Quando i SEPULTURA erano in cima al mondo: trent’anni di Chaos A.D.
Michele Romani: Il più nitido ricordo che ho di Chaos A.D., ancora prima della musica, è quello della mastodontica campagna pubblicitaria per promuovere il disco. Era la fine del 1993, cominciavo a comprare ogni tanto qualche rivista musicale e mi ritrovavo l’immagine della mummia capovolta ovunque, anche su giornali come Tutto – Musica e Spettacolo, il mensile edito da Tv Sorrisi e Canzoni che aveva addirittura dedicato quattro pagine di intervista a questi ragazzi di Belo Horizonte coi capelli fino alle ginocchia. Si trattò del primo disco che ascoltai dei Sepultura e ai tempi, da ragazzino alle prime armi, mi sembrava una delle cose più estreme e violente avessi mai ascoltato, opera di una band che fino al litigio tra Max e gli altri era stata un’entità intoccabile. Dal ’93 al ’96 i brasiliani furono considerati una delle più grandi band metal in circolazione. A mandare il pubblico in delirio contribuirono un’immagine trasandata che bucava lo schermo, la fondamentale spinta della Roadrunner e una serie di concerti devastanti (ricordo una data pazzesca a Roma nel ’96 assieme agli Slayer, che ne uscirono triturati). Sul piano musicale, inutile aggiungere altro a cose oramai dette e ridette: il sound più snello, le chitarre più sature, quei ritmi tribali sempre più invadenti ormai li conosciamo a memoria. Io stesso negli anni ho ascoltato molto più Beneath The Remains ed Arise, sebbene pezzi come Propaganda, Territory e Refuse/Resist siano rimasti negli annali. Le cose poi, come sappiamo finirono malissimo, sia da una parte che dall’altra, ma questa è un’altra storia.

Ciccio Russo: Chaos A.D. è uno dei dischi più generazionali degli anni ’90 perché bastava essersi avvicinati al metal qualche anno prima o qualche anno dopo per non capire cosa diavolo ci trovassero di tanto speciale i pivelli di allora. Da certi punti di vista, è invecchiato meglio Roots, le cui velleità sperimentali rimangono comunque tra le testimonianze più nitide di una scena in delirio di onnipotenza che non voleva smettere di espandersi. Fu concepito per vendere vagonate di dischi ai ragazzini e ci riuscì. Riascoltato oggi, ha la struttura di un disco pop da classifica: due o tre pezzi irresistibili all’inizio, un altro paio discreti a metà per evitare che all’ascoltatore si abbassi la palpebra, il resto riempitivi confezionati, nondimeno, benissimo. Non potevamo saperlo ma dentro c’erano già tutti i prodromi dei Soulfly, dalle sperimentazioni un po’ furbette al populismo ribellista (perfettamente in linea con lo zeitgeist delle scuole superiori dell’epoca) che finì per rendere quei Sepultura il mondo di mezzo tra metallari e punkabbestia. Il che andava benissimo, chiaro, perché a 16 anni la massima priorità della vita era svoltare il fumo per la serata e in una compagnia di soli capelloni il rapporto era sempre di una femmina (al 90% fidanzata) a venti. Mica come oggi che vai a un concerto black metal e ti viene il torcicollo. Era il disco “da cricca” per eccellenza, meno trasversale dei Nirvana ma molto più divertente. Quando, dopo troppe Moretti sulla panchina, ti mettevi a sbraitare WAAAR FOOOR TERRITORYYY oppure BI-O-TECH ti facevano il controcanto tutti, anche quello che ascoltava hip hop o il punk che riteneva i Manowar nazisti. Non lo riascoltavo per intero da forse vent’anni ed è stata una madeleine potentissima di tutto quello che rende un’adolescenza degna di essere vissuta.

