Il carro di buoi ha i giorni contati: CASTLE RAT – The Bestiary

Magari non è ancora il caso di allarmarsi troppo, ok. Ma la verità, forse, è che ci siamo imbolsiti. Imborghesiti. Abbiamo abbassato la guardia, io per primo. Prima almeno c’era il Barg che non si risparmiava, con le sue grida di dolore accorate, a metterci in guardia dalla distruzione di ciò che abbiamo di più caro. Purtroppo adesso è giustamente distratto anche lui, le grida deve risparmiarle per stare appresso alla prole. Ora, la storia si ripete spesso e ogni volta un po’ più farsa della precedente. Nessuno (a parte il Barg) pensava all’epoca che qualcuno avrebbe potuto devastare il death metal dall’interno. E tu, che vai a pensare, che succeda proprio la stessa cosa pure col doom? Che non so se esistono statistiche al riguardo, ma sono sicuro interessi una nicchia ancora più ristretta e derelitta di ascoltatori. E invece tutto può succedere e noi, stavolta, forse non ce ne siamo resi conto col tempismo dovuto.

Per chi non fosse aggiornato sui pruriti della scena hard (rock…), i Castle Rat sono la band di New York capitanata dalla pin-up Riley Pinkerton. Dal volto angiolesco e dal passato diviso tra la carriera di fotomodella emergente e un tentativo di carriera musicale folk. Nemmeno malaccio, come cantante folk, come tante, come tante che pure un po’ ce l’hanno fatta. Solo che il modello di cantautrice confidenziale con chitarra acustica, maglia a righe bianche e nere orizzontali e immobile, impassibile di fronte a qualsiasi impulso vitale ai limiti del rigor mortis, quel modello non ha più il richiamo sul pubblico indie che aveva solo una quindicina di anni fa. Poi cosa sarà successo, forse il riemergere di una sincera passione atavica per i Black Sabbath o forse l’insperato successo di un set fotografico in abbigliamento sword & sorcery che deve aver rilevato l’esistenza di torme di nostalgici di Hero Quest, Golden Axe e Yado (Red Sonja), disposti a sganciare per pupazzetti (chiamateli pure action figure) di amazzoni discinte. Sarà andata come è andata, ma da allora la nostra Pinkerton ha assunto il nome di Rat Queen e il bikini di cotta di maglia non se l’è più tolto. L’album precedente dei Castle Rat, il primo, alla fine mi era pure garbato.

C’era quella vena retrò, vintage, seventies. Di principio, non vai a pensare che le insidie arrivino proprio da lì, dal cantone più amichevole e innocuo dell’offerta di musica pesante. Ma è chiaro che è proprio quando meno te l’aspetteresti che devi avere attenzione doppia. Oppure è chiaro anche che ero distratto. In fondo, anche la storia “degli” Hail Darkness era un altro presagio sufficiente. Mai abbassare la guardia, nemmeno, anzi soprattutto quando c’è di mezzo un gruppo retro/doom con alla voce una valchiria che sembra Jinx Dawson o Red Sonja. Il richiamo delle sirene non funziona mica da ieri, dovevo pensarci. E il richiamo di una sirena è una cosa seria, pochi resistono, se non si sono fatti legare per tempo all’albero maestro come il Barg. Pensate che solo all’inizio di quest’anno i Castle Rat hanno centrato gli obiettivi del loro crowdfunding per finanziare le registrazioni di questo disco qui in trentasette minuti soltanto. Meno della durata del disco stesso. Manco si fosse parlato di finanziare il nuovo album di qualche gloria conclamata. Nell’arco di trentasette minuti la gente si è precipitata ad inviare denaro, magari confondendo la piattaforma di crowdfunding con qualcun’altra. Magari sperando in un action figure a scala opportuna. Into the Realm era carino, sì, anche se alla fine un disco come tanti, là fuori. La differenza vera, in effetti, la faceva altro. O no?

La prova del nove, forse, è nel nuovo The Bestiary, affidato per quello che riguarda il suono ad un professionista vero come Randal Dunn (tra gli altri Earth, SunnO)), Wolves in the Throne Room, Pallbearer, Marissa Nadler, Bjork… di nuovo: con dentro certa gente che vai a pensare male?). Dunn che sicuro sarà stato contento del successo della colletta dei Castle Rat. Il disco è destinato quindi ad ampliare l’uditorio dei newyorkesi. Perché è solido, stavolta, e fatto di riff solidi ed ha un suono inappuntabile. Suona serio e tutto lascia pensare che lo sia, serio, all’ascolto. Per il suono, l’impalcatura, la produzione. Non parlo tanto delle prestazioni strumentali (che sono ok e basta), parlo proprio dell’esibizione della mercanzia, sfacciata: watt a palate e chitarroni grassi e bassi che scoreggiano e ritmiche pesanti e orchestrazioni. The Bestiary non suona più vintage, retrò, artefatto o meno. Neanche un po’. Suona semmai moderno e sonoro, pur con tutto quell’immaginario da videogioco fantasy di epoca Atari. A un passo del suono stoner/sludge post-Mastodon (c’è persino il riff di Blood and Thunder travisato in Siren). Ci sta, non chiami Randal Dunn per suonare come un relitto dei ’70. Muscoli ben gonfiati e definiti, quindi, in bella mostra. Pose eroiche, plastiche. Una certa gravità insistita, non necessariamente sensata. Qualche passaggio acustico-fiabesco che male non suona.

