Oltre la Cortina del Metallo: OF THE MUSES – Underheavens – Of Blood, Ghosts and Saltwater

Cristina Rombi ha una sua pagina su Metal Archives a nome Satya Lux Æterna. Vi sono riportate le sue esperienze precedenti, prevalentemente in area black e black atmosferico, in Sardegna. Perché credo che anche lei sia sarda. Dà da pensare la quantità di roba che esce dalla Sardegna, specie se confrontata con la popolazione autoctona. Non solo metal, sicuro, anzi, in tutta l’area dell’oscuro, ma se qualcuno realizzasse una mappa delle regioni italiane con band metal ogni mille abitanti, come quella famosa che ci ha permesso di localizzare indubitabilmente in Finlandia le porte dell’Inferno, beh, scommetto che la Sardegna sarebbe colorata di una tonalità più satura delle altre regioni. Chissà la Sicilia. Comunque, su Metal Archives invece il progetto solista di Cristina Rombi non ha una sua pagina, evidentemente considerato troppo oltreconfine. E dire che Senhal, il primo album di Of The Muses, il progetto solista di cui parliamo, aveva ancora più di un piede nel black metal, nelle chitarre e nelle voci in screaming. Poi, chiaro, si trattava di un progetto eterogeneo e atmosferico, un po’ alla Myrkur, semplificando. “E che, Myrkur sarebbe metal?”. Siete dei provocatori. Intanto a lei la scheda su Metal Archives l’hanno concessa. Nonostante le ultime uscite. Ma non perdiamo il focus su Cristina Rombi, aka Of The Muses, perché un secondo disco è uscito or ora, per My Kingdom Music. Si intitola Underheavens – Of Blood, Ghosts and Saltwater e se ve lo descrivo direte: “No, di metal ha poco o niente, quindi non lo ascolto nemmeno”. Però se vedete la copertina il dubbio vi viene, vero?

Immagine sepolcrale, marmorea, colori cupi e sanguigni. Pare la copertina di un disco gothic. E infatti, ecco il punto, Underheavens è prima di tutto, musicalmente parlando, uno scatto, una specie di polaroid che immortala un momento preciso. Quel momento esatto in cui tante muse (appunto) del metallo gotico internazionale hanno scelto di abbassare i toni e tirare fuori la propria passione per generi “oltrecortina” (la Cortina del Metallo). Quindi new wave gotica, trip-hop, elettronica gentile, persino certo brit-rock e shoegaze. E adesso non fate gli schizzinosi, gli integralisti. Lo so benissimo che voi no, le caramelle pop dagli sconosciuti non le avete mai accettate. Ma dai conoscenti col pedigree giusto sì, sbaglio? Tipo mezza redazione, da noi, che va pazza per i Kent. Vai a capire.

Una polaroid, dicevo. Un momento esatto. Le voci animalesche, scream (o growl) appena svanite in un soffio, le chitarre ancora ben presenti, volume inferiore, un po’ meno distorte, e le ritmiche ancora ben solide. Ma avanzano i tappeti atmosferici delle tastiere. Un bel tappeto su cui distendere melodie suadenti, malinconiche. Ma di una malinconia un po’ più intima che esteriormente sepolcrale. Insomma, esattamente il momento in cui Gathering, Anathema, Katatonia, Paradise Lost (e chi più ne ha più ne metta) hanno racchiuso in un cassetto la parte più belluina e hanno iniziato a fare altro, chi più, chi meno. Un altro spesso bellissimo, ma ispirato da altri, dai Radiohead, dai Depeche Mode, e via così. Ecco il momento in cui le caramelle pop le hanno accettate in tanti, anche da noialtri. Con risultati prevedibili (quali strali indignati e accuse di essersi venduti) e altri meno (come metallari che adorano questi dischi di fasi “soft” e continuano a disprezzare esperienze contigue, ma fuori cortina).

