Helloween, tanto rumore per nulla

Barg: L’altro giorno ho deciso di affrontare la realtà e mi sono rasato i capelli a zero. Non l’ho fatto per entrare a far parte della gang di pelati capitanata da Cesare Carrozzi, ma perché purtroppo i capelli hanno deciso di abbandonarmi ed è inutile fare finta del contrario. Oltre alla calvizie, un altro sintomo caratteristico del cinico scorrere del tempo è l’esperienza. È stata proprio l’esperienza, ad esempio, che mi ha fatto tenere le aspettative bassissime su questo strombazzatissimo disco di reunion degli Helloween, nonostante il singoletto Pumpkins United fatto uscire per il tour di qualche anno fa fosse spettacolare. Del resto non c’erano motivi per cui si potesse sperare in un miracolo: gli Helloween sono un gruppo superfluo da circa vent’anni, anche a causa dell’ego e della miopia di Weikath che non ha mai ritenuto opportuno sostituire adeguatamente Grapow e Kusch, la cui fuoriuscita ha fatto sprofondare gli Helloween in un limbo di mediocrità in cui gli unici spiragli di luce erano dati dalle poche linee vocali azzeccate che ogni tanto riuscivano a mettere insieme. Non c’era quindi ragione di aspettarsi che il rientro di Michael Kiske e Kai Hansen sortisse qualcosa di diverso rispetto al solito disco superfluo degli Helloween: il primo non è un gran compositore, e comunque è estraneo al giro praticamente da trent’anni, fatta salva qualcosina qua e là; il secondo pare che abbia tirato i remi in barca, vista l’indeterminatezza sul destino dei Gamma Ray che non fanno un disco da 7 anni e che sembrano scomparsi anche dal circuito concertistico.

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E infatti, alla fine, indovinate? Helloween è un dischetto superfluo. Ha tutti i difetti dei dischi degli Helloween degli ultimi vent’anni: lunghezza eccessiva, mediocrità strumentale, rifferama poco curato, voce di Deris sempre peggiore, produzione caotica, sensazione di forzatura e poca sincerità che si respira a pieni polmoni, eccetera. Ma soprattutto è troppo, troppo, troppo, troppo lungo. Settantatré minuti (SETTANTATRÉ MINUTI) di morbidezza che spezzerebbero le reni anche a un rinoceronte, e sono settantatré minuti di cui davvero non ti frega un cazzo, e non vedi l’ora che tutto finisca ma non finisce mai, e guardi la scaletta e ti rendi conto che non sei neanche a metà, e ti viene voglia di morire e mettere su, che ne so, i Batmobile. Non è forse un caso che il pezzo migliore, o quantomeno l’unico che ti venga voglia di risentire, sia uno dei più brevi, e cioè Best Time, di soli tre minuti e mezzo. Per il resto sembrano tutti pezzi tirati per le lunghe, senza neanche voler citare l’apoteosi dei dodici minuti abbondanti della noiosissima e incomprensibile Skyfall, con tutti sti ritornelli ripetuti, questo doppio pedale a mille, questo accavallarsi di chitarre per, ripetiamo, settantatré lunghissimi minuti. Se avessero preso le cose migliori del disco e le avessero concentrate nella metà del tempo, forse – e dico forse – sarebbe venuta fuori qualcosa di mezzo decente; ma non ne sono neanche sicuro.

Ultima cosa: Charlie Beuerfeind. Da quando ha preso in mano lui gli Helloween, i loro dischi sono inascoltabili, caotici e pastosi. Io non riesco a capire come la gente ancora paghi Charlie Beuerfeind per produrre un disco, dato che 9 volte su 10 il disco te lo ammazza. Ne avevo già parlato per Nightfall in Middle-Earth, che però le canzoni ce le aveva; qui invece, dato che non ci sono neanche le canzoni, tutto quello che sentiamo è un affannoso affannarsi dei musicisti per suonare partiture veloci che si accavallano e sfuggono alla nostra comprensione. Finché ci sarà questo fenomeno alla consolle, sentire un disco degli Helloween ti farà solo venire il mal di testa.

