La finestra sul porcile: BORIS 4

L’Azzeccacarbugli: Diciamo la verità: appena è trapelata la notizia della quarta stagione di Boris siamo stati tutti colti da sensazioni contrastanti. Da un lato la gioia per il ritorno di una delle poche autentiche serie cult mai prodotte in Italia, dall’altro il timore per un possibile imbastardimento della serie, di un suo possibile ossequio ai dettami contemporanei della piattaforma o di una possibile e stanca ripetizione di idee superate.

Con questo carico di ansia e aspettativa si può dire fin da subito che la scommessa è stata vinta, per il semplice fatto che questa Boris 4 è semplicemente… Boris! Tutto quello che ha da sempre caratterizzato questa serie è presente anche in questa versione targata Disney+: ci sono i tormentoni, vecchi e nuovi, una grande attenzione per i personaggi e molto meno alle sottotrame che, come in passato, vengono accennate e si perdono nel giro di venti minuti per essere a volte riprese un po’ a cazzo di cane. Tutto questo – difetti compresi – rende unica Boris, che non è mai stata solo una versione italiana di Extras o altri progetti del genere e che – questo farà molto male a Stanis – ha sempre avuto una vocazione molto italiana. E questo è un bene, perché, pur essendo senz’altro molto meno esportabile di altri prodotti nostrani, Boris resta un qualcosa di estremamente personale e difficilmente replicabile.

Ma non dobbiamo pensare solo a una mera appendice del passato: la serie è ben inserita nel 2022, il contesto attuale è ben tratteggiato e ai problemi del nostro “paese di musichette mentre fuori c’è la morte si aggiungono quelli importati dalla piattaforma, dalle multinazionali che impongono una visione e una produzione standardizzata di serie e film che non devono offendere nessuno. In questo Boris 4 sorprende: nel prendere in giro questo nuovo mondo, e il suo perbenismo produttivo e realizzativo, riesce ad essere più scorretto del previsto – tanto da aver suscitato i malumori di più di uno sparuto commentatore – ma con grande gusto e tatto, ridicolizzando ciò che è giusto ridicolizzare ma stigmatizzando ciò che è sempre stato sbagliato e che oggi viene giustamente ripudiato.

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Questo contesto fa da cornice ad una storia su cui è meglio dire il meno possibile: la realizzazione di una serie tv sulla Vita di Gesù, con Stanis LaRochelle (il sempre ottimo Pietro Sermonti) come protagonista e con tutta la vecchia gang quasi al completo. Alla serie, però, è richiesto d’essere al passo con i tempi e deve quindi avere parentesi teen, inclusività e modernità fuori e dentro al set, generando situazioni e sviluppi ad elevato tasso comico.

A mano a mano che la serie si sviluppa diventa chiaro il vero obiettivo di Boris 4: non solo attualizzare il discorso intrapreso tanti anni fa, ma chiudere un cerchio e rendere omaggio. In primis alla serie stessa: ai suoi personaggi, che tornano tutti, anche con apparizioni lampo (come sempre devastante Corrado Guzzanti, star della serie sulla mafia italoamericana PEPPERONI), ai suoi protagonisti, tutti tirati a lucido, con nuove storie da raccontare (menzione particolare va fatta per il duo delle meraviglie Duccio (Ninì Bruschetta) e Lorenzo (Carlo De Ruggieri) autori di due fantastiche interpretazioni e protagonisti di una delle migliori linee narrative), e a noi.

Perché Boris 4 è anche un giusto omaggio al suo pubblico di fedelissimi, che cita le battute a memoria e che ama questa serie da tanto tempo; questa quarta stagione non punta ad allargare il proprio bacino di spettatori ma solo a coccolare, per l’ultima volta, in modo assolutamente riuscito – non ai livelli delle prime due stagioni ma ampiamente su quelli della terza e del film – il suo pubblico. E infine è un omaggio, commovente, sentito, emozionante e toccante, a Mattia Torre, sceneggiatore della serie insieme a Ciarrapico e Vendruscolo, presente in spirito et in corpore non solo dietro le quinte ma anche sullo schermo: coi suoi lampi di genio, le sue linee di dialogo immediatamente riconoscibili e la sua presenza capace di illuminare una scena e che, in diverse occasioni, costituisce letteralmente il motore dell’azione. Un grande autore, uno dei pochi ad essere riuscito a fare qualcosa davvero di diverso in Italia perdipiù scrivendo una serie sull’impossibilità di fare una televisione diversa e che oggi manca, sempre di più.

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Charles: A come AMMERDU. Alessandro, l’ex stagista schiavo della assistente di regia, chiamato in tutti modi (Seppia, ammerda, coso) tranne che col suo vero nome, come merita ogni stagista schiavo da che mondo è mondo, per una beffa del destino è diventato il responsabile della piattaforma, responsabile anche di vigilare sulla applicazione delle nuove linee guida che impongono il rispetto della diversità e delle desinenze. Anche Biascica si vede costretto ad adeguarsi aggiungendo una U inclusiva alla fine.

