pure un discorsetto a parte da fare per i tenerissimi Carcass, stroncati nel ’96 da quella che in fondo era una bagatella legale. Insomma, non sono mancati veleni tra band e storiche indie nate incendiarie e morte pompiere, e Peaceville e Earache ne sono solo due esempi. Per cui, per arrivare al dunque e chiudere il pippone, se una band arriva dopo vent’anni ad un contratto con Relapse, innanzitutto tanto di cappello e cerchiamo pure di mettere da parte tutte le accuse di svendita rivolte dai puristi del grind. Io che sono un semplice ascoltatore generalista tendo dunque a chiudere troppo facilmente il dibattito sull’underground e a ricordare a tanti che, Relapse o non Relapse, storiche band grind da anni sotto contratto con la detta label come, mettiamo, i Benumb alla fine continuano a seguirle comunque in tre.

Veniamo al disco. Ci hanno messo dieci anni in più dei Nasum a raggiungere la Relapse questi francesotti, e qualcosa vorrà pur dire. Ma, detto ciò, con tutto che ho avuto notizia della loro esistenza solo al momento dell’arrivo in casa Relapse, la band ha un tiro che più classico non si può. Le chiacchiere stanno a zero, la qualità della loro proposta non si discute, almeno non nei termini di un adattamento ai dettami modernisti dell’etichetta. Anzi, pare che questo sia uno di quei colpetti che ogni tanto la label imbrocca in ossequio alla sua storia fondamentalmente imperniata sugli sviluppi della scena grind dei primi anni novanta.

Anche se un sound così pulito e chiaro è la meno evidente delle odierne consuetudini discografiche, dato che ad una resa chiara e potente non è associato il classico rimaneggiamento in postproduzione, la band viaggia compatta e sfrontata su riff che sono quanto di più basico possibile come a ribadire, nel caso ce ne fosse bisogno, una fedeltà totale alla causa. Una noticina sulla questione delle produzioni. Anche i Nasum esplosero con Helvete dopo un esordio modernista ma ancora sporchino come Human 2.0, e non è detto che quel tipo di paradigma melodico, groovy e industrialoide sia piaciuto di fatto a tutti. Detto ciò, Mieszko era effettivamente il produttore di tutti i dischi della band. Chi vuole capire, capisca ma se non è autonomia questa, non so proprio come metterla giù diversamente. Altro che produzioni milionarie.

Dei Nasum c’è una traccia bella pesante in questo discone grind. Ad esempio c’è il gusto tutto riconducibile alla band di Orebro per le aperture melodiche, calibratissime e ridotte ma di chiara ascendenza europea più che americana, e un impianto riff-oriented che tradisce tutta una formazione classica hardcore squatterona che in qualche frangente mi ha persino ricordato gli sguaiati Sayyadina e in generale un po’ tutta l’urlatissima scena nordeuropea contemporanea. Ma il doppio assalto vocale, il dialogo serratissimo tra chitarra e batteria e l’economia compositiva mi hanno riportato proprio ai migliori Nasum, quelli che, solo batteria e chitarra (il basso era inizialmente sovrainciso), dovevano fare di tutto per riempire un vuoto che normalmente altre band lasciano a progressioni death metal, per esempio. La morale ce la insegna Renzo Arbore: meno siamo, meglio stiamo.

Rallentamenti groovy (anche quelli un tempo nasumiani, che ci volete fare), isteriche pedalate in stile Phobia e qualche compressione chitarristica tra i Napalm Death più moderni e thrasheggianti e quelli della Mark III (Dorrian, Shane il bello, Harris, Steer). Per dirne una, un pezzo come Final Arise poteva stare benissimo nel Mentally Murdered Ep, This World Is Dead nell’ultimo dei Nasum mentre Be A Thorn To Power me la vedo flirtare benissimo col nuovo grind tecnico di Noisear e compagnia, siano sempre fatte le dovutissime proporzioni.

Giuro che ho praticamente pescato le tracce nel mucchio e il risultato è questo, certamente un po’ derivativo ma sorprendente, come derivativa può essere qualsiasi altra band che dopo anni di militanza nell’underground annusa finalmente un po’ di riconoscimento in termini contrattuali. Nel senso: vaglielo a spiegare a questi tizi che il loro disco ricorda mille altre band grind, vai.

Promossi col massimo dei voti, il 2013 parte benissimo.

Que viva la revolucion.

5 commenti

Lascia un commento