Sardegna grindcore: intervista agli ASS ACHE con Walter Garau

Travolti dall’uscita di No More Formitrol 30 Years Later, la raccolta dedicata agli Ass Ache, abbiamo intervistato Walter Garau per ricordare la scena musicale della Sardegna fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta e per parlare del suo storico gruppo.

Ciao Walter, per iniziare, cosa ricordi dell’underground metal degli anni Ottanta?

Ciao a tutti, cosa ricorda un piccolo adolescente sardo sperso in mezzo al deserto dei tartari? Io ricordo tutto, semplicemente perché grazie al tapetrading (l’internet musicale ante litteram) sono riuscito a respirare a pieni polmoni quello che era la musica, quasi in diretta. Avevo corrispondenti in ogni angolo della Terra, non cresceva solo la mia cultura musicale, ma nelle lettere di scambio con queste persone si parlava di geografia, di stile di vita, di arte. Fondamentalmente è una rabbia che è nata dentro e che doveva esplodere per forza con la musica. Venivo da una famiglia con condizioni economiche umili, naturalmente c’era molto disagio in Sardegna e venivo etichettato come un clochard, un poco di buono, uno con cui una figlia non si sarebbe mai dovuta approcciare. Nelle lettere e nel tapetrading ho trovato invece il mio mondo, altre persone umili, miei simili che, per sopravvivere al grigiore della loro terra, dovevano per forza buttarsi nella musica. Il tapetrading mi ha inoltre permesso di entrare in contatto con tantissimi gruppi, di chiedere loro foto, reh, registrazioni dal vivo.

Com’è iniziata la tua passione per il metal estremo?

È stata un lento processo, avevo uno zio che mi ha educato all’heavy metal a 8 anni, mi portava a casa sua e mi faceva ascoltare i Black Sabbath, gli Uriah Heep, gli Slade, poi più avanti i Misfits. Io ero ghiotto di musica e non mi bastava, cercavo sempre qualcosa di più, divoravo i dischi, mettevo da parte qualsiasi spicciolo per poterne comprare uno. In breve tempo ho iniziato ad amare i Death, i Possessed. Non ricordo quando iniziai, ma c’era un negozio che si chiamava Sweet Music a Salsomaggiore Terme e da loro ordinavo quanti più dischi potevo. Considerate che per ragioni di sopravvivenza io ho iniziato a lavorare a 14 anni, e tutto quello che guadagnavo lo spendevo in dischi.

Cosa succedeva in quel periodo in Sardegna?

Il posto in cui vivevo era ben lontano dal lusso della costa; quindi, non ho mai saputo cosa volessero dire feste sul mare, settimane in spiaggia. Io ero un ragazzo solitario che passava le ore con le cuffie a suonare e mi importava probabilmente solo quello. In Sardegna verso la metà degli anni ’80 c’era una corsa scellerata ad arricchirsi. Si aprivano banche una dietro l’altra, si iniziava a cementificare le coste. Quasi tutti avevano una casa al mare e una in montagna. I ragazzi della mia età uscivano in una via per esibire le loro magliette Australian e i loro jeans bianchi Ufo. Ho deciso di organizzare concerti per questo motivo e l’ho fatto senza avere un soldo in tasca. Era utile far vedere che il mondo non erano solo discoteche e chi ascoltava metal non era un disadatto sociale.

E dal punto di vista prettamente musicale, cosa succedeva? La Sardegna è sempre stata attiva a livello underground, tu cosa ricordi?

In realtà i gruppi non è che fossero tantissimi in quel periodo, anzi erano pochi, però c’era una fratellanza incredibile. Non c’era l’astio che ci può essere adesso, ora si sta rovinando tutto, la musica sta per esplodere mi auguro che muoia e rinasca come in quegli anni, quando la gente pensava solo a divertirsi, a suonare per passione, per rabbia, o per uscire da una situazione familiare, per sfuggire da un grigiore locale, mentre ora sembra che si suoni per far soldi, per mercificare l’underground. Quindi i gruppi che c’erano allora erano veramente pochi, a nessuno di loro balenava l’idea di tirarsela o di chiedere soldi per suonare. Era veramente qualcosa di puro in maniera totale. I gruppi di allora che facevano grind erano gli Aborti Degenerati, che ci seguivano tantissimo, poi i Brain Cancer, poi gli Why?, che facevano un altro genere molto diverso dal nostro, secondo me troppo avanti per il periodo. Erano molto bravi e molto particolari, si sarebbero meritati un successo enorme, però siccome anche loro suonavano per passione e per divertirsi non hanno mai cercato di “sfondare” – permettermi il termine, anche se è la parola più sbagliata che ci sia. Quindi il presupposto di tutti questi gruppi degli anni Ottanta era solamente di dare sfogo alla propria rabbia attraverso la musica. Questo avveniva anche per noi. Non si pretendeva di partecipare a nessun festival o di andare a suonare fuori dall’Isola. Tutto quello che arrivava era ben accetto, anche perché eravamo molto giovani, ma lavoravamo già, per cui era quasi impossibile per noi spostarsi, prendere ferie, che non ci davano. Eravamo circondati da questo malessere da cui volevamo scappare, ma non ci riuscivamo.

