CHARRED WALLS OF THE DAMNED – st (Metal Blade)

Recensiamo questo disco in ritardo perchè quando è uscito (2 febbraio) Noize neanche esisteva, e però Charred Walls Of The Damned non meritava di finire nell’oblio totale. Ho letto qualche opinione in giro, tutte di tenore freddino, quando non negativo: io ci sono rimasto folgorato dalla prima volta che l’ho ascoltato, e volevo fare qualcosa di più che parlarne a Ciccio -il quale fa finta di interessarsi facendo di sì con la testa ed emettendo mugugni di approvazione ogni tanto mentre negli abissi oscuri della sua mente rimbalzano immagini di zombi con le fattezze di Audrey Hepburn che bevono il cannonau e ascoltano gli Slayer- quindi, mi sono detto, facciamo una recensione, e recensione sia. I Charred Walls Of The Damned sono fondamentalmente un supergruppo fondato a tempo perso da Richard Christy (talentuosissimo ex batterista dei Death e di un milione di altri gruppi tra cui gli Iced Earth e, ehm, i Caninus, quelli mascherati coi pitbull alla voce) con Steve DiGiorgio, Tim ‘Ripper’ Owens e un altro tizio alla chitarra, probabilmente uno di quelli che non hanno un cazzo da fare e passano la vita ciondolando ai Morrisound manco fosse il bar del paese, venendo poi puntualmente raccattati a suonare negli Iced Earth o qualche gruppo death a caso. Questo tizio, appunto, il cui nome è Jason Suecof, pur essendo piuttosto bravo a suonare il suo strumento, è stato finora impegnato fondamentalmente in gruppi demenziali tipo i Crotchduster (a cui partecipavano anche John Tardy e James Murphy e il cui unico album si chiama Big Fat Box of Shit, scatolone di merda, attenzione) e i Gargamel, band black metal demenziale con liriche incentrate su The Legend of Zelda (attenzione pure qua), a quanto leggo autori di un unico demo intitolato, giuro, Legions of Ganon. Richard Christy è diventato una specie di celebrità, a quanto ho capito. E’ ospite fisso di un programma radiofonico chiamato Howard Stern Show in cui ha una rubrica di scherzi telefonici, inoltre è attore e pure regista: tra l’altro il nostro eroe (che qui trovate ubriaco come una pigna) ha avuto l’illuminazione per il nome della band dopo uno dei ripetuti scherzi a un predicatore evangelista (di quelli che fottono i soldi agli americani, avete presente) il quale, al culmine della rabbia, gli ha inveito che sarebbe finito all’inferno a grattare con le unghie sulle bruciacchiate mura dei dannati. Charred walls of the damned. Genio.  

Bene, il disco. La prima cosa che ho pensato è stata ‘è così che dovrebbe suonare l’heavy metal nel 2010’. Potente, cazzuto, trascinante, epico, cupo, commovente, che ti fa incazzare fuori e immelanconire dentro. La personalità degli strumentisti è strabordante, eppure il disco è omogeneo e compatto come se fosse frutto di una band di mestieranti che girano insieme da vent’anni. Niente da dire sulla sezione ritmica (bassista di Human e batterista di The Sound Of Perseverance), e neanche su Ripper (il cantante di metal classico più CAZZUTO che abbia mai sentito dopo Rob Halford, e forse non a caso), mentre Jason Suecof è ispiratissimo, e alza un muro di suono impressionante: la chitarra solista è continua in ogni pezzo, senza quasi mai cedere il passo alla ritmica, e quello che ne esce fuori è epico, malinconico e cupo insieme. Pur non essendo accostabili immediatamente a nessuno che mi venga in mente, sono comunque inquadrabili nella scuola del power americano, da cui riprendono attitudine e modo di approcciarsi alla materia; un album così intenso, però, non usciva forse dai tempi di Dark Saga.

L’opener Ghost Town, una delle più aggressive, mette subito le carte in tavola: un istantaneo intro di batteria stile Scavenger Of Human Sorrow e subito megariffoni, doppio pedale che raddoppia il tempo, accelerazioni e decelerazioni improvvise tra le strofe ma sempre, quasi onnipresente, la chitarra solista che segue il suo ritmo epico e amalgama tutto non facendoti pesare il carico di tecnica strumentale. Il vibrato stridente e sofferto di Ripper non è mai stato così ispirato dai tempi di Jugulator, forse. Dalla successiva From The Abyss i toni si fanno più introspettivi, cupi, il tempo rallenta e la chitarra di Suecof cresce ancora di più in personalità e malleabilità, equilibrando il continuo dualismo, qui spinto quasi all’esasperazione, tra la sezione ritmica che martella e la coppia voce/chitarra solista che dà respiro e carattere. A metà del disco, micidiale l’uno-due tra In A World So Cruel, mid-tempo alla Metal Church cantato fino allo spasimo da un Ripper in stato di grazia, e Manifestations, che parte normale e poi accelera fino al blastbeat; The Darkest Eyes invece va al contrario: parte col blastbeat per arrivare al ritornello arpeggiato. Insomma, se Richard Christy mi facesse uno scherzo telefonico io gli consiglierei di chiudere il telefono, chiamare gli altri tre e tornare a fare musica. Copertina tremenda e Die Hard a parte, credo che sarà questo il mio disco dell’anno. (barg)

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