El Greco: Non potevo aspettare. L’ansia di averlo ed ascoltarlo era tale che incaricai mio fratello di prendermelo da Disfunzioni Musicali, poiché io per qualche motivo (interrogazione, compito in classe?) quel pomeriggio non sarei potuto andare. Con mia parziale delusione lui tornò a casa con il vinile invece che con il formato più costoso che gli avevo commissionato dato che era rimasto solo quello e i cd li avevano venduti tutti.
Lo misi sul piatto, partì Refuse/Resist e ci andai in fissa completa in maniera immediata. In tutta sincerità la questione del cambio di direzione non me la posi proprio, e non ci ho mai riflettuto granché fino a che ne parlai con qualcuno qui nel blog. Sì, era meno sparato e c’era qualche roba un po’ industriale e cose del genere ma quello era lo spirito del tempo, nulla che valesse troppe elucubrazioni o irritazione. Tutte cose irrilevanti davanti all’album nel suo complesso. Semmai mi sembrava l’evoluzione naturale, la mossa consapevole di gente che sa di avere le carte buone in mano e prova ad azzardare qualcosina in più. Ancora oggi rimango più o meno della stessa idea. Alla fine sulla qualità credo ci sia poco da dire; ok, forse cala alla lunga ma questo vale per oltre il novanta per cento dei dischi che abbiamo in casa, e quindi non è realmente un argomento. Anche le varie deviazioni (Manifest, Kaiowas, il pezzo con Jello Biafra), erano tutte azzeccate e congruenti. La loro efficacia semmai fu la legittimazione dei guazzabugli successivi. Ma questa davvero è un’altra questione.

E poi c’era We Who Are Not As Others: con il suo (non) testo e il suo andamento marziale aveva una qualcosa di solenne. Tipo inno nazionale. Immaginateli i rappresentanti sportivi della Nazione Metallara con il petto in fuori e la mano sul cuore che ne declamano le parole prima della sfida decisiva. Altro che la coorte e la morte, lì gli avversari si cacano sotto peggio della Haka. Quella traccia come una rivendicazione di identità ed esistenza, roba troppo importante a sedici anni in cui sei in cerca di definizione e di una alternativa esistenziale alle camicie della Ralph Lauren. La copertina, i messaggi tra il barricadero e l’anticlericale, i credits con i ringraziamenti a tutte le band “importanti”, eccetera, comprare quel disco equivaleva a comprare un mondo.
I Sepultura divennero il mio gruppo preferito anche più di quanto già fossero (avevo, e continuo ad avere, il culto assoluto di Arise e Beneath the Remains); e poi avevano questa cosa di essere un gruppo della periferia del metallo, il fatto che fossero usciti fuori da un posto che non c‘entra un cazzo e che, come anche l’Italia, era completamente al di fuori delle gerarchie che contano me li rendeva in qualche maniera più vicini. Dalle foto promozionali che giravano sulle riviste tentai di copiargli il look e mi comprai i pantaloni militari “da ghiaccio” e misi i lacci bianchi alle Dr Martens. Ovvio che se ci ripenso oggi non è che fosse l’alternativa di vita che mi sembrava allora, era pur sempre un prodotto, ma rispetto a quello che ti vendevano sotto casa era una scelta di gran lunga migliore. E da oggi prometto che lo risentirò più spesso di quanto abbia fatto in questi trenta anni. Oh, che ve lo dico a fare, alla fine io con gli short mimetici grigi ci vado in giro ancora oggi.

Cesare Carrozzi: Tanti anni fa, in una fredda sera d’inverno A.D. 1993, assistevo all’esibizione, nientemeno nei locali di una filiale della BNL (credo per qualche campagna per beneficienza, c’erano eventi e concerti un po’ ovunque), di questo trio batteria/ basso/ chitarra e voce, composto da due fratelli e un terzo tizio, tutti qualche anno più grandi di me, che riproponevano pezzi dei Metallica (Enter Sandman e l’arpeggino di Nothing Else Matters), qualcosa dei Pantera e Territory dei Sepultura. O almeno ci provarono, perché a un certo punto al chitarrista si scordò malamente la chitarra e non era proprio capace di accordarla di nuovo. L’altro sfigato con cui ero lì mi dava di gomito e faceva “vai ad accordargliela tu!” e io, adolescente timido come la merda, “ma che sei scemo!?”. Sicché, dopo l’intervento di un benemerito mosso a pietà tra la ventina di persone che componevano la platea, tra cui un paio di tizi della banca messi lì ad accertarsi che tutto filasse liscio, passati venti minuti buoni ripresero con Territory, ancora un po’ scordata, e conclusero il concerto. Il mio ricordo più vivido legato a Chaos A.D. non è quindi il video di quel pezzo che girava a rotazione su MTV, le interviste finanche in televisione, Kaiowas e le percussioni e gli indios e blablabla ( peraltro tutte cose che la dicono lunga su quanto l’album fosse trainato da una sapiente operazione di marketing), bensì questi tre che si bloccano imbarazzati e scordatissimi e i venti minuti passati ad aspettare che ricominciassero.
D’altronde, a me Territory e i Sepultura più in generale non piacevano affatto. Quello stesso anno era uscito Angels Cry degli Angra e io che ci avevo perso la testa mi sentivo una mosca bianca, visto che di fatto tutti, e sottolineo tutti, i pochi metallini delle mie parti gli Angra non sapevano manco chi fossero, non gliene fotteva nulla, e se gli nominavi il Brasile ti rispondevano “Sepultura!” condito da un rutto. D’altronde un conto è rifare Territory, che scordato e col Metal Zone a palla più o meno la porti a casa, un altro Carry On, sapete com’è. Poi negli anni coi Sepultura ci sono venuto a patti, diciamo che ho ampliato le mie vedute, ma in ogni caso non sono tra i miei gruppi preferiti. Mi piace Chaos A.D. ma apprezzo di più quello che hanno fatto prima e quasi nulla di quello che è venuto dopo. In ogni caso mi ricorda il periodo in cui l’onda lunga dei Metallica si andava spegnendo, Lars Ulrich diceva che il metal era morto, il grunge imperversava ovunque e l’unico metallo ancora figo abbastanza da essere mainstream era quello decostruito e terzomondista alla cazzo di cane, lucrosamente pompato in ogni dove. Bella per loro.

