Il report del Luppolo in Rock 2025

Resoconto a cura di Alessandro Colombini per la giornata di venerdì e di Barg per sabato e domenica. Foto prese dalla pagina Facebook dell’evento tranne quelle di Necrodeath e Running Wild, prese dalle rispettive pagine.

VENERDÌ

Alessandro Colombini: Si torna in pista con la nuova edizione del Luppolo in Rock, che si riconferma anche quest’anno con nomi di punta per noi vecchiacci ma non solo. Il cartellone è ottimo, e, ormai alla terza presenza mia e dei miei sodali, penso proprio diventerà una buona tradizione, soprattutto dopo aver deciso comunemente di rinunciare d’ora in poi ai grossi festival e concerti in Italia. C’è a chi piace pagare cifre sempre più alte per essere trattato come vacche al macello, tipo quelli che si fanno schiacciare i testicoli con i tacchi, o che si smanettano guardando un palestrato enorme scopargli la moglie: son gusti, ma non fa più per noi.

Ben venga il Luppolo, che, slogan a parte, dimostra di essere gestito da persone realmente appassionate. Ad esempio è stata migliorata notevolmente l’organizzazione del food and beverage: l’anno scorso, data l’offerta di fritto misto, grigliata di carne, pizza e altri piatti, gran parte delle persone era rimasta imbottigliata in coda all’ora di cena, e noi ci perdemmo il concerto degli Alestorm perché rimasti in coda almeno un paio d’ore ad aspettare prima lo scontrino, poi il cibo, poi un posto in cui sederci, e così via. Quest’anno la gestione è stata delegata totalmente ai vari camioncini gestiti da esterni, mentre la birra era solamente in lattina, che veniva aperta con quegli apriscatole che rendono la lattina in pratica un bicchiere. Risultato: code inesistenti sia alle casse che per prendere da bere e da mangiare.

Gestione ottima, peccato solo che la birra scelta (sentivo dire che sono andati in Germania apposta per farsi fare la produzione personalizzata) non era proprio ideale da bere sotto l’afa e il sole cocente della pianura padana a fine luglio. Troppo gnucca e maltosa, infatti ho desistito subito dopo la prima, mi spiace, però son gusti. Uno dei miei sodali ne ha bevute dieci a fine giornata, quindi immagino fosse buona.

Detto questo, capisco anche i motivi del divieto di portare cibo e bibite da fuori, ormai è diventata la regola ovunque, ma rimane un’assurdità che odio davvero con tutto il cuore. Avevo della roba in frigo da finire, così avevo preparato dei buonissimi panini, uno con tacchino e salsa tonnata, l’altro con porchetta, cipolla, provola, peperoni e maionese. Arrivare all’ingresso e sentirmi chiedere di buttarli mi ha spezzato il cuore. Col cazzo che li butto: torno nel parcheggio, li imbosco in un cespuglio e li recupero più tardi. La mia porchetta non si butta.

Il venerdì sono l’unico inviato della nostra potente redazione, quindi ho la grande responsabilità di seguire attentamente le band, mentre il sabato mi raggiungeranno il grande Barg con Maurizio Diaz e consorte. Domenica invece ci sarà solo Barg, dato che io dovrò per forza tornare ai miei doveri lavorativi.

Entriamo nell’area concerti appena in tempo per sentire i CLASSE 99, trio toscano a petto nudo che propone quello che loro definiscono grunge’n’roll. La cazzimma c’è, i suoni sono ottimi e loro sono carichi come molle, nonostante i 45 gradi percepiti sotto al palco e chissà quanti sopra. I testi in italiano sono un po’ stranianti contestualizzati in questo genere, e se dovessi definirli da questa mezz’ora direi che mi sembra di ascoltare (e non è assolutamente un’offesa) i Verdena con la voglia di scopare invece che di farsi le spruzze nei sottopassi della stazione.

Mezz’oretta e passiamo ai CRIMSON DAWN, doom power sinfonico da ascoltare mentre si cavalca un drago verso le paludi maledette alla ricerca di troll malvagi da sconfiggere. Anche qui i suoni sono ottimi. Noi ci godiamo lo show all’ombra, mentre cerchiamo di capire se qualcuno di noi ha pestato una merda, date le vampate che arrivano ogni tanto da destra e sinistra.

