Metallo d’altri tempi: ACCEPT – Humanoid

Gli Accept oggigiorno sono ossigeno per il metallaro. Ricordo che anni fa la situazione era completamente in vacca, e noi ci attaccavamo ai Grave Digger come fossero il respiratore artificiale necessario a tenerci in vita. Uno dietro l’altro Tunes of War e Knights of the Cross ci preservarono negli anni più schifosi delle carriere di Judas Priest e Iron Maiden. Oggi conosciamo a memoria alcune canzoni di The X Factor e reputiamo bellissimo Jugulator, ma, a caldo, ci avevano messi tutti al tappeto. I Grave Digger erano l’heavy metal che girava come meritava di girare; per il resto il power metal europeo l’aveva in tutto e per tutto soppiantato. Uwe Lulis era il loro chitarrista. A Solingen, città tedesca nota per la produzione degli ottimi rasoi tradizionali Merkur, gli Accept erano reduci dall’album Predator e si erano ufficialmente sciolti. Gli anni erano circa il 1997 e 1998, io un ragazzino.

Per rovescio della medaglia oggi i Grave Digger fanno schifo e gli Accept sono il gruppo storico, invecchiato a dismisura e capitanato da uno che ha meno capelli di Peavy Wagner, tuttora capace di fungere da collante fra i metallari. A partire dalla chiacchierata reunion hanno pubblicato in rapida successione tre album bellissimi, dei quali non ho ancora compreso se preferisco Stalingrad oppure Blind Rage. Poi sono fisiologicamente calati, ma con questo non intendo che si siano messi a fare rigorosamente schifo come i Grave Digger. Hanno preso in formazione il loro ex chitarrista Uwe Lulis, l’hanno allargata a sei elementi, e, lasciata la Nuclear Blast, hanno seguito la scia dell’odore di passera e bussato a una nuova casa discografica: la Napalm Records, con un leader pelato che non è nemmeno Johnny Sins.

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Al sesto album dal ritorno sulle scene, due cose sono quasi sparite, oltre ai membri storici residui: i mid-tempo irruenti alla Balls to the Wall, manifesto di tutto il primo periodo della reunion, e quei rimasugli hard rock che avevano invano tentato di dettare una nuova e alternativa via a partire da The Rise of Chaos. Che, perdonatemi, sulle prime mi piacque ma è assolutamente il più debole inciso dai metallari di Solingen dal 2010 in poi. Humanoid si fonda su pulizia, eleganza e riff. Prendo due canzoni: The Reckoning e Nobody Gets Out Alive. Entrambe hanno dei riff che sembrano uscire da Hardwired dei Metallica, con quell’heavy metal pulito e un po’ scarico che, anziché ricercare la forma e la durezza della roccia, si dirige in senso esattamente opposto. Un heavy metal che rappresenta perfettamente i loro autori sessantenni, ma non per questo è spompato. Li preferisco così che alla sfiancante ricerca dei cliché da riproporre, come nella traccia omonima, con quel part human part machine nel ritornello che sembra la parodia di Painkiller o di una qualunque delle canzoni dei Judas Priest sui robottoni aggressivi le cui liriche ci opprimono da decenni. 

In una recente intervista Wolf Hoffmann ha dichiarato di avere sperimentato l’ausilio dell’intelligenza artificiale per generare linee melodiche e per stendere le liriche. Quanto a Humanoid posso francamente complimentarmi con lui per il disastro ottenuto. E scrivile due cazzate, facci vedere che ci tieni e lascia scrivere ai Judas Priest robe da Judas Priest. Lo so che pure Metal Heart non era tutta ‘sta sobrietà, ma non ti ci mettere ora: scrivi, che ne so, dei rasoi della Merkur di Solingen. Bella anche Frankenstein, mentre l’apripista Diving Into Sin, col suo fascino orientale in apertura, è di sicura efficacia. Male, forse malissimo, la ballata Ravages of Time.

Bel ritorno per gli Accept, sicuramente un passo in avanti rispetto agli ultimi due. Wolf Hoffmann, classe 1959, è il solito generatore di riff, e Mark Tornillo, di cinque anni più anziano, e dunque settantenne, non delude neanche stavolta. Che dirgli a questi qua? (Marco Belardi)

2 commenti

  • Avatar di Zakkone

    Boh, per me sono piatti come la merda da Blind Rage in su. E lo dico con rammarico. Noiosi da impazzire, a chi ascolta uno degli ultimi dischi per intero, questo compreso, dovrebbero dare dei soldi.

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  • Avatar di ShotInTheDark

    Era meglio quando, in tempi non sospetti, Jack Ponti dichiarò di avere un software per scrivere i ritornelli “tutti uguali ma diversi” delle sue produzioni. In questo caso MS-DOS batte CHAT GTP 6-0 6-0

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