Ma tutte queste chiacchiere solo per contestualizzare un disco di oggi, 2025, opera di una musicista giovane, forse molto giovane, che fa di solito tutto da sola (a questo giro però percussioni e qualche altra traccia di chitarra sono del belga Déhà, uno di quelli che su Metal Archives hanno una trentina di progetti attivi e sfornano un album al mese). Sul disco continuo a svicolare… Perché? Non lo so. Per me è un disco molto, ma molto suggestivo. Un disco bello con dei momenti anche davvero emozionanti. Il concept è privato, doloroso. Lo trovate accennato nelle schede del disco, anche su Bandcamp, ma vi consiglio di concentrarvi sulla musica, che merita di essere valutata in sé. Un’intro, batteria programmata e synth all’inizio, che ripesca subito certa new wave gotica, Cure, Dead Can Dance, Concteau Twins/This Mortal Coil, ma già con una bella personalità.

Vi chiederete: ma perché esce a maggio un disco così? non era meglio settembre/ottobre? Parte A Summer Burial a risponderci, con parti del gotico che dicevamo (metallico o meno) a ibridarsi ed alternarsi con le atmosfere fiabesche degli Alcest. Già brano programmatico, ma solo antipasto di quello che verrà, dopo un interludio sospeso. Ovvero il trio di brani che costituisce il cuore dell’album. Prima Pilgrimage, la mia preferita (per quel che conta), che parte gagliarda, tesa e chitarristica e poi esplode nel ritornello (eccellente) in melodie cupe, tese anch’esse, e oblique. Melodie fine anni ’90 che decisamente spostano l’attenzione su una certa idea di gotico, rispetto a strofe nettamente più pop. Poi The In-Between Was a Fever Dream, altro singolo, più ariosa, rasserenata, ma, certo, non meno suggestiva. E poi Phantom Limb, sommessa più delle precedenti, recupera drammaticamente un certo registro gotico, ma poi il canovaccio si dispiega nella maestosità del finale, tastiere, vocalizzi, una batteria che comunque pesta e soprattutto le suggestioni di una frase di chitarra quasi-solista davvero ispirata. Tre brani esemplari.

Ora, perorare la causa di Underheavens tra noialtri cattivoni è stato pure relativamente facile, fino a questo punto. Ma poi, prima dell’outro, l’ultimo pezzo, The Night, sceglie senza misure di manifestarsi come un trip-hop piuttosto pop. Ritmi elettronici sincopati, cose così. Ora, io che del linguaggio del trip-hop apprezzo sinceramente gli aspetti più abissali, disperati e notturni, non pretendo che mi seguiate anche qui, perché The Night, anche se va a concludere un disco disperato, sembra quasi pacificata. Ma questo è il punto, e direi anche il bello, di questo disco qui. Che se oggi fosse uscito per 4AD penso che nessuno si sarebbe scandalizzato, anzi. Ma nemmeno tanto fosse uscito per Prophecy. Spero che Cristina Rombi si prenda le sue soddisfazioni, con questo disco qui. Meritate. Poi cosa farà al prossimo passo, chi può dirlo. Ora sembra in equilibrio tra due (o più) anime. Potrà indurire le batterie e alzare il suono delle chitarre per restare in ambito metal. Oppure ridurre durata e strutture dei suoi brani (di tre minuti qua ci sono solo gli interludi) e puntare su ritornelli più a colpo sicuro. Potrebbe tentare un brano in italiano e accreditarsi come outsider nel contesto pop nazionale? Questa è un po’ più difficile, forse, e delle possibilità nemmeno quella che preferiremmo. Ma in fondo Cristina della sua creatura può benissimo fare quel che vuole. Capacità ne ha. (Lorenzo Centini)

2 commenti

  • Avatar di Rob

    La parte più bella di questo blog è quando ti fa scoprire album come questo

    "Mi piace"

  • Avatar di Carolina84

    Io credo che una cosa meravigliosa del metal, nonostante l’apparente intransigenza dei suoi appassionati, è la capacità dello stesso di ibridarsi con altri generi creando sonorità incredibili. Molti di quelli nominati in questo articolo sono artisti che hanno un posto speciale nella mia vita (Kent su tutti).

    "Mi piace"

Scrivi una risposta a Rob Cancella risposta