Non arriviamo a una soluzione dell’enigma che è già ora di passare agli STRANGER VISION, che devo già ringraziare tantissimo perché grazie al loro soundcheck abbiamo avuto l’idea “più se bel della storia” che non è incrociare un ratto con una scimmia ma creare una band di black metal sperimentale/concettuale chiamata Check, di cui non so se sono pronto a parlare in pubblico per il momento. Comunque non conoscevo questi Stranger Vision, italiani anche loro, ma mi hanno colpito molto positivamente con un prog-powerone molto piacevole, con dei ritornelli ottimi e un bel tiro. Il cantante in particolare, a parte le ottime doti canore, sembrava davvero genuinamente felice di essere sul palco, quindi bene, bravi, vi vogliamo bene.

Piccola pausa e si inizia a fare davvero sul serio: stanno arrivando i TYGERS OF PAN TANG. Ho sempre avuto una simpatia particolare per quei gruppi che potevano essere tante cose, ma che non hanno mai fatto il “grande salto” per mille motivi diversi. Nel loro caso, uno dei motivi non può non essere il nome ridicolo (ispirato alla saga di Elric di Melnibonè, ndbarg), ma che non toglie niente a quello che hanno significato per la nostra musica preferita. Qui siamo alle origini, è davvero tutto qui. È l’ABC, e se non vi piace sta roba e non vi fa scapocciare, saltellare, anche solo muovere il piedino a tempo, avete chiaramente un problema che andrebbe risolto.

Robb Weir mi fa molta simpatia, capelli bianchi a spazzola, fisico da muratore, carnagione da vero britanno, più rossa della sua chitarra, e si diverte un sacco, aiutato anche dalla band che non sbaglia nulla. Ha il volto di un uomo consapevole che con un po’ di fortuna avrebbe potuto fare molto di più, ma in fondo dopo quarant’anni è ancora lì sul palco, a fare quello che ama, e va bene così.

Finiamo il concerto con il sorriso, nell’attesa di un gruppo che rincorro da anni e non sono ancora riuscito a vedere. I miei sodali me li hanno sempre raccontati con entusiasmo, e stavolta finalmente posso salutare il responsabile di tantissimi “ma come fai ad ascoltare quella roba lì”, “che schifo”, “almeno sapessero cantare”. VOI NON CAPITE E MAI POTRETE FARLO. NON PARLATEMI PERCHÉ NON MERITATE LA MIA ATTENZIONE E LA MIA ENERGIA. SPARITE DALLA MIA VISTA E FATE FINTA DI NON CONOSCERMI. I GRAVE DIGGER per me sono il riferimento di come dovrebbe suonare un gruppo heavy tedesco. Non credo siano un gruppo “grosso” come me lo sono sempre immaginato, io li avrei messi sopra i Primal Fear ad esempio, ma la mia percezione è quella.

Sono belli? No.
Sono fondamentali? Probabilmente no.
Sono invecchiati male? Sicuramente sì.
Ma sono sempre i nostri migliori amici di grigliate e sagre della salsiccia, e stare sotto al palco è doveroso.

Purtroppo sono stati l’unico gruppo della giornata ad avere dei suoni pessimi, molto impastati soprattutto all’inizio, e con un volume molto più basso dei gruppi precedenti e successivi, quindi non mi hanno fomentato come avrebbero potuto lasciandomi un po’ di amaro in bocca, ma non ci possiamo lamentare troppo.

Boltendahl è un folletto che sa giocare col pubblico al punto giusto, continuando a ripetere “do you like german heavy metal?” ad ogni pausa. La discografia da cui attingere è ampia, il concerto si chiude con la tripletta finale Excalibur, Rebellion, Heavy Metal Breakdown e ci salutiamo. Ciao Chris, alla prossima grigliata.

Ehi mister gilè di pelle

Arrivano i PRIMAL FEAR, che di recente mi hanno fatto arrabbiare non poco, ma, se devo dire la verità, sono proprio le cose a cui teniamo di più che ci fanno arrabbiare di più alla volte.

Ralf, ti voglio bene. Dammi i fischi con la chitarra, urla più forte che puoi, continua a essere così enorme e facciamo pace.

Così è stato. Band in formissima, suono potente, Ralf è ancora perfetto, come cazzo fa a raggiungere ancora certe note boh. La scaletta prende un po’ da tutto, per fortuna non mancano i pezzi dal primo album, speravo in Formula 1, tamarrata incredibile, ma era prevedibile non ci fosse. Non manca invece l’ultimo singolo dal prossimo album in uscita, devo ammettere molto meglio del primo estratto, per fortuna. Complice la nuova chitarrista italiana che deve averlo consigliato, Ralf continua a ripetere “siete carichi?” ad ogni occasione con quel suo accento tetesco, e la cosa è comunque molto divertente.