Stefano Mazza: Sono diventato metallaro alla fine degli anni ’80 e, come tutti allora, cercavo di trovare i gruppi più estremi e più veloci in circolazione. Durante questa ricerca, che mi portò in pochi mesi dagli Iron Maiden ai Napalm Death, ero rimasto sconvolto da Beneath the Remains, una grossa novità per l’epoca nonché una perfetta sintesi di quello che volevo ascoltare nel 1989. Avevo poi recuperato Schizophrenia, ancora più fondamentale e programmatico. Trovai strepitosi anche gli esordi Bestial Devastation e Morbid Visions, rappresentativi di un’epoca in cui più o meno tutti i gruppi estremi erano grezzi, eccessivi e blasfemi. La mia adolescenza proseguì poi sulle note di Arise, che ascoltai per tutta la primavera e l’estate del 1991; una delle più colossali uscite metal di tutti i tempi, dove si incontrarono, in perfetto equilibrio, la forza dei Sepultura e l’ingegneria sonora di Scott Burns.
In quegli anni i brasiliani percorsero un’evoluzione artistica incredibile e furono una creatura in costante cambiamento: ciascun loro disco aveva rappresentato il superamento di una soglia che li aveva portati a un livello nuovo, diverso, musicalmente e tecnicamente migliore rispetto al precedente. Date queste premesse, si sapeva o, per lo meno, ci si aspettava che dopo Arise qualcosa sarebbe cambiato. Era un periodo di grandissimi mutamenti per tutti, spesso in peggio, per cui in fondo tutti noi giovani metallari sapevamo che anche i Sepultura ci avrebbero riservato qualche sorpresa. Ricordo bene il momento in cui andai ad acquistare Chaos A.D.: era settembre, la scuola cominciata da poco, ero con un paio di amici ed entrai al Peecker Sound, negozio piccolo, ma sempre ben fornito, del centro di Modena. Era arrivato in digipack, con il cartoncino imbottito. Già la copertina aveva uno stile diverso: era sempre dell’ottimo Michael Whelan, ma era più fumettistica e fantascientifica delle precedenti, che invece avevano un orientamento horror. Lo presi come una concessione al cyberpunk, che all’epoca era ancora di moda.