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Cesare Carrozzi: Cosa mi aspettavo dal nuovo disco degli Helloween di nuovo riuniti con Hansen e Kiske? Niente di che. Cosa hanno prodotto gli Helloween con Hansen e Kiske? Niente di che, esattamente. Non che il nuovo disco sia totalmente brutto, ma non è nulla di interessante, e quelli che ci sentono dentro i Keepers o che semplicemente ne apprezzano le belle melodie dovrebbero farsi vedere da uno bravo, otorinolaringoiatra, o psichiatra, o entrambi. Perché poi il punto è proprio cosa ci si aspettava, no? O meglio, cosa si aspettava il medio fan fulminato che solo all’idea di Kiske di nuovo su un disco degli Helloween ha sparso fiumi di lagrime di gioia (e non solo quelle) un po’ ovunque per casa, magari un ultraquarantenne che dorme ancora nella cameretta in casa dei genitori, coi poster appesi alle pareti e la collezione di fantastillioni di cd (rigorosamente disposti con qualche tipo di ordine, o alfabetico o di genere) in bella mostra come trofei. Ecco, Helloween è proprio per loro, per quelli cioè che, inconsciamente o meno, lo avrebbero apprezzato A PRESCINDERE da come fosse realmente. E infatti buona parte delle recensioni che incensano Helloween disco sono di gente così, magari non tutti ultraquarantenni, ma la cameretta coi poster e i cd e un fracco di testosterone disperso nell’aria sicuramente.

Helloween

Ora, il disco qualche momento carino ce l’ha, non dico di no, ma sono momenti dispersi in un oceano di noia: tutte le canzoni scritte da Weikath sono delle porcate assurde, a comiciare da Out For Glory (con la quale il nostro fan medio ultraquarantenne avrà avuto un inaspettato episodio di priapismo) che al posto di un ritornello ha una sorta di esercizio per cantanti che devono scaldarsi la voce dopo aver fatto i gargarismi, una tara che ricorre appunto in tutte le sacrosante canzoni da lui composte e che già da sole affossano Helloween in modo inesorabile. Che poi, cosa fa del power metal un genere apprezzabile (di quello tedesco in particolare)? LA CANTABILITA’ DELLE LINEE MELODICHE. è sempre stato così, che si tratti di cori da osteria o il ritornello di Eagle Fly Free, il fatto di poterle cantare a squarciagola è l’incredibile valore aggiunto che, soprattutto dal vivo, hanno le canzoni power cioccolatose; gli Helloween (compreso Weikath) da questo punto di vista erano dei maestri. Mo’ io vorrei vedere i suddetti ultraquarantenni a cantare a squarciagola il ritornello di Out for Glory o Robot King sotto al palco senza aver fatto i gargarismi prima (quelli con la birra non valgono, temo) e senza che il tutto sembri una corale che si esercita in vista di un’importante esibizione di canzoni folk in Russia. Bah.

Per il resto, come detto, qualcosa si salva, nella fattispecie Fear of the Fallen è carina e Indestructible e Best Time pure si lasciano ascoltare, però le rimamenti sono un abisso di noia senza fondo e la chiusura con Skyfall un esercizio di stile dove sì, si riconosce il parrucchino di Kai Hansen, ma purtroppo è appunto una parrucca e non capelli veri (voglio dire che secondo me è una summa di riff che gli sono avanzati da precedenti lavori riarrangiati in un pezzo di dodici minuti circa, col risultato che il pezzo è riconoscibile come stile, ma pure stanco e sbiadito nella resa, in definitiva niente affatto ispirato). Secondo me il miglior lavoro di Hansen e Kiske dopo gli Helloween rimane Light of Dawn degli Unisonic, che suona molto più fresco dinamico ed “Helloween” di questo Helloween del 2021. Casomai andate recuperarvi quello, cari amici in cameretta. Anzi, meglio ancora: uscite da ‘sta cazzo di cameretta e fatelo prima di subito, altro che Helloween e cazzi e mazzi. Forza un po’.

20 commenti

  • Charlie Bauerfiend é stato una iattura per gli Helloween, lo sostengo da sempree non credo nemmeno ai diktat della NB come narra la vulgata. Per quanto alle produzioni si dia secondo me una eccessiva importanza rispetto al passato (ci sono dischi se suonano in modo ignobile anche se rapportati al periodo in cui uscirono, ma che continuano a piacerci) é inconcepibile che nel 2021 ci siano ancora band e produttori incapaci di calibrare bene il sound di un disco. Forse é davvero una questione di sensibilità o forse alle band di questa roba frega davvero poco, l’attitudine é molto più terra terra di quello che pensiamo.
    Per quanto negli Helloween dei Duemila non ci sia nulla di inascoltabile, concordo sulla scarsa influenza di Loble e Gerstner, due onesti musicisti che tuttavia non hanno portato negli anni un particolare valore aggiunto a differenza dei predecessori. Ognuno porta un pezzettino, inclusi Hansen e Kiske che per motivi diversi hanno limiti ben evidenti, e alla fine la nave in qualche modo tiene botta. Ma non ci si strappano i capelli.

