BRUJERIA / VENOMOUS CONCEPT / AGGRESSION @ Traffic, Roma – 14.05.2018

Entro di corsa in un Traffic ancora semideserto per ripararmi dalla tempesta che si sta abbattendo su Roma e scorgo dietro al banchetto del merch dei Brujeria un tizio che somiglia tanto, ma proprio tanto, a Kevin Sharp, indimenticata voce dei Brutal Truth e mia sorta di personalissimo animale spirituale. Mi avvicino titubante, col dubbio che magari le secchiate di pioggia rimediate lungo la strada mi abbiano annacquato la vista. E invece no, è proprio lui, col suo classico sorriso sghembo e il cappello lercio da cowboy calcato sulla fronte, a vendere dischi e magliettine dei compagni di tour. La cosa mi lascia abbastanza interdetto, vedere un’icona del genere alle prese con gente che gli chiede “Aò, me dai una L? No, aspè, magari famme prova’ una XL che mi moje dice che so’ ingrassato” è un po’ straniante. Gli stringo la mano, facciamo due chiacchiere e ne approfitto per mettere al sicuro una copia del succulento vinile di Kick Me Silly VCIII dei suoi Venomous Concept, che si esibiranno subito prima degli headliner. Non posso esimermi dal chiedergli se c’è una vaghissima speranza di rivedere un giorno all’opera i Brutal Truth, ma lui scuote la testa sconsolato e mi dice con un sorriso amaro che ormai Dan Lilker non ha più voglia di girare il mondo e ha appeso le stringhe al chiodo, a differenza sua, bastard old dreamer. Caro Kevin, tu sarai pure un vecchio illuso bastardo, ma finché ci saranno in circolazione personaggi del tuo calibro e della tua umiltà, io e tanti come me non esiteremo ad affrontare anche le intemperanze climatiche di un maggio travestito da dicembre per tributare i meritati onori.

Mi congedo con la dovuta deferenza dal mio eroe di giornata per avvicinarmi al palco, dove hanno appena iniziato a suonare i canadesi Aggression. Il frontman è la copia spiccicata di un mio compagno di liceo metallaro trasferitosi in Canada da qualche anno, quindi per un paio di pezzi resto lì a fissarlo con la speranza che sia davvero lui. Poi però apre bocca e sfoggia un inglese privo di qualsivoglia inflessione dialettale salentina, cosa che evidentemente allontana ogni prospettiva di carrambata e mi riporta all’amara realtà che per rivedere il mio amico dovrò aspettare le ancora troppo lontane ferie estive. Non senza un velo d’amarezza mi concentro sul resto del gruppo, che è davvero un’accozzaglia di soggetti improbabili. Il bassista è alto la metà dei suoi colleghi ma ci crede il doppio, sorride beato come se suonare davanti a poche decine di persone a migliaia di chilometri da casa sia la cosa migliore capitatagli nella vita. E magari è davvero così, beato lui. Non sembra pensarla allo stesso modo il chitarrista, che pare uscito da un gruppo sludge di New Orleans e digrigna i denti sotto il barbone squadrando torvamente le prime file. L’insieme però funziona piuttosto bene e il set fila via veloce tra gli applausi di un pubblico che finalmente inizia ad affluire copioso. La proposta degli Aggression può essere descritta con il titolo del loro ultimo album, Feels like Punk, Sounds like Thrash: una serie di staffilate old school senza soluzione di continuità, divertentissima e massacrante.

La doccia di mazzate d’oltreoceano dura troppo poco ed è già tempo di vedere il buon Kevin Sharp nel suo habitat naturale, cioè con un microfono su un palco e non con gli spicci in mano dietro il banchetto del merch. Al suo fianco si staglia la possente mole di un altro peso massimo della scena, Shane Embury, fondatore insieme a Sharp dei Venomous Concept. Alla chitarra c’è quell’individuo di rara bellezza che risponde al nome(n omen) di “Johnny Cheeseburger” Cooke, capace incredibilmente di avere al contempo sia la pelata che i rasta fino alle ginocchia. Con mia somma delusione, dietro le pelli non figura il batterista titolare, Danny Herrera dei Napalm Death, ma un anonimo ometto occhialuto e un po’ stempiato che pare un impiegato delle Poste.