Walter, da qualche parte a Sassari, primi anni Novanta

Quanto era facile o difficile mettere su un gruppo trent’anni fa dalle tue parti?

Poteva essere sia facie che difficile: non trovavi gente che suonasse grind. Se volevi suonare metal classico si, c’erano tanti ragazzi che avevano voglia di mettere su un gruppo. Suonare death metal o grind, invece, quello ti nasceva dal cuore, non c’erano tante persone disponibili a suonarli. Magari venivano ai concerti perché erano incuriositi: tutti i concerti che ci sono stati in quel periodo in Sardegna, parlando di Bulldozer, Agathocles, Clock DVA, sono stati enormi, con tantissimo pubblico, quindi molto partecipati, ma anche perché non c’era un cazzo da fare, quindi anche se non conoscevano i gruppi che si stavano esibendo e non se ne ricordavano neanche il nome, di fronte ad un’assenza totale di proposte si rifugiavano anche in questi eventi. Quando io sono andato via da Macomer per andare a lavorare a Bologna, il mio paese si è spento da questo punto di vista, non c’è stato più nessuno che tirato avanti questa attività, perché bastavano 4 o 5 persone per trascinarne 300, tra curiosi o altri che restavano affascinati, ma di gente veramente appassionata ce n’era veramente poca.

Quindi quello che succedeva era grazie a poche persone che si muovevano, fra cui tu?

Si, tutto era in mano a poche persone di animo pio, che sacrificavano il loro tempo e il loro denaro a favore degli altri. Io e gli altri ragazzi che mi seguivano abbiamo perso tantissimi soldi per far divertire gli altri, trovare locali e spazi per suonare e per organizzare concerti perché pagavamo di tasca nostra. Ci siamo letteralmente tassati in quegli anni per dare un po’ di vita ai nostri paesotti. Andate via quelle 3/4 persone che organizzavano gli eventi, tutto è morto.

Adesso invece com’è? Secondo te è cambiato qualcosa?

Adesso nel mio paese (Macomer) si è ripreso tutto. Ho scoperto che nel mio paese che nel mio paese ci sono gli Eternal Suffering, un gruppo black metal bravissimo, con uno spirito incredibile. Verso Oristano c’è una bella scena, ci sono dei ragazzi che già organizzavano concerti anni fa che stanno continuando stoicamente a organizzarli. Sono molto belli, io stesso ho partecipato ad alcuni di questi perché sono capitati ad agosto, che coincide con il mio periodo di ferie. La scena sarda secondo me è validissima ora: VulturDeathcrush, Infernal Goat, Worstenemy, Engraved, Kre^u, ce ne sono tanti e rappresentano anche diversi generi musicali. Rispetto all’Emilia Romagna, dove abito ora, in Sardegna c’è ancora quella fratellanza di cui parlavo prima. Ovvero, uno che ascolta death metal va volentieri ad ascoltare altri generi, per esempio i Black Capricorn che fanno doom, e viceversa, il pubblico va ad ascoltare un concerto “misto”. Un po’ come negli anni Ottanta gli Agnostic Front suonavano con i Morbid Angel e tutto funzionava. Qui a Bologna cose del genere sono impensabili adesso. Si fanno solo serate a tema, dove tutto è confinato a un filone e nessuno si azzarda a uscire dalle righe. Questo è bruttissimo, perché sta creando barriere, confini e muri invalicabili, come dice il cantante dei Deicide in questi giorni: la musica si sta polverizzando in migliaia di generi e sottogeneri e sembra che ognuno sembra che voglia fare il paladino e custodire le chiavi del suo segmento musicale. Ho notato che questo in Sardegna non succede: si organizzano festival in cui suonano gruppi di sottogeneri diversi.

Sei stato uno dei primi e più prolifici tape trader in Italia, con corrispondenti internazionali di ogni tipo, quando ci si scriveva e si spedivano le lettere a mano. Cosa ne pensi della situazione attuale? Gli appassionati di musica oggi hanno la possibilità di procurarsi materiale, informazioni e contattare chiunque in tempi brevissimi. Che differenza fa questo rispetto al passato?

