KREATOR – Phantom Antichrist (Nuclear Blast)

Il mio rapporto con i Kreator è sempre stato complicato dalle questioni di principio. Quando li scoprii erano già un capitolo chiuso le controverse sperimentazioni di Renewal, figlio di quel periodo nel quale tutti i gruppi thrash, disorientati dall’imporsi del grunge da una parte e surclassati dai giovani e agguerriti alfieri dell’armata death metal dall’altra, avevano cercato di reinventarsi in modo più o meno credibile. Di lì a poco sarebbe uscito lo slayeriano Cause For Conflict, a modo suo un altro esperimento, dove i tedeschi, con una line-up rimaneggiata che vedeva addirittura l’ex Sodom Frank Blackfire alla chitarra, tornarono a picchiare come fabbri ferrai, complice anche la presenza dietro le pelli di Joe Cangelosi dei Whiplash, tecnicamente più dotato di Ventor, momentaneamente transfuga. Rivedemmo il batterista storico (che per un po’ si fece chiamare, chissà perché, con il suo vero nome: Jurgen Reil) già sul successivo Outcast, che attesi con la bava alla bocca non appena seppi che al posto di Blackfire era arrivato nientemeno che Tommy Vetterli dei miei adorati Coroner. È ancora oggi uno dei miei album preferiti dei Kreator, un riuscitissimo esempio di post thrash acchiappone con i ritornelli da intonare al Wacken con un boccale di Warsteiner in mano e le corna da vichingo di plastica in testa. Endorama, però, fu un po’ troppo anche per me. Fu in occasione del relativo tour che li vidi dal vivo per la prima volta, di spalla ai Moonspell. La scaletta pescò a piene mani dagli ultimi due lavori e attinse addirittura da Renewal, con Pleasure To Kill ed Extreme Aggression uniche concessioni ai nostalgici insieme a Flag Of Hate, posta in chiusura a mo’ di contentino. Manco una People Of The Lie piccola piccola. Ci rimasi piuttosto male. Non mi sentii turlupinato come quei poveracci che hanno visto i Dimmu Borgir a Bologna ma insomma. A maggior ragione percepii come una presa per il culo la riesumazione, dovuta anche a ragioni alimentari, di sonorità più tradizionali e cruente nel pur buono Violent Revolution e accolsi con freddezza i seguenti Enemy Of God e Hordes Of Chaos. Dentro di me non potevo non fare il confronto con i Sodom, che avevano continuato dritti per la loro strada beccandosi stroncature su stroncature mentre Mille Petrozza se ne andava in giro con i gruppi più in voga del momento. Questioni di principio, appunto, davanti alle quali passava in secondo piano il fatto che sotto sotto preferissi i Kreator piacioni del periodo con Vetterli alla roba trucida che aveva tirato fuori Angelripper prima di tornare ad alti livelli con Code Red. Riconsiderando quei dischi da un’ottica più matura, appare evidente che gli autori di Endless Pain erano diventati quello che dovevano diventare: il classico gruppo crucco trasversale che invecchiava con gran dignità suonando quello che si attendeva il pubblico. Una placida routine che mi aspettavo proseguisse senza scossoni anche con questo tredicesimo full, le cui anticipazioni avevo accolto con una certa sufficienza. Sbagliandomi.

La presidentessa del fan club dei Kreator festeggia il posizionamento di ‘Phantom Antichrist’ al quinto posto delle chart tedesche

Phantom Antichrist non mi ha fatto saltare dalla sedia ma è stato una piacevole sorpresa. I brani dei tre platter precedenti, quelli del ritorno al thrash, erano sostanzialmente intercambiabili. Qua assistiamo invece al recupero, sebbene negli inevitabili limiti di un prodotto Nuclear Blast concepito per essere digeribile pure ai fan degli Arch Enemy, di quell’insospettato gusto melodico sfoderato dai Kreator a fine anni ’90 che, messo al servizio di quella facilità di scrittura che è impossibile non riconoscere a Petrozza, genera nove canzoni destinate a piacere un po’ a tutti, mai esaltanti ma sempre catchy e convincenti. Non siamo ovviamente di fronte a un nuovo Endorama (anche se certi passaggi e certe vocals pulite vengono proprio da lì): i toni sono sì meno aggressivi e tirati ma il risultato è una maggiore varietà di registri che rende Phantom Antichrist uno dei dischi commercialmente più appetibili mai pubblicati dal quartetto di Essen. Gruppo trasversale, dicevamo. Metallo da Wacken, appunto. Ma nell’accezione migliore possibile. A farla da padrone è una componente maideniana mai così presente che la produzione moderna e la maggior cura negli arrangiamenti spingono in territori a volte contigui al death di scuola Göteborg (ascoltate con attenzione United In Hate e poi ditemi se esagero). Per il resto, come ha scritto Roberto a proposito dell’ultimo Accept, sono presenti tutti i format standard da canzoniere germanico: la cavalcata con il coro da stadio (la title-track) e la randellata vecchio stile (Civilisation Collapse), la ballata riflessiva ma non troppo (Until Our Paths Cross Again, il cui arpeggio mi ricorda Blood Brothers una volta sì e una no) e l’inno da festival con il ritornello da cantare con il pugno alzato (Victory Will Come). Mai più stellari ma sempre solidi e affidabili, capaci di restare fedeli a loro stessi ma in grado di aggiornare il proprio sound quel minimo necessario a non apparire obsoleti e ancora in grado di piazzare qualche colpo di inattesa intensità: in una parola, tedeschi. Questo sono i Kreator e non c’è ragione per cui debbano essere qualcosa di diverso.

