Il nuovo dei Satyricon. Purtroppo

villevalo

Il futuro del black metal

Ve li ricordate gli Him? Quel gruppo finlandese che, all’inizio degli anni 2000, conquistava, a colpi di hit come Join me in Death e Your Sweet Six Six Six,  i cuori di tutte quelle adolescenti troppo borderline per lanciare le mutandine sul palco al concerto dei Backstreet Boys ma non abbastanza emancipate per abbracciare il lato più oscuro del metal. Ecco, dopo un quindicennio passato a farci credere che prima i DHG e poi i Khold fossero il futuro del black metal, Satyr, che da sempre è tipo troppo piacione per gli standard del genere, ha finalmente capito che del futuro del black metal non gliene fotte una sega ma che, forse, il futuro dei Satyricon è fare collezione di mutandine di pizzo nero di ragazzine che, quando lui componeva Dark Medieval Times, erano ancora spermatozoi nei testicoli del papà. Non so voi ma, a me, questa sembra l’unica ragione plausibile per giustificare un pezzo come Phoenix, che è obiettivamente qualcosa di raccapricciante da qualsiasi angolazione lo si voglia analizzare. Il lato positivo è che, grazie a Phoenix, ho trovato lo spunto per scrivere qualche riga sul nuovo disco dei Satyricon, che è uscito un mese fa ma noi di Metal Skunk, un postribolo di intellettuali radical chic con una reputazione talmente elevata da potersi permettere di recensire i dischi con un mese di ritardo e ricevere le scuse dei gruppi per aver pubblicato il disco un mese prima, abbiamo bellamente ignorato perché nessuno di noi segue più i Satyricon dai tempi in cui anche gli Him erano famosi.

Che poi il nuovo omonimo (e anonimo) album qualche pezzo carino ce l’avrebbe pure, penso a Walker Upon the Wind e Nekroheaven, ma si porta dietro una carica di spocchia e manie di grandezza che ne rendono indigesto l’ascolto per intero a qualsiasi fan, non fan, ascoltatore occasionale o ascoltatore risentito adorniano che sia. Tutti atteggiamenti del tutto ingiustificati perché se tu, ex gruppo leader della scena norvegese, mi fai attendere cinque anni per produrre la fotocopia degli ultimi due dischi — già di per sé i più brutti dell’intera discografia — io, ex ammiratore dell’ex gruppo leader, ho tutto il diritto di pensare che tu abbia una scarsissima considerazione del tuo bacino di pubblico. A proposito di Adorno, sulla scorta delle sue tipologie di ascoltatori, credo sia possibile catalogare analiticamente l’evoluzione attuale dei gruppi storici del black metal in quattro macrocategorie: 

– I risentiti (o astiosi): quei gruppi rimasti ciecamente ancorati agli anni novanta, rappresentano lo stereotipo delle 101 regole del black metal, che seguono ancora con assoluta fedeltà senza comprenderne la reale portata
– I messia: tutti quei gruppi che si sono sciolti prima di tirare troppo la corda, si sono infilati in una miriade di progetti paralleli prima di riapparire col vecchio monicker, dare alle stampe un disco composto e messo in ghiaccio una decina d’anni prima ed essere acclamati come salvatori della patria ed unici veri portatori del Verbo.
– I paraculi: categoria monogruppo che comprende i Darkthrone, ovvero quel tipo di band che dietro solidissime basi teoriche finge di comporre dischi per puro svago personale e che, attraverso la cosiddetta “mossa Kansas City” sposta l’attenzione su misconosciuti gruppi canadesi mentre, in realtà, sta suonando tutt’altro.
– I gruppi di musica leggera tout court: i Dimmu Borgir.

I Satyricon non rientrano in nessuna delle categorie sopra citate per il semplice fatto che loro, col black metal, hanno poco o nulla da spartire ormai da una vita. Sono produttori discografici, produttori vinicoli, organizzatori di eventi e tutta una serie di altre cose che non possono non far pensare che per loro il black metal sia stata una tappa passeggera, un’infatuazione giovanile consumata nel breve volgere di pochi, gloriosi anni. Per questo non me la sento di spalare ulteriori tonnellate di sterco sul nuovo disco, talmente privo di ispirazione che a Satyr pesava il posteriore anche dargli un nome, come a dire: “quando ho tempo riciclo due accordi, però non fatemi pure perdere tempo a trovare i titoli ché sennò poi mi intervistano e mi chiedono che significati reconditi ci sono dietro”. Non si esce vivi dagli anni novanta. (Matteo Ferri)

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