Il tapetrading si faceva perché non ti bastava il disco del gruppo e non potendolo vedere dal vivo, cercavi di assaporare come potesse suonare dal vivo. Nella mia sperduta collezione, infatti, non c’erano album ufficiali duplicati. Quelli si dovevano acquistare con la dura fatica, se non si riusciva amen. Io sono totalmente contrario a Spotify, Apple Music, i full album su Youtube. Sono deleteri, ma non per una questione di soldi, tanto quelli non si fanno dall’underground, ma per una questione di accumulo: l’accumulo seriale è una delle cose più aberranti che ci sia, gente che accantona giga di mp3 (formato che sarebbe da eliminare dalla faccia della terra) per non ascoltare mai nulla. Mettono insieme delle cartelle di musica insignificanti, che non verranno mai aperte. Nella musica non importa quanti dischi o CD hai, ma importa l’emozione che ti danno, i brividi che ti comunicano. L’inutilità dei full album messi su Youtube è anche data dal fatto che la gente non ascolta più di dieci minuti di musica, per poi passare ad altro. Il mondo dei reel, degli shorts, delle stories ti impone ed educa a un consumo effimero della musica. Quindi dopo un minuto di ascolto l’attenzione cala e si perdono le visualizzazioni, che ormai sono diventate l’unico vessillo portante del successo di un pezzo. Un file digitale, una canzone da Spotify non darà mai e poi mai la gioia di aprire un pacco, di sfogliare un booklet, di seguire un testo con il foglietto in mano. Ovviamente questi sono in miei pensieri, non pretendo che nessuno torni alle tape, alle demo. Questa è stata la mia vita e ora sarebbe totalmente inutile.

E dal punto di vista delle opportunità per i musicisti, c’è qualcosa che è diventato meglio?

Per un musicista internet e i social sono ovviamente producenti, ma quello che trovo sbagliato è mettere interi album a disposizione di chiunque: non è giusto che lo stesso giorno che viene pubblicato un album lo si trovi immediatamente in streaming. Non capisco l’esigenza di mettere un album intero su Youtube o su altre piattaforme, sarebbero sufficienti un paio di canzoni. Poi è chiaro che i mezzi di oggi sono utilissimi per un musicista: uno come me che suona in una stanza può essere visto a livello planetario, per esempio da un altro bassista in Cile o in Giappone, e questo è positivo per la divulgazione della musica. Invece i servizi di streaming, per esempio Spotify, che non uso, ma ho curiosato perché ce l’hanno molti miei amici, secondo me è organizzato malissimo: è una cosa fatta per viaggiare in macchina o per correre, ma l’ascolto della musica è un’altra cosa: è quando ti fermi e ti rilassi, magari ti metti le cuffie per godere di quello che senti. Poi il formato mp3 come ho già detto non dovrebbe esistere, è un tagliabande.

Per l’mp3 è vero, ci sono però delle piattaforme che offrono streaming di alto livello, anche altre ditte hanno introdotto lo streaming “lossless” che va verso una direzione di sempre maggiore fedeltà

Si, ma non sarà mai come ascoltare lo stereo. A parte per noi metallari, pensa a chi ascolta musica classica. Per esempio ci sono delle composizioni di Mozart dove gli strumenti entrano in sequenza uno dopo l’altro e a livello di ascolto sono dettagli finissimi. Se lo ascolti in mp3 o in altri formati di bassa qualità non te ne accorgi neanche, perché certe finezze si perdono nella compressione e nel taglio delle bande sonore. Oppure, tornando a noi, per esempio ho ascoltato World Downfall dei Terrorizer su Youtube. Quello che mi colpiva dei Terrorizer era quel colpo di china fighissimo, brillante, che quasi annunciava il blast beat. C’è una batteria pazzesca, piena di dettagli. Prova invece a sentirlo su Youtube: tutti i passaggi di batteria sono piatti, morti. Quella dinamica entusiasmante che si percepisce nel disco o nel CD non c’è più. Ascoltare musica è come guardare un’opera d’arte: ci sono persone che attraversano i musei, camminando velocemente, mentre altri si soffermano a guardare un quadro alla volta e cercano di capire cosa gli trasmette quell’opera. Con la musica è uguale: o la attraversi o la analizzi. Se la analizzi non vanno certo bene Youtube o Spotify.

Passiamo agli Ass Ache: siete stati fra i primissimi a suonare grindcore in Italia, chi c’era a parte voi?