Leggo oggi che Phantom Antichrist, a pochi giorni dall’uscita, si è piazzato al quinto posto delle classifiche crucche. Chapeau. (Ciccio Russo)

19 commenti

  • da quello che leggo in giro dovrebbe piacermi, non gli negherò un ascolto. d’altronde Enemy Of God l’avevo parecchio apprezzato

    ho prima bisogno di sapere una cosa però: la produzione è la solita cafonata a volumi sparatissimi stile Nuclear Blast? perché dopo aver sentito l’ultimo dei Grand Magus con i ritornelli clippati dalla compressione del suono sono sull’orlo della più bieca bestemmia, e sentire un altro bel disco con suoni di merda mi ci farebbe cadere in un amen!

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    • Più o meno sì ma ormai quando un gruppo sta su Nuclear Blast non è lecito nutrire troppe speranze in quel senso, se ci sono un paio di riff che sembrano presi da un disco dei Dark Tranquillity non è solo per una questione di scelte compositive…

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  • purtroppo anche il metal soffre della loudness war, che a dispetto del nome non è la tournèe di un noto gruppo nipponico, ma la mania di registrare e masterizzare gli album a volumi pompati ma poveri di dinamica

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  • Madonna è verissima la storia di ‘United In Hate’ come tutto il resto d’altronde, gran disco, superiore al precedente a mio avviso.

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  • sergente kabukiman

    si ma è vero..sti suoni moderni affossano tutto che palle..i gruppi storici dovrebbero recuperare la rabbia vera, e non fare i cattivoni mettendo super produzioni nei loro dischi(parere mio eh)

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  • ma qui non si sta nemmeno parlando di loudness war, si sta proprio parlando di ascoltabilità. non so, sarò stronzo ma non riesco a sentire una canzone in cui alcune parti sono talmente distorte da crepitare. boh, svanisce l’effetto “avvolgente” della musica, è come se ci fosse qualcuno che stona o sbaglia nota.

    faccio un esempio: Hindsights degli Anathema. canzoni che mi piacciono arrangiate in modi che mi piacciono da un gruppo che adoro, eppure non riesco ad ascoltarlo. peggio, se lo ascolto mi incazzo perché penso a come potrebbe essere il disco con un mastering decente. e tutto questo non va bene, perché poi bestemmio e finisco tra le braccia di Belzebù

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    • detto da uno che scaglia moccoli solo se sbaglia a digitare, ti capisco. il fatto è che -a parer mio- tutto ciò che è “cool” e “bombastic” fa a cazzotti con la mia personalissima visione di metal. Intendiamoci, anche a me piacciono le produzioni come si deve, ho il santino di dan swano in auto… roba che presi il primo dei millencolin solo per quello. Un paio di però:
      la regola “+ volume alle chitarre = metal” è una solenne stronzata. Se ti senti che ne so, gli evanescence e poi metti su the number of the beat, il ragazzino di turno ti dice che chi fa metal vero sono i primi. A mio parere, la loudness war applicata al metal, oltre ad averci regalato dei suoni di merda, ha sdoganato di fatto chi fa musica altrettanto di merda, ma con suoni potentissimi, quando spesso il sound serve solo a coprire strutture pop con chitarre distorte.
      Seconda cosa: se è fatta come si deve, una produzione deve avere sintonia con la musica. io non riuscirei ad abbinare altro suono ai Dismember, rimpiango i Fredman studios cuciti addosso agli In Flames, e mi struggo perfino ripensando ai fustini di dixan usati come batteria per non so quanti dischi dei Rage. Ma erano produzioni coerenti con la musica, con tutti i loro difetti e imprecisioni, e questa è una mia personalissima crociata che porto avanti dal 1997, quando per la century media uscirono dischi prodotti da Sorychta tutti uguali (moonspell, sentenced, persino i rotting christ) e tutti con la cover in pantone oro.

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      • sante parole, sono d’accordo praticamente su tutto! per quanto, amando io il progressive, preferisca in generale una produzione “pulita”; nel metal c’è anche bisogno di grezzume e zozzeria. e non si può negare che le ultime tendenze, dalle produzioni patinate tutte uguali del periodo death melodico alle ultime tendenze ultra bombastiche stiano promuovendo dischi di merda e rovinando dischi buoni

        ps. per me le produzioni di Sorychta di metà anni ’90 sono altrettanto caratteristiche di un determinato momento e di un determinato modo di vedere la musica, che ovviamente poi può non piacere =)

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      • ma anche a me Sorychta non è che dispiacesse come “creatore di sonorità”, quello che mi faceva storcere il naso era che venisse appioppato addosso a tutti quelli che passavano per i suoi studios, tutti sotto century media, tutti con copertine simili e tutti con una fase goticheggiante.
        mi puzzava di artefatto… per contro anche i tagtgren bros all’epoca avevano il loro “abyss-sound” ma almeno era un po’ diversificato, basta che ti senti i dark funeral e i natron dell’epoca, giustamente non potevano avere lo stesso feeling sonoro.

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