B come BUCIO DE CULO. Nando Martellone ha una crisi di identità. Dopo aver calcato i palchi di mezza Italia con i suoi formidabili sketch, dopo la crescita comica che lo porta a evolversi verso il parimenti apprezzato E STI CAZZI, addomesticata la coprolalia e superato con successo anche l’impiccio del transessuale ritrovato in casa sua in overdose dopo un festino a base di droghe pesanti, avverte ora la necessità di cambiare direzione artistica e pubblico di riferimento ispirandosi apertamente a Fabrizio Gifuni e a Pierfrancesco Favino, perché Favino può interpretare chiunque. Anche Favino.

C come CANA MALEDETTA. Corinna non è più l’amante del dottor Cane, ora è la moglie di Stanis. Nulla cambia per René, il quale si vede nuovamente costretto a inserirla nel cast della fiction, ma lei riesce a sventare un complotto ordito dal suo stesso marito, finalizzato a farla fuori, recitando incredibilmente bene durante la scena delle NOZZE DI CANA.

D come DIE DIE DIE. Il famoso motto di René assume alle orecchie di Allison, la executive americana della piattaforma, ben altro significato.

G come GESU’ IN AMERICA. La visione di un Mariano sempre più trumpista è che la storia non finisce realmente con la crocifissione ma prosegue oltreoceano. Da qui sviluppa una americanissima idea di religione armata che parte dai bambini: così piccoli sono come delle spugne, assorbono tutto, tu vedessi con quale scioltezza e disinvoltura questi nanetti, nativi armati li chiamiamo, PAM PAM PAM sparano, ma l’innocenza del colpo, la gioia dell’esecuzione. Tutti noi dovremmo reimparare le armi con gli occhi dei bambini.

L come LO DIMO. Quando non ci sono soldi o comparse a sufficienza per girare una scena complessa, tipo la Strage degli Innocenti, gli autori tirano fuori l’antico escamotage dei fratelli Vanzina del lo dimo che consiste nel non girare una scena ma farla raccontare a un paio di attori: tecnicamente non lo famo ma lo dimo.

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M come MIO CUGINO MICHELEL’unico favore che ha richiesto mio cugino Michele è quello di aiutare alcuni ragazzi calabresi che in questi tempi di crisi non ce la fanno ad arrivare a fine mese. Se non era per mio cugino tutto questo ambaradan ce lo dimenticavamo, in cambio ha chiesto due cose: aiutare questi poveri ragazzi e far girare parecchi soldi… Lo senti? Sembra aramaico. (Lopez)

N come NESSUNO TOCCHI MARTUFELLO. Tatti Barletta, personaggio citato in passato come una delle migliori facce demmerda in circolazione, si palesa nella fiction sulla Vita di Gesù e introduce una figura che ci voleva nel pantheon dei personaggi borisiani: il sindacalista.

O come ORECCHIO DI SCENAMa è l’orecchio del Coltello di Stoffa? Sì, ha fatto anche il Coltello di Stoffa. Me pareva. Ma non è soltanto il Coltello de Stoffa, a me me pare de avello visto già in un’artra serie. Lo sai perché te lo ricordi? Perché questo è stato anche l’orecchio di Zazzula, tesoriera africana del conte, e sorprendentemente l’africanissima Zazzù aveva un orecchio caucasico e adesso mi diventa l’orecchio di un caporione nella Palestina degli anni ’30.

P come PIATTAFORMA. Che qui sostituisce La Rete. C’è da ammetterlo, la Disney è stata scaltra ad aver sostenuto l’ironia.

R come RETATA. Quella dei poliziotti che si infiltrano tra gli attori e si bevono il regista della seconda squadra per uso e spaccio di stupefacenti.

S come SPOLETOCo lammerda se semo comprati Spoleto ma c’è un limite a tutto. (Gli autori)

T come TI FACCIO TAXI DRIVERTe la regalo, soppesala, mi raccomando, le piace essere soppesata, eh. Le armi non sono pericolose, l’unico vero pericolo è il rinculo. Questa poi è una pistola speciale, questo è l’unico modello che non ha l’ipocrisia della sicura. Oddio la sicura, oddio la sicura… Ti faccio Taxi Driver, eh? (Mariano Giusti)

U come UNA COSA CHE MI RILASSADa quando ho fatto Pepperoni, la serie che ho girato in Canada, ha fatto il botto, perché ha fatto il botto, tu non ci crederai ma so’ diventato paranoico e il mio terapista mi ha consigliato di tenere sempre con me una cosa che mi rilassa. E lei mi rilassa. E poi questa pistola mi ricorda un po’ mio padre, mi ricorda proprio lui, questa faccia allungata, un po’ cromata, capito? (Mariano Giusti)

V come VOGLIO CHE SMARMELLI. L’omaggio al personaggio migliore di tutti i tempi è d’obbligo: Nu’mme pijà pe’ culo, Duccio! Basta co’ la fotografia da fighetto de ‘sto stronzo. Io voglio la robba tua, la robba tua n’tanto ar chilo, capito, LA ROBBA TUA DE NA VORTA. Voglio che apri tutto… VOGLIO CHE SMARMELLI!

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