Gli Ass Ache nascono come detto perché ci trovavamo tre ragazzi e ascoltavamo live di Napalm Death, Electro Hippies, Siege, Totalitär. Le prime registrazioni erano molto noisecore, poi abbiamo virato verso un grind meno casinaro. In quel momento c’erano i Cerebral Disfunction, i Cripple Bastards, i Meltdown, gli Psychopatic Noise, gli Aborti Degenerati, Karneficina, e l’altro mio gruppo in cui suonavo, i Brutal Mutilation. C’erano anche i Grind Pigs, ma a memoria non avevano mai registrato nulla. Eravamo in contatto con tutti questi gruppi, io da pochissimo ho anche intervistato Carlo Strappa per Unholy fanzine che ora suona nei Resurrecturis e con cui siamo amici grandissimi.

Ass Ache, agli inizi della loro carriera

Tu come sei arrivato al grindcore? Cosa rappresentava per te e per i tuoi amici questa musica così estrema e senza compromessi?

Come detto è stato un lungo lungo passaggio: i Cryptic Slaughter, i Siege, i Puke, i grandissimi G-anx mi cambiarono la vita. Poi mi arrivò a casa un live dei Napalm Death precedente a Scum e mi fece letteralmente impazzire, lo ascoltavamo ore nel mio stereo. Ricordo che il batterista diceva ogni fine canzone “Bloody delicious!” oppure “Fucking ace!”, quanto ridevo… Facevo ascoltare a tutti questa musica e capivo che la gente non era preparata, mi dicevano che era merda e non capivano com’era possibile che mi venissero i brividi nell’ascoltarla. Era giunta per me l’ora di pensare di organizzare concerti e far sentire agli altri la potenza del grind.

Parliamo del vostro primo demo: Mere excess of this world, a me impressionò molto per le composizioni, gli arrangiamenti, anche per gli intermezzi, perché era già un passo avanti rispetto al grind che mediamente si sentiva all’epoca. Poi non sembrava per niente un demo, sembrava già un EP e guardava al mondo, più che all’Italia.

Non ricordo la genesi musicale di quel demo, ricordo più che altro i testi. Io avevo 19 e già 5 anni di lavoro alle spalle. Odiavo il lavoro e ne facevo uno che mi metteva a rischio perennemente le dita. Avevo sempre il terrore di mutilarmi in fabbrica perché non avrei mai più potuto suonare e vivevo il tutto, infatti, con un terrore interiore infinito. Non ne parlavo naturalmente con nessuno, l’ambiente della fabbrica era durissimo soprattutto per chi aveva i capelli molto lunghi e pesava appena 50 chili. Tutto il mio odio di quei tempi trovava pace quando tornavo a casa e mi mettevo a suonare con una violenza assurda e scrivere testi contro il lavoro, contro le multinazionali. Naturalmente era tutto fatto di getto, fatto di sola rabbia, senza una cultura approfondita. Avevo finito le superiori ma non mi potevo permettere degli studi universitari. Volevo andare a Pisa per studiare lingue, ma non c’erano soldi. Quindi continuava questa condanna di dover lavorare per poter comprare dischi e magari cambiare il mio basso. Sognavo di scappare via dall’isola vista come una galera circondata dal mare e tutte queste cose sono ben presenti nei testi. Per quanto riguarda la composizione secondo me si risente già dei miei primi studi di basso, qualcuno vide le mie parti di basso come chitarra acustica … (ride).

Ho sempre trovato strabilianti le cover che facevate dal vivo, perché a parte qualche classico grind dei Napalm Death (Deceiver) o dei Carcass, proponevate Bombenhagel dei Sodom, Carnal Leftovers degli Entombed, oppure Flying Killer Cobs from the Planet Bob dei Lawnmover Deth. C’era questa passione per il metal viscerale, veloce e diretto.

Carnal Leftovers degli Entombed mi creò anche dei problemi, sai! Gli Entombed non vollero che io la suonassi e quando andai a vederli dal vivo a Vienna uno di loro che avevo tentato di intervistare per la mia fanzine si incazzò così tanto che mi fece cacciare dal backstage. Ci rimasi malissimo perché non me lo aspettavo che fossero dei divi così montati. La scelta delle cover era solo per divertimento e rappresentava quelli che erano i gusti del momento. Infatti, negli ultimi Ass Ache facevamo anche cover dei Paradise Lost che ci piacevano davvero tantissimo.

In Nuclear Advantage? si poteva già sentire la tua passione per il fraseggio e il tapping. Bellissima canzone, tra l’altro.

