ATLANTEAN KODEX – The Golden Bough (Cruz del Sur)

Parlando dei Maiden avevo accennato all’impossibilità di riproporre l’epic metal negli anni 2000 mantenendo inalterate le caratteristiche formali che vent’anni fa ne avevano fatto un genere a sé stante. Epic non in quanto epico ma in quanto rispondente a precisi stilemi che, pur con le loro enormi differenze, erano condivisi dai gruppi che a posteriori sarebbero stati definiti come tali. Essendo l’epic metal caratterizzato non tanto dall’essere epico –come erano epici altri gruppi non percepiti come appartenenti al genere- quanto dalla rispondenza a precisi tratti stilistici, la riproposizione dello stesso a distanza di venti-venticinque anni dalla sua età dell’oro non può che passare per la riproposizione di quegli stessi tratti stilistici.

Gli Atlantean Kodex portano all’estremo queste premesse. Come molti altri gruppi dell’ultima decade (si pensi agli italiani Doomsword, o ai meravigliosi Battleroar, o a decine di altri) sembrano registrazioni di metà anni ’80, sia nel suono che nello stile; qui però si va oltre. The Golden Bough è un copiaincolla pedissequo di vecchi dischi, la cui unicità sta al limite nel modo in cui questi ultimi vengono assemblati. Il nome che balza in testa durante la prima Fountain of Nepenthe è quello dei Bathory del trittico Blood Fire Death / Hammerheart / Twilight Of The Gods: i pattern ritmici sono presi di peso dalla band di Quorthon, specie nell’incedere e negli stacchi; non posso mettermi qua a fare avete presente quando fa tutupà tutupà tutupatutupatutupà, però ecco, avete presente le varie Shores In Flames, Blood Fire Death, A Fine Day To Die, One Road To Asa Bay? Qui è praticamente identico. Così come la saturazione delle chitarre. L’atmosfera è però meno barbarica: la voce, così come l’intera operazione, è rarefatta, quasi in punta di piedi, ricordando i Candlemass di Nightfall e gli Warlord di Deliver Us, capolavoro che solo gl’impuri di cuore non riescono ad apprezzare.

Chi mi legge sa che dalla mia penna non usciranno mai cose come l’epic metal non è per tutti. Che non mi si fraintenda dunque se dico che per capire questo genere c’è bisogno di una sensibilità particolare: chi questo genere lo capisce davvero, senza bisogno di pose o fingimenti, sa che non ci sono parole per definire davvero quello che può darti. The Golden Bough non è un capolavoro, ma è davvero un disco di epic metal. Non solo perché ne riprende gli stilemi, ma perché nei suoi alti e bassi ti dà esattamente quello che riuscivano a darti quei dischi. Il merito degli Atlantean Kodex è crederci, a costo di apparire grotteschi e fuori tempo massimo; e forse a molti appariranno davvero così. Ma a noi, noi che ancora abbiamo un cuore, questo non deve importare. Grazie di esistere. (Roberto ‘Trainspotting’ Bargone)

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