La seconda scoperta dell’America: BULLDOZER @Saint Vitus Bar, New York, 11.11.2022

Quando il metallo nostrano si affaccia dall’altro lato dell’Atlantico l’unica risposta possibile è quella di stringersi a coorte, un patriottismo oltremodo amplificato quando si tratta di un pezzo di quella vecchia Italia eroica che non credevamo esistesse ancora. E quindi la chiamata dei Bulldozer, benvenuta quanto inaspettata, non poteva certo essere ignorata. Le serate al Saint Vitus hanno come tappa obbligata il passaggio Greenpoint Beer & Ale Co. birrificio locale poco distante che, oltre alle solite Ipa e robe sperimentali, produce anche una serie di bionde poco pretenziose che infatti in quanto tali vengono servite in boccali oversize stile bavarese, invece che nei tipici barattoli o bicchieri fighetti a cui vengono associate produzioni più raffinate. È in questo posto che incontro il mio compare della serata, una mia vecchia conoscenza romana, il quale, forse anche per sfuggire al suocero che gli è piombato in casa da poche ore, decide di raggiungermi per la serata nonostante non sia per nulla avvezzo alle faccende del metallo (ma grande esperto di centri massaggi, cosa che può sempre tornare utile). Il tempo di buttarne giù una veloce e ci si dirige spediti verso la porticina di ingresso del Saint Vitus, un’entrata talmente low profile che, se non fosse per la presenza di persone lungocrinite, tenderebbe a passare inosservata.

Il Vito (diamogli del tu), stando a parametri oggettivi, è con ogni probabilità tra i peggiori locali di tutta New York, quello che più somiglia ai cacatoi che noi tutti siamo soliti frequentare nella madrepatria. Questa sua essenzialità però è con ogni probabilità anche tra i motivi alla base per cui qui è tanto apprezzato. È abbastanza noto che anche band che potrebbero permettersi posti ben più grossi preferiscano venire qui, magari spalmandosi su più date di seguito per godere de “l’atmosfera” che si respira. Il fatto è che al Vito non hai mai realmente la sensazione di assistere ad uno spettacolo, quanto di essere testimone del reale. Quando la serata funziona, il suo essere un po’ compresso e claustrofobico tende ad inghiottirti e la sensazione è quella di essere testimone e partecipe del concerto metal esattamente come dovrebbe essere. Un po’ l’effetto cercato dai pornazzi o i videogiochi POV, anche se qui il punto di vista è quello del metallaro.

Senza titolo

Il tempo di controllare i documenti (perché in effetti dall’aspetto potrei avere anche meno di 21 anni) e sul palco un ciccione sta già sbraitando in maniera gutturale parole incomprensibili. “Eh ma questo qui potrebbe stare dicendo qualsiasi cosa, non è realmente cantare”, è il commento del mio compare. Evito di entrare in disquisizioni e gli rispondo solo mentalmente con un banale e sintetico: “Welcome to my world”. Nel marasma vario, inizialmente indistinguibile dal pogo, parte anche una rissa fra due microscopici latinos dai capelli lunghi. La cosa viene sedata brevemente da un addetto alla security pelato e la questione si chiude con delle pacche sulle toppe dei rispettivi giubbetti. Ecco quella cosa che dicevo di stare dentro ad un evento non confezionato. Nota sociologica: il pubblico metal a NY (negli USA non so) sembra avere una grossa frattura: i vecchi sono bianchi caucasici e le nuove leve sembrano soprattutto prese dal primo/secondo giro di immigrazione di latinos o asiatici. Non mi addentrerò in discorsi di tipo antropologico, mi limito a dire che la cosa mi fa gioco, essendo tutta gente potenzialmente anche più bassa di me.

Ma torniamo alla cronaca. Finiti i Deceased e il loro rozzissimo (quindi bellissimo) death metal si parte con i Bulldozer e quella che sarà la loro serata. In qualche maniera credevo che il programma così ricco (ben 4 gruppi) servisse a sopperire all’appeal limitato degli headliner sul pubblico locale. È evidente che mi sbagliavo di grosso. L’accoglienza a loro riservata è quella riservata ai capi di stato del metallo. Basta loro poco più di un’ora per compiere il lavoro e mandare tutti a casa sfiniti e contenti. Headbanging, pugni al cielo, il pogo che apre cerchi come un petardo in mezzo alla folla. Con il rischio costante di rovesciarsi il drink addosso data la manifesta incapacità dei presenti di stare buoni un attimo.

bulldozer

Ok, questa in realtà è la data di Toronto

Il gruppo introduce i pezzi e poi va dritto al punto con il metallo di una volta, minimale e sparato a tremila. Questa è la formula e c’è poco da fare, roba così anche fra trecento anni farà lo stesso effetto. Suonano praticamente tutti The Day of Wrath e Final Separation. Sopra il palco è il panico, sotto il palco è il delirio. L’ultimo pezzo è una cover di Iron Fist, tanto per non stare a girarci intorno. La soddisfazione è evidente sul volto di Panigada e nelle parole di Contini che, nonostante il suo aspetto mefistofelico, può davvero far poco per nasconderlo. Perché stasera i Bulldozer non hanno solo spaccato, hanno trionfato, è diverso. Tra le varie vittime c’è anche il mio amico che, sebbene dubito si convertirà al demonio, deve comunque avere particolarmente gradito l’esperienza dato che continua a mandarmi video che ha fatto al concerto. Ma in effetti è una serata che sia io che lui, tutti i presenti nonché il gruppo stesso ricorderanno molto a lungo. È dai tempi del rigore di Grosso o della gomitata di De Rossi che non mi sentivo così orgoglioso di essere italiano. (Stefano Greco)

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