Piccola pausa e torniamo sotto al palco per i PRETTY MAIDS, uno dei gruppi mai davvero capiti dal sottoscritto. Se ne parla sempre poco, non si sentono quasi mai, eppure hanno una discografia costante dall’85 in poi e questa sera sono headliner. Siamo particolarmente curiosi di sentirli e non rimarremo delusi: che classe, signori. Il concerto migliore della giornata. Si passa dai classici heavy dei primi due album ai pezzoni AOR stracciamutande della fase centrale della loro carriera. Io adoro entrambe le fasi, ma suonano davvero distanti tra loro, ed è per questo che dico di non averli mai davvero capiti. Anche qui, suoni ottimi, classe ed eleganza, potenza e precisione, sono dei professionisti veri che mettono in piedi uno show perfetto.

Finisce la giornata così e io non vedo l’ora di recuperare il mio panino con la porchetta che mi aspetta nel cespuglio. Recuperato quello torniamo verso la stanza che abbiamo affittato e dove, per varie vicissitudini organizzative, dovrò dormire abusivamente su un materassino gonfiabile, come se avessi ancora vent’anni, che bello. Doccia, siga, nanna e ci vediamo domani. La vita è bella, il metallo è la nostra casa, la gente non sa che si perde.

SABATO

Barg: Come promesso, oggi ho accarezzato i miei figli e ho detto loro che papà li ama, ma non può assolutamente perdersi i RUNNING WILD! che suonano al Luppolo. Il cartellone di oggi è un po’ particolare perché è tutto sbilanciato sull’headliner. Basta guardarsi intorno per intuire che sono quasi tutti qui per i Running Wild. C’è una quantità spropositata di gente che indossa la loro maglietta (me compreso, peraltro), oppure con bandane, cappelli e altri ammennicoli pirateschi; di contro, non mi pare di aver visto nessuno con la maglietta di Firewind o Crashdiet. A quanto ho capito oggi c’era anche una sorta di raduno mondiale dei fan club dei Running Wild, con gente venuta appositamente dall’estero, anche da Oltreoceano. Ho incrociato anche un eroe con una maglia con su scritto “Sono qui solo per i Running Wild”.

Cerco di arrivare il prima possibile, ma purtroppo mi perdo il primo gruppo, i KILLERFREAKS da Varese, a tema orrorifico, i cui componenti hanno poi continuato a girare per il parco truccati da scena. Arrivo quando hanno appena cominciato i NASTYVILLE, piemontesi, votati ad un hard’n’heavy ottantiano da scapoccio. Simpatici. Nel frattempo incontro i compari della giornata, ovvero lo stagista Colombini con tutta la sua banda, il maresciallo Maurizio Diaz con la gentile donzella e per finire Weareblind, lettore e commentatore di lunghissimo corso che fu anche responsabile del report del Luppolo di due anni fa.

A proposito del Luppolo: è tutto come mi era stato magnificato. Amplissima zona ristorazione sotto agli alberi, spazi larghi, abbondanza di panche e posti dove sedersi tranquilli senza calca. Anche lo spazio dei concerti è comodo e agevole, e in generale l’atmosfera è rilassata e amichevole. Buona la varietà di scelta mangereccia, dal fritto misto di totani alle polpette vegane con tutto quello che c’è in mezzo; per quanto riguarda le birre, invece, non sono la persona giusta per parlarne perché, come noto, io bevo solo Peroni e roba simile.

Ritorno nell’area concerti per i THE HEADLESS GHOST, milanesi, proprio durante una prova di forza del chitarrista solista. Anche qui siamo sul metallone classico, pur se più variegato rispetto al gruppo precedente. Suoni non ottimali, mi pare, ma va benissimo lo stesso. L’altro chitarrista ha gli occhiali da sole e lo sguardo fisso tipo quello di Barella quando si presentò in hangover al Quirinale da Mattarella. In chiusura annunciano una cover “dedicata al re”. Di chi staranno parlando? Vittorio Emanuele II? Aragorn figlio di Arathorn? Joey DeMaio? E invece è il Re Diamante, e il pezzo è Evil, direttamente da Melissa, disco a me molto caro.

