È uscito un nuovo disco dei GRAVE DIGGER

I Grave Digger hanno pubblicato una ventina di dischi. Il numero preciso non lo so, non mi va di mettermi a fare i conti della serva sui dischi dei Grave Digger, ma di sicuro è pure qualcosa in più di venti, anche contando quello a nome Digger negli anni Ottanta. Quindi questi praticamente ogni paio d’anni se ne escono con un disco nuovo, sempre uguale al precedente e sempre un po’ peggio del precedente. Del resto lo stesso Chris Boltendahl qualche tempo fa disse che vorrebbe tanto andare in pensione ma non può, perché il suo mestiere questo è e per sbarcare il lunario è costretto a stare sempre diviso tra studio di registrazione e tournè. La conseguenza è che se voi, per pura curiosità, vi andate a vedere la lista degli ultimi dischi usciti a nome Grave Digger vi ritrovate con cose che probabilmente non avete mai sentito nominare. Che roba è Symbol of Eternity? Fields of Blood? The Living Dead? Qualcuno di questi ricordo che lo recensì Belardi, ma persino lui evidentemente non aveva trovato qualcosa di brillante da dire e quindi si era messo a parlare di lampredotto, polpette al sugo e pesca sportiva. Che poi è l’unica cosa di cui puoi parlare, voglio dire: dopo venti dischi non puoi ripetere sempre gli stessi concetti, specie se i dischi sono brutti.

Ed è proprio questo, forse, l’unico punto che vale la pena sviscerare: mi ha sempre parecchio sorpreso il fatto che i Grave Digger siano finiti così male. È strano, perché i gruppi tedeschi di solito non finiscono quasi mai così male. Tendenzialmente puntano molto sull’esperienza e sul mestiere, quindi magari ti ritrovi con dei dischi normali, addirittura piacevoli, che magari ti dimentichi due secondi dopo averli ascoltati, ma che non ti lasciano mai un saporaccio sgradevole in bocca. Pensate, non so, agli Accept, ai Running Wild, ai Primal Fear, agli stessi Helloween e via dicendo. Non mi ricordo un disco completamente brutto di questi, magari può essere successo che ne abbiano sbagliato uno o due, ma solitamente succede quando vogliono provare a fare qualcosa di nuovo, a uscire dal seminato; altrettanto solitamente, però, subito dopo rientrano nel seminato e quindi vale il discorso di prima. I Grave Digger no. I dischi dei Grave Digger ormai si può dire che facciano schifo. Hanno iniziato il declino con, boh, Excalibur, caruccio ma decisamente più loffio di quelli prima, e da lì in poi una discesa inarrestabile nel cassonetto dell’umido.

Per farvi capire l’atipicità della molto poco germanica brutta fine dei Grave Digger abbiamo un esempio perfetto: gli assoli. I gruppi tedeschi possono anche fare dischi noiosi, superflui, addirittura brutti, ma gli assoli gli verranno sempre bene. Rolf Kasparek può pure scrivere il disco più moscio della storia e registrarlo nella cantina di casa sua, ma ascoltandolo saprai perfettamente che arrivati al momento dell’assolo cadranno giù i muri. I Grave Digger manco quello, ed è seriamente incredibile: sentitevi l’omonima in apertura di questo Bone Collector e fate caso a quanto faccia incomprensibilmente schifo l’assolo. E andando avanti con le tracce il risultato non cambia. Mi dispiace pure parlarne così male, perché Boltendahl mi sta simpatico e in passato hanno scritto dei dischi della stramadonna, ma la verità è che questi si sarebbero dovuti sciogliere una trentina di anni fa e ora ne staremmo parlando come di una leggenda assoluta. Invece no, perché Boltendahl deve pagare le bollette a fine mese. È un mondo difficile. (barg)

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