TIAMAT – “Wildhoney” (Century Media, 1994)

Non posso negare la difficoltà nell’approcciarmi ad una recensione su Wildhoney. Pur essendo fortemente motivato a farlo non so proprio da dove cominciare. Mi affiderò al flusso di coscienza dei paradisi artificiali. Per apprezzare appieno Wildhoney bisogna avere tanto tempo a disposizione, tantissimo. Inoltre, ai fini di un proficuo ed intenso ascolto e riascolto, la liturgia consiglia anche l’assunzione massiva di funghi psilocybe o, più facilmente reperibile, dell’ottima ganja. È un album lento, riflessivo e sognante ed in quanto tale merita che intorno ad esso si creino le migliori condizioni ambientali possibili. Quindi: pronti, rollate, via!

Tutto comincia in Mesopotamia, la culla dell’Umanità. Per i nostri progenitori Assiri e Babilonesi l’androgina Tiamat, mezza serpente, mezza aquila e mezza coccodrillo, era la Madre di tutta la stirpe divina. La leggenda narra che Marduk (che come tutti sanno era un gran fetente), a causa di un banale diverbio tra parenti, squartò in due la bisnonna Tiamat generando così il Cielo e la Terra. Qui inizia la nostra storia. Dalla Mesopotamia alla Svezia la distanza geografica è molta ma quella culturale è più breve di quanto si pensi. Infatti per scrivere cose del genere (leggetevi l’Enûma Eliš se vi avanza tempo) se ne erano calati di acidi, lor signori. Johan Edlund e soci nel lontano 1994, qualche millennio dopo i tragici fatti babilonesi di cui sopra, a seguito di un periodo di ritiro spirituale condito da gran uso e abuso di additivi chimici, ispirati al massimo grado dal precedente capolavoro di atmosfere chiamato Clouds, vuotarono i serbatoi della loro immaginazione fino all’esaurimento dentro un caleidoscopio incantato di suoni ed immagini. Mai come in Wildhoney Johan (non proprio un virtuoso della voce) aveva cantato ed interpretato in modo tanto efficace. Mai era riuscito a fondere così bene le sussurranti clean vocals e i cupi growls apocalittici. E nemmeno dopo, purtroppo. Oggi se si va a vedere il pacchianissimo sito internet della band non si capisce proprio come gente del genere (uno è shopping addicted e l’altro iPod Touch addicted, gli altri snus addicted) abbia potuto creare una roba così sublime. Sarà stato il periodo Lucyfire a generare il rincoglionimento?

Basta ciance, si comincia. Spegni la tv, abbassa le persiane, chiudi il cellulare, stacca il telefono di casa, chiudi la porta della tua stanzetta. Buttati sul letto guardando i densi sbuffi di fumo salire verso il soffitto. Accendi lo stereo. Versi di animali. Uccelli? Rane? Insetti striscianti. Un lento arpeggio. Tocchi di xilofono. Lussureggianti felci, piante rampicanti e ragnatele. Vai in trance. E questo è solo l’inizio. È Wildhoney, l’omonima prima, allucinogena, traccia che in meno di un minuto riesce a gettarti in un mondo soprasensibile ed etereo. Da cosa il nome? Il miele è il pasto degli dei. Come alimento afrodisiaco o medicina purificante è presente in molte religioni. Quando Buddha si ritirò in meditazione nelle foreste selvagge una scimmia gli portò del miele da mangiare. Felice che il dono ricevuto venisse apprezzato, saltando per l’eccessiva gioia da un albero all’altro la scimmia cadde e morì. Leggendo il Canone pāli Edlund avrà pensato: <<Wow, che storia! Flesciante…>> e ne ha subito fatto un disco. Non penso sia andata proprio così. Ma mi piace crederlo.

Quando le ultime note si affievoliscono e le scimmie urlanti che danzano nel tuo cervello con indosso il loro kilt scozzese cominciano a sparire, proprio allora ti arriva un cazzotto improvviso dritto allo stomaco. Bam! Sono i chitarroni di Whatever That Hurts che attaccano. La fame chimica ti prende. Ti mangeresti da solo un intero pacco di crostatine al cioccolato. Ma sei steso, paralizzato e non ce la fai a muoverti. Il colpo è troppo forte. Tamburi dell’Inferno. Poi, dopo trenta secondi di questo martellamento tribale, cala la tensione e ti ritrovi nell’occhio del ciclone. Un sitar psichedelico in lontananza ti fa roteare e roteare e roteare. La calma apparente dura solo un breve minuto ma sembra un’eternità. Sei subito catapultato nella più nera tempesta doom. Il decotto di stramonio comincia a farti vedere cose che non esistono. Elefanti viola che suonano il violino, pagliacci alati che si battono il petto con spilloni arrugginiti. Senza soluzione di continuità alcuna, preso da ossessive note di piano, scivoli lento in The Ar. Demonesse che intonano il loro coro mefistofelico si riuniscono intorno a un pentagramma verso cui vieni trascinato affinché si compia l’estremo supplizio. L’intermezzo strumentale di 25th Floor viene in soccorso. Riapri gli occhi, prendi fiato, cominci a renderti conto di quello che è stato. Poi Gaia. Un brano assolutamente commovente. Poesia della natura. Conservo ancora gelosamente l’omonimo EP di cartone dall’artwork stupendo e ricercato. Ogni tanto gli faccio due carezze da collezionista feticista. Il mini contiene anche una cover di When You’re In dei Pink Floyd che la dice parecchio lunga su quali siano i modelli di riferimento in Wildhoney.

Visionaire. Si cambia registro. Questo è forse il pezzo più classico, ma ciò non va a suo detrimento. Ricorre il tema del maligno e del satanico. A questo punto, se non sei ancora tra le braccia di Morfeo, ti vengono in soccorso la spirituale Kaleidoscope, la dolcissima Do You Dream Of Me? e la psichedelica Planets. L’atmosfera si alleggerisce nuovamente e nuovamente sei ghermito della ripetitività circolare, dagli echi degli assoli, dalla lentezza degli effetti ridondanti. Atmosfere ancestrali e progressive rock come mai ti saresti aspettato prima dai Tiamat. Infine, musicalmente parlando distante da tutto il resto ma perfetta per una chiosa degna di tale concept: A Pocket Size Sun. I magic mushrooms sono finiti e dunque si passa direttamente all’LSD, a cui il brano è infatti dedicato e sotto il cui effetto è stato con molta probabilità concepito. Terminato anche quello, ragazzo mio, se sei ancora in piedi e credi di essere una rana in Francia vuol dire che sei Johan Edlund o vuol dire che sei fritto!

Per gentil concessione vi beccate pure Cold Seed. Tiè…

Ps. Un omaggio speciale va a Waldemar Sorychta, il re Mida del metal, colui che trasformava in oro qualsiasi cosa toccasse. Il Waldemar produttore e tastierista.

ecco cosa succede quando ricevi il tocco di re Waldemar

Wildhoney

Clouds

Wolfheart

Irreligious

Passage

Mandylion

Frozen

The Archaic Course.

La lista è troppo lunga. Grazie. (Charles)