È poi il turno di due gruppi storici italiani, anche se c’è da fare qualche precisazione al riguardo. I primi sono gli WYV85, progetto che riporta in vita quasi tutta la formazione originale degli Wyvern, band nata a Parma appunto nell’85 e che Metal Archives riporta come tuttora attiva, sebbene non abbia pubblicato nulla dal 2010. La band che gira col nome di WYV85 punta molto sul sentimento, come si può facilmente immaginare, e in effetti la passione dei musicisti è travolgente. Rispetto ai gruppi precedenti qui si pigia un po’ di più sull’acceleratore, coi vecchi pezzi della band-madre riproposti e riarrangiati per rendere meglio dal vivo.

I secondi sono i bolognesi TARCHON FIST, in realtà formatisi “solo” nel 2005 ma la cui storicità è derivante dall’esperienza pregressa del leader Luciano Tattini, già fondatore e chitarrista storico dei Rain dal 1980 fino, appunto, ai primi del 2000. In scena c’è una quantità di capelli e barbe bianche esibita in modo così sfrontato da dare un senso al titolo di un loro vecchio Ep, Proud to be Dinosaurs. Lo stile è il più tradizionale possibile, com’è ovvio che sia, e la tenuta di palco è davvero ottima. Non perdeteveli se passano dalle vostre parti.

A questo punto si arriva al primo gruppo straniero, i CRASHDIET, band svedese di rock stradaiolo in giro da ormai un quarto di secolo. Non sono un appassionato del genere, ma loro incredibilmente li conoscevo perché sono uno dei gruppi preferiti di mia moglie, o quantomeno lo erano. L’esperienza e il mestiere rendono comunque il concerto gradevole persino per uno come me, anche se a un certo punto ho preferito andarmi a fare un panino in vista dello sprint finale.

È quindi il turno dei FIREWIND, uno dei tanti gruppi di Gus G, di cui avevo magnificato il debutto e poi basta, praticamente, perché li ho sempre trovati un gruppo senza una particolare identità, anche a causa dei continui cambi di formazione. Il fatto che suonino per penultimi conferma il discorso di prima sulla giornata completamente sbilanciata sull’headliner. Su nove pezzi ci infilano pure la cover di Maniac, quella di Flashdance, e se dopo oltre vent’anni di carriera ti ritrovi a dover suonare una cover, peraltro così poco caratterizzante e su una scaletta così breve, io qualche domandina me la farei.

Il concerto dei RUNNING WILD! è esattamente come speravo che fosse. La scaletta è micidiale: Fistful of Dynamite, Bad to the Bone, Riding the Storm, Little Big Horn, Soulless giusto per dirne qualcuna, con la brezza marina che ci schiaffeggia mentre il rollio del veliero del capitano Kasparek punta dritto all’arrembaggio di quel dannato mercantile. È tutto perfetto, è un sogno che si avvera e da solo vale tutta la giornata passata ad aspettare questo momento. Peraltro questo è anche il concerto della mia rivincita morale, perché gli unici due pezzi nuovi sono tratti da Shadowmaker, che personalmente ho sempre trovato bellissimo e che all’epoca fu recensito con schifiltosa sufficienza pressoché ovunque, tranne che su Metal Skunk.

Quando parte Under Jolly Roger capisco che siamo quasi alla fine e mi precipito nelle prime file prendendomi innumerevoli ginocchiate nelle costole per arrivare quasi alle transenne, solo per avere la possibilità di guardare Rock’n’Rolf in azione probabilmente per l’ultima volta. Treasure Island in chiusura è un addio bellissimo e commovente ad uno dei miei gruppi preferiti, che oggi si è preso un meritatissimo abbraccio da una folla adorante giunta da ogni parte del mondo solo per loro. Spero che non sia veramente un addio, ma in ogni caso conserverò per sempre questo concerto in un posto molto speciale del mio cuore. Peccato solo che duri solo un’ora e un quarto.

DOMENICA

Un HAIL a Simone, lettore affezionatissimo (e anche alla mia maglietta)

Barg: Se ieri ho passato la giornata in compagnia, oggi sarò completamente da solo per tutto il giorno. Ho solo un mezzo appuntamento col lettore Simone, che incontrerò a un certo punto quando sarò abbastanza sbronzo. Circostanza che peraltro si verificherà piuttosto presto, perché quando arrivi alle 2 di pomeriggio da solo ad un festival e non hai nulla da fare e nessuno con cui parlare non ci sono alternative se non mangiare e bere a macchinetta. Giusto per ravvivare un po’ la situazione, oggi mi presento al festival con quella maglia dei Cradle of Filth, regalo di mia moglie di qualche anno fa che ammetto di non aver mai avuto il coraggio di mettere prima d’ora.

