PARADISE LOST – Tragic lllusion 25 (Century Media)
Se mi sono approcciato in modo positivo a Tragic Illusion 25, compilation celebrativa con la quale i Paradise Lost festeggiano i cinque lustri di carriera, è perché arriva dopo un disco inattaccabile come Tragic Idol, forse il miglior frutto del ritorno nei ranghi metallari della band di Halifax, ritorno nei ranghi che è stato il destino di tutti quei gruppi dal retroterra estremo che, a fine anni ’90, si erano spinti oltre il confine del genere (ci fu chi coniò addirittura il neologismo depeche metal) sull’onda di velleità tanto creative quanto commerciali, per poi essere costretti a riallacciarsi alle proprie radici per ragioni che è riduttivo legare a una mera questione di sopravvivenza (gli unici ai quali il grande salto è riuscito sono stati gli Anathema, che erano però partiti per la tangente già con Eternity). Se sei metallaro, prima o poi all’ovile ci torni. Aristotelicamente, è nella tua natura. Perché, se sei metallaro, lo sei a vita. Se lo sei stato, non lo sei mai stato. Pensate all’album dei Vallenfyre, che Gregor Mackintosh scrisse in reazione alla morte del padre. Quel recupero, per certi versi straordinario, dell’armamentario musicale e iconografico di Lost Paradise e Gothic non avrebbe mai potuto funzionare se quei demoni death/doom non avessero continuato ad agitarsi nel chitarrista, e principale compositore, dei Paradise Lost. A Fragile King è venuto così bene perché è stato un’operazione sincera, perché per Mackintosh è stato assolutamente naturale ricorrere a quegli strumenti espressivi per dar conto di un trauma emotivo di tali proporzioni. E A Fragile King, assai più di Tragic Idol, è stato la vera chiusura di un cerchio che Tragic Illusion 25, in qualche modo, corona.
Come veri inediti contano Loneliness Remains (che trovate in calce all’articolo), presumo proveniente dalle sessioni di Tragic Idol, e le versioni risuonate di Gothic e Our Saviour, proprio da quel Lost Paradise che la stessa band ha sempre liquidato come una demo pubblicata per sbaglio ma al quale continuo a essere parecchio affezionato. Per il resto, è un comunque gratificante amarcord, tra scarti di registrazione (Cardinal Zero, non abbastanza in linea con il sound di Faith Divides Us – Death Unites Us per esservi incluso, o almeno così sostiene Aaron Aedy), b-sides, pezzi apparsi chissà dove (tra i quali la recente The Last Fallen Saviour, uscita su uno dei flexi disc allegati alla rivista americana Decibel), un paio di brani registrati con l’orchestra (quella di Praga, città dove, se Satana vuole, tra un mesetto andiamo a vederci i Black Sabbath) e qualche cover (particolarmente riuscita la rilettura di Never Take Me Alive degli Spear Of Destiny, istituzione minore del post punk inglese). Buon compleanno, Paradise Lost, siete sempre stati il mio gruppo meno preferito della trimurti gothic/doom britannica, ma vi voglio tanto bene.


per me invece sono stati i preferiti, proprio per la loro maggiore metallosità, rispetto a gente come anathema e my dying bride.
Anche la loro fase depeche mode l’ho trovata sincera e mi è piaciuta… nel 1997 suoni ibridi come quelli di one second non li immaginava nessuno, nemmeno i dark tranquillity (sul cui cambio di rotta all’epoca ebbi e continuo ad avere seri dubbi…)
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capisco tutto, ma intitolare un disco così pare più che altro un tributo alla tragica illusione di Immanuel Casto di ricevere un bukkake…
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