Con l’ascolto, però, sono convinto che il disco, pur non suonando di plastica, in realtà lo sia, di plastica. Non mi risulta ci sia dietro una produzione maggiore (a meno che il crowdfunding non fosse un bluff), ma ha tutta l’aria di un disco costruito ed ingegnerizzato, un disco che deve assicurare una certa rispettabilità per una operazione che di visibilità ne ha già da vendere, ma che, senza tanto nerbo, puzzerebbe di cartapesta. Insistere sulla carta retrò, col suono, non porta lontano, oggi il pubblico vuole altri suoni. Comunque, anche con tutta questa massa sonora messa su, la popolarità dei Castle Rat si basa esclusivamente o quasi sulle grazie di una pin-up regina dello stile “cotta di maglia vedo-e-non-vedo”. Pare che dal vivo, al netto dei teatrini sexy con le spade, se ne dica comunque bene. The Bestiary di canzoni che vadano oltre il riciclo di riff standard non ne ha molte. Solo The Wizard, forse, ha un po’ di quella magia che ci si attenderebbe dal titolo, e pure Crystal Cave. Per il resto la monotonia delle linee vocali della Rat Queen è un bel limite e affossa a volte quel po’ di epica che le basi strumentali comunque si sforzano di costruire. Attenzione, non un disastro, anzi. Anche questo disco qui, come Into the Realm, è un disco buono, per i tempi che corrono. Buono, si fa ascoltare. Non offende, né in bene né in male. Ha messo su corazza, massa magra e muscoli meglio definiti e da mostrare accorciando i vestiti. Eppure (sorpresi?) l’operazione tutta resta un cortocircuito ormonale e basa il suo “appeal” su altro che non sulla musica. Sull’immagine e sulla narrativa. Che vanno benissimo per il pubblico che insegue (e che raccoglie come una rete da pesca a strascico).

Se, a ridosso dell’uscita di Yado, Brigitte Nielsen se ne fosse uscita con un disco tra Plasmatics e Manowar chissà che sfraceli. Che pruriti. Oggi di gente disposta a spendere per quell’immaginario li (associato a musica più o meno metal) ce n’è sorprendentemente tanta. Il metallaro non è più un ragazzino ribelle, in media è un adulto ormai sugli anta, nostalgico. Con potere di acquisto. Per dirla come un “milanese”, Castle Rat oggi offre uno show, un concept, è un brand che va a ritagliarsi una sua bella fetta di mercato. Quella dei nostalgici dell’immaginario di Frank Frazetta. Ma con gli unicorni e la taglia del bikini aggiornata ai canoni estetici (e ai pruriti) di oggi. E quindi possono pure suonare professionali, ora, i Castle Rat. Possono pure risultare gradevoli. Nonostante l’immaginario fantasy-guerresco, oppure proprio per questo, sono un’ulteriore passo in avanti nella trasformazione di quello che abbiamo di più caro in qualcosa di perfettamente imbelle, innocuo. Un passatempo. Una distrazione. (Lorenzo Centini)

8 commenti

  • Avatar di Optimus_Nile

    Solo a me la Pinkerton ricorda tantissimo Marina Massironi?

    Mettile il cilindro e potrebbe benissimo presentare i Bulgari

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  • Avatar di Old Roger

    Esteticamente parlando, in salsa indie/folk c’ha aveva il suo perché….sarà che il tipo svampita al pari delle dark goth , mi da l’idea di riservare sempre cosette interessanti..

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  • Avatar di marcoarm2002

    I tempi sembrano maturi per una “OXCART RECORDS” che faccia da riserva indiana dentro la riserva indiana

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  • Avatar di mark

    un fatto curioso: nell’articolo si citano Jinx Dawson e Red Sonja. Io, non conoscendole, sono andato a cercarle sul web. Solo che alla voce “Red Sonja” più che altro il motore di ricerca mi butta in faccia le foto di una pornostar ceca con le gambe spalancate, brunetta e assai gnocca.

    Da qui la mia domanda: ma chi potrà mai interessare una tipa che fa intravedere due tette, peraltro belle niente da dire, in un mondo come quello di oggi? non sarebbe meglio forse concentrarsi sulla musica evitando di agghindarsi come al circo?

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  • Avatar di nxero

    Probabilmente avete confuso il crowdfunding con il crowdsurfing… Comunque nessuno parla dell’altra tipa, quella mascherata e con la falce, chissà che faccia ha… sul fatto che tiri più un pelo di fiha, credo che ormai sia più dubbio, ma la musica dovrebbe essere un’altra cosa.

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  • Avatar di Epicmetal

    Quella mascherata con la falce mi fa più sangue.

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