Si comincia coi bolognesi THE BURNING DOGMA, che non riesco a non pronunciare con la voce di David Vincent in Where the Slime Lives. Suonano un death metal abbastanza melodico con vari momenti d’atmosfera, ma a causa dei volumi esagerati non mi sento di poter descrivere la proposta più nel dettaglio.

Poi arrivano i SEXPERIENCE e io sono già sbronzo, parafrasando Gandalf. Non riesco a capire esattamente cosa fanno e non riesco a inquadrarli per bene, ma sono gradevoli, nonostante i volumi sparati, i suoni ancora perfettibili, il caldo e il disagio delle quattro di pomeriggio. Se non ho capito male sono amici della tipa della reception dell’albergo, che si è presa il giorno di ferie per venirli a vedere. Verso la fine invitano a supportare la scena metal cremonese, purtroppo senza fornire ulteriori indicazioni.

Con gli IN AUTUMN da Vicenza l’atmosfera comincia a farsi doomeggiante, e il cantante ha pure la giacca nera. Sembrano un perfetto riassunto del sacro quadrilatero inglese degli anni ’90, e qualche sepolcro riescono pure a scoperchiarlo. Purtroppo però sono ancora le 17, fa un caldo bestia e il pubblico non è proprio nello stato d’animo giusto. Ma questo è il triste destino dei gruppi depressi ai festival all’aperto: ricordo ancora i My Dying Bride costretti a suonare di pomeriggio al Gods of Metal 2002, che la gente non ne voleva proprio sapere e gli tirò pure qualche bottigliata. All’epoca mi ripromisi di rivederli in qualche situazione più consona, però purtroppo non li ho mai più ribeccati. È un mondo difficile. Comunque il cantante a un certo punto si toglie la giacca e finisce in maniche di camicia, che ok l’oscuro fascino della morte e le tombe scoperchiate, però c’è un limite a tutto.

Il discorso torna più sull’estremo con gli eroi locali EMBRYO, votati a un death metal che mi sembra ondeggi tra la vecchia e la nuova scuola. Esistono da un bel po’ e sono autori di ben cinque album, ma ammetto di non averli mai ascoltati prima. Da lontano il cantante sembra John Tardy coi capelli bianchi. Nel frattempo il pubblico inizia ad affluire sempre di più, mostrando di apprezzare la proposta dei cremonesi mentre prende posizione per i pesi massimi in arrivo.

Fino a questo momento sono quasi sempre rimasto bello spaparanzato all’ombra su una comoda sediolina in un’area rialzata di fronte al palco, ma ora è tempo di fare sul serio e ficcarmi nel mezzo al casino, perché potrebbe essere l’ultima volta che vedo i NECRODEATH e quindi voglio godermela fino in fondo. Cominciano con Hate and Scorn e poi proseguono tra pezzi vecchi(ssimi) e più o meno nuovi, ma è con The Creature che esco veramente di testa, perché è il primo loro pezzo che abbia mai ascoltato, appena uscito, e tuttora lo considero un capolavoro incredibile. Appena finisce un tizio affianco a me mi dà una pacca sulla spalla e mi dice: “Ti piacciono, eh?”. Sullo stato di grazia del gruppo confermo tutto quanto detto da Ciccio e Stefano Mazza che avevano già avuto l’occasione di vederli dal vivo durante questo tour d’addio. E, se ciò non bastasse, confermo anche quest’altro articolo di Ciccio sull’argomento. La chiusura con Mater Tenebrarum mi fa ripromettere di doverli vedere almeno un’altra volta ancora, prima della parola fine.

Sarebbe poi il turno degli INFECTED RAIN, moldavi, che suonano una specie di nu metal o qualcosa del genere. Non è roba per me, e dopo un paio di pezzi guardati giusto per testimonianza preferisco andare strategicamente a rifocillarmi in vista del rush finale.