Quell’arpeggio lì è stato per anni creduto realizzato con una chitarra acustica, invece era un basso. Nuclear Advantage? parla della servitù militare che c’era in Sardegna nell’arcipelago della Maddalena: sottomarini con testate nucleari erano ben presenti sotto le teste ignare dei turisti che allegramente prendevano la tintarella. Un deposito bellico che non poteva essere accettato e che doveva essere smantellato. Avevamo fatto anche diverse proteste accanto alle basi, ma la gente rideva di noi, era inutile.

Nel 1991 incideste Bathos. La matrice grindcore era sempre la stessa, ma che differenze c’erano rispetto al primo?

La prima canzone Answer for Yourself, fu ripresa da me e riadattata nei Calvary e si trova sull’album Across the river of life.
No Lives Were Lost è una canzone che vorrei tanto riproporre, in cui si delinea finalmente il mio modo di suonare il basso e che rimarrà sempre con quello stile. Vorrei davvero rielaborare questa traccia perché secondo il mio modesto parere avrebbe ancora tanto da dire.
Toxic Exploitation continua a disquisire sul mio odio viscerale verso i lavori insicuri e verso lo sfruttamento dei ragazzi nelle fabbriche. Naturalmente molto si è fatto rispetto ad allora, il rischio di incidenti e di infortuni sul lavoro è calato in una maniera impressionante.
A Cockney’s Lament è uno scherzo in cui io suono Greensleeves, studiavo chitarra classica da un grande maestro recentemente scomparso, Diodato Arru, penso che una delle persone musicalmente più aperte alla cultura musicale e che mi ha insegnato l’amore per compositori come Berio, Dallapiccola, Boulez etc.
Insomma, in questo demo c’è un po’ di tutto non solo grind, ma anche un po’ di quello che ero io come persona.

Una cosa che volevo chiederti da trent’anni: a cosa è dovuto il cambio di suono nel rullante di Worst Criminal Society e in qualche altro brano del demo? Era un effetto voluto?

Non ricordo sinceramente il motivo per cui fu messo un effetto al rullante, tra l’altro non è finito molto bene il mio rapporto con il batterista con cui non mi parlo da 25 anni per ragioni che ancora devo capire. Ma la musica è anche questa!

Le conoscenze del nostro amico

Poi nel 1992 arrivarono altre esigenze, altre idee; era passato pochissimo tempo da Bathos, vedendolo nella prospettiva degli adulti di oggi, ma nella vita di un ragazzo ogni mese può essere una rivoluzione. Ricordo che stavi proseguendo i tuoi studi sul basso e cercavi di ampliare i tuoi orizzonti musicali, avevi seguito anche un corso di jazz. Dove ti portò questa ricerca?

Dopo gli Ass Ache io e il chitarrista formammo i Dismal e facemmo un demo, The Final Phase, mai uscito, che è fermo nel mio cassetto da ormai eoni. Coi Dismal avevamo preso una direzione secondo me bellissima, però il demo come ho detto non è mai uscito, spero prima o poi di riuscire a pubblicarlo con il consenso del chitarrista. In quel demo c’è una nuova versione di No Lives Were Lost, che si può sentire su Youtube. Scoprimmo poi che esisteva già una band italiana con lo stesso nome e quindi decidemmo di cambiare il nome in Dismhal, con la h, e virare verso il black metal. Incidemmo un altro demo, poi chiudemmo definitivamente.

Quindi diciamo che nel 1992 si concluse l’esperienza degli Ass Ache e i Dismal o Dismhal rappresentarono un momento di passaggio verso una nuova fase.

Si, io, nel frattempo, stavo continuando anche con i Brutal Mutilation, altro gruppo grind, con cui avevamo inciso uno split con gli Intestinal Disease. Da lì a poco fui chiamato a suonare nei Calvary e suonavo anche in un gruppo rock chiamato Pagan Place. Ma questa è un’altra storia….

… che racconteremo fra poco.

Per concludere con la saga degli Ass Ache, ci tenevo a dire che per No More Formitrol volevo includere il nostro live a San Gavino, che però non ero riuscito a trovare, quindi non compare nella raccolta. Poi, a seguito di un trasloco, l’ho ritrovato.

Il live a San Gavino! Me lo ricordo, me l’avevi mandato a suo tempo ed era bellissimo, era registrato davvero bene. Spero di risentirlo presto.

Si, sto cercando un’etichetta che mi pubblichi una cinquantina di cassette di questo live, perché era registrato dal mixer ed era veramente bello. Ti terrò aggiornato!

Molto bene Walter, grazie per il tuo tempo e a presto con gli altri tuoi progetti. (Stefano Mazza)

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