Gavetta a oltranza: AVETH – Der Untergang

Ricordo di avervi già parlato degli Aveth, in una lista della spesa credo, un duo di ragazzi russi giovanissimi che si sono buttati a capofitto nel black metal circa quattro anni fa, quando erano nemmeno sedicenni. Questo ci ricorda qualcosa, vero? Io sono fermamente convinto che certa gente con questa testa ci nasce, non basta ascoltare una volta De Mysteriis dom Sathanas per sbarellare, decidere di imbracciare uno strumento e mettersi a scrivere musica black metal. Ce lo devi aver dentro sin da piccolo, altrimenti a quindici anni l’unica cosa che ti interessa è divertirti a più non posso e cercare luoghi dove c’è più figa possibile – cosa che (purtroppo) al black metal si applica raramente se mai.

Ricordo pure di aver letto una loro intervista in occasione del più che soddisfacente terzo album Echoes of a Mournful Dawn nella quale auspicavano che, dopo una certa gavetta, il loro futuro avrebbe potuto garantirgli un sensibile incremento di notorietà perché la dimensione ultra-underground cominciava a stargli decisamente stretta. In effetti Der Untergang è già il loro quarto LP, ai quali si sommano due EP e un singolo (Ocean of Serenity and Dark Oblivion, mai apparso in alcun altro loro disco), il che se vogliamo fa di loro già dei veterani, dato che innegabilmente la loro musica è in costante progresso dal punto di vista qualitativo. Poco ma sicuro: in circolazione si ascolta della musica di livello ben al di sotto della sufficienza, imparagonabile rispetto alla loro. Duole dirlo ma per il momento la loro speranza è stata disillusa, giacché anche Der Untergang esce per Narcoleptica productions, un’etichetta ben distante dai fasti di Osmose, Season of Mist e quant’altro.

Apro una parentesi per presentarvi meglio Narcoleptica productions: è una piccola etichetta underground di stanza in Kazakistan e legata a doppia mandata con la russa Satanath records. Produce e pubblica decine e decine (se non centinaia e centinaia) di dischi all’anno di qualunque genere metal possibile ed immaginabile, preferendo pescare nel sottobosco russo o ex sovietico ma, se gli capita l’occasione, non ha remore a contrattualizzare anche progetti da ogni parte del mondo. Spinge le vendite prevalentemente sul digitale ma di ogni loro pubblicazione esiste sempre un minimo quantitativo anche di CD fisici, che promuove in modo metodico mandando continue e-mail a tutti i clienti che in qualche momento nel tempo hanno avuto a che fare con loro. In questo modo raggiungono una platea piuttosto vasta a livello mondiale, e, grazie anche ad una politica di prezzi diciamo calmierati, molto spesso ottengono ciò che vogliono, cioè vendere il prodotto ad un numero non irrisorio di persone. Nella maggior parte dei casi, per i miei gusti, il livello delle loro uscite è piuttosto basso, ma ripeto che nel loro catalogo ci si trova di tutto, dal grind al retro-thrash, dal war black metal al crossover punk metal al metal classico, sembra che non dicano di no a nessuno. Credo abbiano sempre la speranza di trovare la next big thing che faccia il botto, e in mezzo a tanto ciarpame una certa quantità di roba di alto livello la hanno azzeccata. Diciamo che se suonassi in una band alle prime armi, fossi piuttosto convinto dei miei mezzi ed avessi una minima dose di umiltà che non guasta mai, un pensierino a contattarli per fargli produrre uno o due miei album primevi lo farei: ho la garanzia che lo promuoveranno con la costanza di una major, avrò una discreta visibilità e poi, come si dice, se son rose fioriranno. Chiudiamo pure la parentesi.

Per gli Aveth non sono ancora fiorite le rose, al massimo un po’ di ortiche: incidono ancora per loro perché, nonostante l’esperienza maturata non insignificante ed una passione che si percepisce in ogni solco dei loro dischi, non riescono ancora a fare ciò che sperano, il famoso botto. Der Untergang è un lungo disco che sfiora l’ora di durata e, come i loro precedenti, è assai influenzato dal vecchio black metal norvegese, quello che preferiva velocità meno estreme e che incentrava tutta la sua magia sulle atmosfere cupe, tristi, deluse e deprimenti e su melodie capaci di coinvolgere e di permanere nel cervello dell’ascoltatore per lungo tempo. In questo panorama gli Aveth diversificano il più possibile le loro composizioni, arrangiando i brani nei modi più svariati ed inglobando influenze di metal classico, black atmosferico di stampo pagan/folk, rallentamenti ai limiti del doom, certo death metal americano di fine anni ’80; svisano anche con l’impostazione delle voci che, pur inserite in un contesto riconoscibilmente black metal, sono prevalentemente in growling ma spesso diventano baritonali, pulite, epiche e potenti, e le raddoppiano pure con la tecnica del contrappunto. Il classico screaming ha un ruolo marginale, quasi del tutto ignorato. Da questo punto di vista il nuovo Aveth ricorda parecchio quell’oscuro gioiellino che fu Through the Impure Veils of Dawn degli inglesi Thus Defiled, esso pure molto melodico, cantato prevalentemente in growling, veloce e solo a brevi tratti velocissimo, misconosciuto dal grande pubblico eppure meritevole di imperitura venerazione.

I tre brani iniziali (tolta l’introduzione, mascherata da un pomposo titolo Dark Tide that Collapsed the Sun che sempre intro rimane… è gradevole però) sono i più black metal di tutto il disco, poi man mano che lo stesso si dipana la musica diventa meno aggressiva, più meditata, con eccellenti trame di chitarra e melodie sempre più votate a coinvolgere emotivamente l’ascoltatore. Il picco del disco a mio parere è la lunga The Edge of the Broken Sky, brano da oltre nove minuti che riassume tutta quanta la creatività che gli Aveth hanno voluto sfoggiare in questo loro nuovo lavoro, dalle voci teatrali agli stacchi di chitarra che non sfigurerebbero in un disco speed metal di qualche decennio fa, tempi lenti alternati a sfuriate più veloci, persino assoli. Un pezzo da ascoltare e da gustare come si deve, un pezzo di alto livello che non è da tutti comporre ed arrangiare in questo modo, una pietra preziosa che rifulge di luce propria e non necessita di essere sgrezzata in alcun modo. Mi auguro che per loro sia la volta buona, che qualche label più prestigiosa li noti e li faccia uscire dal pressoché totale anonimato che li perseguita fin dai loro primi passi perché Der Untergang è effettivamente un ottimo prodotto, soprattutto mi auguro per loro che, essendo ragazzi russi appena ventenni, riescano ad evitare il delirio che sta succedendo nella loro madrepatria e ce l’abbiano, in futuro, l’occasione per scrivere ancora un altro disco. (Griffar)

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