Il terzetto finale si apre con i CORONER, che suonano compatti, dritti e rodatissimi. La scaletta è giocoforza micidiale, con Ron Royce che taglia al minimo le interazioni col pubblico fondandosi soprattutto sul carisma e sulla forza dei suoi pezzi. Purtroppo il suono non è per niente ottimale, o quantomeno così sembra dove mi trovo io, ma verso la metà del concerto la situazione migliora. Alla fine Ron dice: “Abbiamo solo il tempo per due altre canzoni”, poi qualcuno gli grida qualcosa da dietro, lui annuisce e precisa: “No, scusate, solo un’altra canzone”. Reborn Through Hate. Che ve lo dico a fare. Come se il tempo non fosse mai passato.

Ma sono i CANDLEMASS il gruppo che aspettavo con più ardore. Avevo visto la scaletta degli ultimi concerti e mi stava venendo da piangere. Anche oggi faranno solo pezzi dei primi quattro album, a parte l’estratto di prammatica dall’ultimo Sweet Evil Sun a metà scaletta. Per il resto tutti classiconi, partendo da Bewitched e finendo con Solitude. Purtroppo non fanno la mia preferita, At the Gallows End, ma probabilmente è difficile da rendere senza Messiah Marcolin. Non che Langquist abbia sfigurato, anzi: ha fatto un figurone che non mi sarei mai aspettato, la voce ha retto benissimo per tutto il concerto e se ora qualcuno mi viene a rompere i coglioni dicendo che nel passaggio X del pezzo Y ha stonato io rispondo che non avrei mai potuto accorgermene, perché tanto ci stavo cantando sopra pure io e parecchi esagitati intorno a me, compreso un tizio che a un certo punto ho temuto crollasse per terra morto per la troppa emozione. Leif Edling idolo vero.

L’onore di chiudere l’edizione 2025 del Luppolo in Rock è dei CRADLE OF FILTH, per cui avevo discrete aspettative dopo averli incrociati due volte negli ultimi Wacken. Io impazzisco per i loro dischi anni Novanta, dopodiché loro si sono normalizzati buttandosi sul death-thrash con le tastiere lugubri, una specie di At the Gates della brughiera di cui non mi interessa nulla. Dal vivo però ci sanno fare, Dani è un mostro da palcoscenico e gli altri musicisti sono molto bravi, anche se il batterista si è un po’ perso durante qualche passaggio particolarmente intricato di Nick Barker. Mi fa piegare come Dani annuncia i pezzi da ormai trent’anni, scandendo le prime parole e pronunciando l’ultima con quell’urlo altissimo suo, e quindi farò la stessa cosa anche qui. Dai primi dischi fanno The Forest Whispers my AAAAAAAAAAA, The Principle of Evil Made AAAAAAAAAAA e Cruelty Brought Thee AAAAAAAAAAA, poi un po’ di roba che non conosco tra cui, mi pare, tre pezzi dall’ultimo album (il terzo dei quali annunciato con un “e ora faremo un altro pezzo dal nostro ultimo album, che vi piaccia o no”), e anche quel paio di singoloni storicamente utilizzati per rimorchiare le gothic lolitas, ovvero Nympheta-AAAAAAAAAAA e Her Ghost in the AAAAAAAAAAA.

Purtroppo, e mi sorprendo nel dire purtroppo, suonano anche loro piuttosto poco. Circa un’ora e un quarto, come i RUNNING WILD! il giorno prima, quindi immagino che sia proprio parte della politica del Luppolo. Permettetemi di dire che, se così stanno le cose, non condivido la scelta, specie per il gruppo di Rock’n’Rolf, che mancava dall’Italia da tempo immemorabile e che avrebbe meritato di suonare l’intera scaletta. Se invece così non è, fate come se non avessi detto niente. Comunque prima esperienza al Luppolo molto positiva, e l’anno prossimo si cercherà senza dubbio di replicare. Siateci anche voi.

PS: Un saluto speciale all’eroe immortale con la maglia degli Atlantean Kodex al quale, mentre mi parlava della scaletta del prossimo Up the Hammers in Grecia, è venuta la pelle d’oca, intendo letteralmente. È per gente come lui che ancora mi ostino a scrivere a tarda notte rubando ore al sonno. Spero di rivederlo al suddetto festival, se riesco a incastrare le cose, altrimenti di sicuro ci si rivedrà nel Valhalla, dove lui entrerà già col grado di comandante in capo delle forze armate.