Quella che inizia è una lezione di stile, sotto tutti i punti di vista. Innanzitutto visivo, perché pochi esseri viventi su questo pianeta possono rivaleggiare in grazia ed eleganza con un Kevin Sharp su di giri che vomita improperi con addosso una maglietta dei DEVO strappata che lascia trasparire in tutta la sua tracotante magnificenza un’enorme panza costruita su anni e anni di eccessi alcolici. Ma anche dal lato prettamente musicale, i Venomous Concept si confermano una band davvero di un altro livello. La mezz’oretta scarsa a loro disposizione è un concentrato di furiosi assalti grindcore amalgamati e resi più accessibili da quella scanzonata inclinazione all’orecchiabilità tipica dell’hardcore punk di marca Black Flag, il tutto condito dalla selva di battute di Sharp e dal ficcante umorismo british di Embury. Uno spettacolo di altissimo livello.

Pitti Uomo 2019

Il mio eroe torna grondante a vendere magliettine, mentre il corpulento bassista dei Napalm Death rientra nel backstage per poi uscirne dopo una ventina di minuti con la bandana d’ordinanza a coprirgli il volto e un nuovo basso finemente decorato con dei led luminosi verdi.
Rispetto alla prima (e finora unica) volta che li ho visti, i Brujeria hanno perso quell’alone maledetto che in un mondo senza internet manteneva tutto sommato intatta la sospensione d’incredulità sul fatto che dietro i fazzoletti si nascondessero davvero i volti truci di narcotrafficanti messicani. Non è l’unica cosa che hanno perso nel corso degli anni: El Cynico, alias Sua Maestà Jeff Walker, è stato sostituito da El Criminal, alias Anton Reisenegger, chitarrista dei cileni Criminal, ed El Podrido, alias Adrian Erlandsson, ha restituito le bacchette nientepopodimeno che all’ex Dimmu Borgir e Cradle of Filth Nicholas Barker, per gli amici di Medellín Hongo Jr.

Quello che rimane immutato nel tempo è l’attitudine caciarona, tale da rendere il teatrino, se non credibile, quantomeno piuttosto divertente. Juan Brujo, unico membro superstite della formazione originale, dirige letteralmente le danze, coadiuvato alla seconda voce da un pingue compatriota che sostituisce dal vivo l’altro membro storico Fantasma, al secolo Pat Hoed. Si parte subito col machete in resta al ritmo di Cuiden A Los Niños, in una scaletta che saccheggia a piene mani Raza Odiada e Brujerismo, limitando a tre gli estratti dall’ultimo e poco convincente Pocho Aztlan. Ça va sans dire, la differenza nella resa live tra i pezzi di fine anni ’90 e le produzioni più recenti è enorme, nonostante le due canzoni tratte dall’EP appena uscito Amaricon Czar mostrino una freschezza per certi versi sorprendente. Se un tempo il nemico pubblico numero 1 era Fidel Castro (ricordato con una versione gustosamente rivisitata e attualizzata di Anti-Castro), i Brujeria di oggi ergono a totem da bruciare il presidente americano Donald Trump, la cui testa mozzata appare in bella mostra su una delle magliette in vendita in fondo alla sala. Certo, la trasgressività di un tempo e la sua parvenza di pericolosità sono ormai un lontano ricordo, ma i Brujeria del 2019, presi nella loro dimensione attuale, e cioè quella di un divertissement di lusso, hanno ancora qualcosa da dire. Lo si capisce quando Juan Brujo lancia la volata finale con Consejos Narcos, Colas de Rata e Raza Odiada sparate una dietro l’altra e il livello dello show si alza esponenzialmente.

Non basta il triste siparietto con una ragazza del pubblico trascinata suo malgrado sul palco a offuscare la potenza malefica di certi brani, né un pubblico un po’ freddo e distratto che sorprendentemente capisce meglio il frontman quando blatera in inglese di quando lo fa in spagnolo. Matando Güeros viene cantata a squarciagola da tutta la sala, mentre i due cantanti sguainano gli sciaboloni di servizio e li sbattono violentemente sulle casse. Per un momento si torna nei vicoli di Tijuana, tra sferragliate di mitra e cadaveri carbonizzati in mezzo alla strada. Ci pensano le note dissacranti di Marijuana, delicatissima reintepretazione della lobotomizzante Macarena, a riportarci tra le mura umide del Traffic.
Dopo il concerto Juan Brujo si siede al bancone del bar e sorseggia tequila discutendo amabilmente con tutti quelli che lo passano a salutare, senza però mai togliere la bandana dal volto e la mano dal manico del machete appeso al suo fianco. Non sia mai che qualche agente della DEA sotto copertura si trovi a passare da queste parti con cattive intenzioni.

Fotografie di Benedetta GaianiThe Hurricane Photography

One comment

  • sergente kabukiman

    il pela-rastone è lo stesso che sta nei napalm death già da qualche anno.. ma quanto sarebbe fico se ci fosse stato king buzzo alla chitarra?

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