Il Modena nel 1987, con Sauro Frutti.
Corsi a casa e misi nel lettore il CD. Dopo una prima e prevedibile scossa di adrenalina grazie a Refuse / Resist, Territory, Kaiowas, Biotech is Godzilla, We Who Are Not As Others, passai i giorni successivi ad ascoltare e a cercare di capire questo nuovo lavoro, che mi sembrava bello ma non mi faceva impazzire. C’era la voce familiare di Max, ma era sparito Andreas Kisser. Dov’erano i suoi riff? Si erano persi in un groove accattivante, ma ripetitivo e claustrofobico. E gli assoli? Neanche uno, comunque non certo come quelli di qualche anno prima. Il basso del pur simpatico Paulo, che nei testi del libretto dichiarava di ispirarsi ai “maestri” Jaco Pastorius e John Patitucci, già era in secondo piano prima, figuriamoci ora. E poi tanti brani, tanti minuti, ma poca musica rilevante. Uno degli amici che erano con me quel giorno al negozio di dischi commentò: “Ci hanno messo tante canzoni, potevano farne meno e pensarci meglio”. Aveva ragione. Solo la batteria era rimasta straordinaria, quella funambolica di Igor, che con la sua fantasia e la sua tecnica era riuscito a restare al di sopra del resto del gruppo. Da quel momento per me i Sepultura smisero di essere eccezionali: diventarono normali.
Accettai dunque Chaos A.D. come parte del generale cambiamento che stava coinvolgendo tutti i generi, ma questo non mi mise certo tranquillo. Conclusi che tutto ciò che mi era piaciuto nell’heavy metal stava finendo, oppure stava cambiando in un una maniera meno esaltante di prima. Fu allora, forse, che finì prematuramente la mia adolescenza.

Uno dei primissimi dischi estremi che ascoltai e anche uno dei primi cd che ero riuscito a comprarmi grazie alle mie misere paghette da tredicenne. Ogni tanto mi fa piacere metterlo su, e niente….che belli gli anni novanta.
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Ai tempi l’ho ascoltato in cassetta copiata perché ero povero come la merda, si sentiva da schifo e credo (anche) a causa sua rischiai la bocciatura perché lo ascoltavo a ripetizione in classe, con le cuffiette del walkman nella manica della felpa. Non sarà il loro album migliore, ma dopo trent’anni, quando sento partire Territory ai concerti dei Sepultura 2.0, dei Cavalera of fire o dei soulchissàilcazzo non riesco a resistere al pogo.
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Il pezzo di Cesare mi è piaciuto un sacco. E pure a me piace più Angels Cry rispetto a sto disco estremamente sopravvalutato (non lo reputo brutto, no).
D’altro canto la penso esattamente come Stefano Mazza. Io i Sepultura li conoscevo bene già da un paio di anni buoni. Figuratevi come ci sono rimasto quando ho sentito sti bonghi, bonghetti e amenità da festicciola ar centro sociale.
Attualmente riascolto, ogni tot sbronze, le prime due. Poi mi rompo il cazzo.
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Lo ascoltavamo addirittura nei compleanni dei nostri 18 anni, pensa te quanto fosse trasversale e generazionale questo disco.
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Questi non erano piu’ i Sepultura che avevo amato. Certo alcune canzoni col senno di poi le ascolto ancora volentieri, soprattutto la cover The Hunt e Propaganda, ma ancora ricordo l’incazzatura quando paragonavo l’opener Refuse/resist alle precedenti Arise, beneath the remains o From the past comes the storm… tristezza.
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@stefano mazza: perchè dici di scott burns? Se mi ricordo bene il gruppo fece rimasterizzare tutto il disco da andy wallace proprio perchè non soddisfatti dal lavoro di Burns!!
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Perché parla della produzione di Burns su Arise. Beneath the remains invece fu registrato in patria e mixato da Scott Burns.
Per quel che riguarda Chaos A.D. è esatto quel che dici. Volarono il Florida per lavorare nuovamente nei Morrisound ma poi virarono su Wallace
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Grande album, ‘punk’ e rivoluzionario.Una band che ha saputo fare album diversi fra loro e oggi , abituati a dischi che si perdono nell’ omogeneità, è più difficile averne un buon ricordo. Ho letto di populismo ribellista da superiori e io ,che ho iniziato ad ascoltare i Sepultura nel 1990 durante la leva militare, probabilmente ero vecchio senza rendermene conto.
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ma fate la rece di morbid vision recorder che è una figata. Il chitarrista Session members Daniel Gonzalez(non va in tour ci va Travis Stone) è mostruoso. Anche con la voce di max hanno fatto un buon lavoro(molto riverbero) dal vivo invece è afono.
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Capolavoro. All’ epoca erano veramente amatissimi dai metallari e non solo. Sempre preferito questo ai precedenti, e ho amato anche Roots (ma i Soulfly mi fanno cagare)…
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“da ragazzino alle prime armi, mi sembrava una delle cose più estreme e violente avessi mai ascoltato” in questa frase è racchiuso tutto il mio amore per questo disco. Non mi è mai piaciuto nulla di loro, né prima e tanto meno dopo, ma Chaos A.D. è Chaos A.D.
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