7 commenti

  • Avatar di mark

    Ho appena incrociato sfortunatamente sul web gli Infected Rain, mi sa davvero che non vi siete persi nulla. In pratica sono tipo i Jinjer ma ancora più noiosi e senza fantasia. Hanno la solita tipa tatuata che urla urla tipo Alissa Glu-glu. dei poveri. Braccia rubate al furto di rame

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  • Metallaro scettico
    Avatar di Metallaro scettico

    la citazione di vandesbisuz merita da sola la lettura

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  • Avatar di weareblind

    Un salutone allo stagista e al grande capo Barg.

    Purtroppo per me siamo andati leggermente peggiorando invece che leggermente migliorando. La birra è arrivata a 7 euro, ma la scelta è scesa a 4 chiare. Ma il mondo gira, e nel mio paesello da 9.000 anime quest’anno c’erano 10 fusti diversi (IPA, double IPA, stout, dubber, tripel, sour, pilsner, boch…) alla festa estiva. Invece qui son le stesse in vetro o latta (niente fusti alla spina, male) di 6 anni fa. Non ci siamo. Luppolo in rock, poi…

    Per il cibo è sparito il baracchino tipico romagnolo e la carne sudamericana, ma ho trovato un ottimo vegano (costicchia; 11 euro una porzione di pici, ottima, ma per pranzare ne ho prese 2 + verdura in pastella a 8 euro per un totale di 30 euro). Il baracchino hamburger ha esattamente un hamburger. Hamburger e patatine 15 euro.

    Durata concerti: inaccettabile. Tygers of Pan tang 35 minuti, Grave digger 45, Primal Fear 50, Running Wild 1 h 15 minuti. Il biglietto singolo costa 80,00 euro, pienamente paragonabile al Firenze in Rocks (che trovo organizzato meno che vergognosamente), però con i Korn.

    Insomma, sempre bene, ma meno degli altri anni. E dovrebbe essere il contrario.

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  • Avatar di Ameelus

    Al Luppolo si vuole sempre tanto bene.
    Felice di esserci stato anche quest’anno, anche se solo un giorno (di nuovo): scelta obbligata sul sabato visto il Signor Headliner, impossibile mancare. Credo, anzi sono abbastanza sicuro da quanto mi hanno detto, che il bill sbilanciato sia stato in funzione delle richieste pazzerelle del buon Rolf, economiche e non. Comunque mi ha stupito la sua disponibilità per il fanclub, felice per loro, è stata una bella cosa e per nulla scontata. Io ho fatto l’errore di alzare una birra verso di lui mentre l’ho beccato a guardare i gassi G and friends dalla terrazzina VIP ed è scappato immediatamente (poi magari doveva andare a caricare i barili di rum, vai a sapere).
    Rosico a non esserci stato anche domenica, i Candlemass con Mr. Edling sul palco andrebbero visti sempre sempre, ma nella vita bisogna fare delle scelte (e fortunatamente lui sul palco l’avevo già visto).
    Ottimo report ragazzuoli, Il mio parere conta un cazzo tanto quanto quello degli altri 13 lettori, ma direi che lo stagista (e non solo) è ampiamente promosso, e volevo anche dire al Maresciallo di tenersi strettissima la compagna che apprezza i While Heaven Wept, kudos a lei.
    Caro Barg ti aspetto nella pugna greca, non troppo davanti che non c’ho più il fisico, ma pronto a perdere la voce il giorno uno. La gente davvero non sa cosa si perde, ma mi verrebbe da dire, (forse) stupidamente, che certe selezionate volte è meglio così.

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  • Avatar di marcoarm2002

    Come non essere d’accordo sui “grandi festival”? Proprio all’Ippodromo Snai ho vissuto il mio momento Mark Fisher: visuale totalmente oscurata, pigiati, “token” in tasca e il tizio della security lampadato uscito da Temptation Island che puntava la torcia in faccia sbraitando a chi accennava un leggero pogo, o anche solo voleva tenere le gambe un po’ più larghe per stabilizzarsi in un headbanging. Perché disturbava quelli venuti al concerto col maglione legato sulle spalle. (O perchè tenere una stance un po’ più stabile e fare headbanging era riservato a chi aveva pagato di più per il pit, in ogni caso a guadagnarci sono quelli con il maglione sulle spalle). Io scendo qui, grazie.

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  • Avatar di Cpt. Impallo

    NON HO NEANCHE FINITO DI LEGGERE PER VENIRE QUA A ESPRIMERE POSSENTI BESTEMMIE DI APPROVAZIONE PER IL VATE SUPREMO VANDESBISUZ

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