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    • Ah ma almeno non sono io che penso da vent’anni che Bauerfeind sia un Re Mida della merda.

      Luca, per curiosità, quali sono i limiti _diversi_ di Hansen e Kiske?

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      • Essenzialmente compositivi. La stessa Skyfall é un campionario di citazioni stilistiche del repertorio di Hansen. I nostri due eroi anche sul citato Unisonic non hanno messo mano, quella é tutta farina di Dennis Ward. Che poi siamo iconici é un altro discorso.

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  • Invincible? Ma che disco avete sentito?

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  • Quelli che sanno dicono che il disco cresce con gli ascolti. A me sono cresciute le palle a dismisura.

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  • Antonio Capronica

    E vabbè, è andata come doveva andare. Però ragassi, il concerto delle zucche riunite è stata fra le cose più belle degli ultimi due 10 anni. Comunque onore a loro.

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  • beh ragazzi, se guardiamo i passaporti (o le foto) di questa gente cresciuta a birra e wurstel si capisce subito che sono più bolliti di Lou Reed degli ultimi anni…. solo appunto un bambinone di cinquanta anni coi poster in cameretta poteva aspettarsi un capolavoro da loro o da gente come i Blind Guardian, o i Maiden con 10 chitarristi.

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  • Sì ma poi sto discorso non vale per i Darkthrone, per dire un nome altisonante che pure se scorreggia genera proselitismo. Quella cosa che hanno pubblicato come singolo è una zozzeria indegna.

    Il disco in oggetto invece a me non è dispiaciuto per niente. Anzi.

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  • Articolo fuffa,solo fuffa. Io capisco i gusti ma qui siamo a livelli veramente ignobili. Con tutta la merda di power che esce da anni questo disco anche se non è un capolavoro é un album di. Mestiere suonato alla grande. Poi ci si lamenta della produzione? Ma siete seri ?Ma che orecchie avete. Siete fuffa.

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  • Dai, porco dio, veramente. Ma che cazzo dite sulla produzione? Avete sentito un promo CD? Col cazzo. Avete sentito Spotify a 96 kbps su un telefonino. Non parlate de sta roba alla cazzo de cane, perché fate una brutta figura. Ci sono 36 categorie di differenza tra il suono di fregnafy e il disco fisico. Ho il disco fisico. Anche gli equilibri dell’equalizzazione di base sono totalmente, ripeto totalmente diversi. Nonché la tridimensionalità. Sul disco il basso spacca, per dire. Posso muovere un appunto sulla leggerezza delle chitarre, sì. Ma non è un disco death metal. La batteria ha una resa estremamente naturale, direi quasi analogica su supporto fisico.

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    • No, scusa, no.
      L’idea che la produzione, buona o cattiva, di un disco non sia valutabile da un mp3 a 192k è semplicemente fuori dal mondo ed è in conflitto con l’idea stessa del ruolo del produttore, che NON è un fonico, ma è qualcuno che ha una mano pesante sul suono del disco.
      Le 128 tracce di chitarra che Bauerfeind mette su ogni disco dei Blind Guardian e che equalizza a sangue nel tentativo di ripristinare un po’ di separazione in quella confusione sono apprezzabili pure su cassetta nel loro franco orrore.
      Sono apprezzabili pure su quegli orrendi vinili masterizzati da red book.
      Una produzione di Bauerfeind la riconosci anche a 96k, tant’è che fanno tutte cacare platani uguale da trent’anni.
      “Non hai ascoltato il disco con l’impianto audiofilo” è una critica che magari ha senso se stiamo parlando delle finezze di uno dei tanti buoni remaster dei Pink Floyd, ma qui è fuori luogo.

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      • Non piace nemmeno a me sto cazzo de produttore. Gambling with the devil suona come dici tu. Ma qua ha fatto un ottimo lavoro. Punto. È oggettivo.

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      • Il mastering della roba che finisce su Sborify è spaventosamente diverso, è una merdata totale. Dinamica vs compressione. Sentiti sto cazzo de disco su vinile, non serve manco un hi-fi. Basta un discreto impianto. Poi ne riparliamo. Se non senti manco in questo caso la clamorosa differenza sei sordo. Che te devo dì?

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    • Ma sopratutto, come accidenti fa la batteria ad essere “naturale” ed “analogica” al tempo stesso.

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      • “Il segnale in natura è quindi continuo (analogico). La tecnologia di registrazione analogica è continua perché incide il segnale in maniera, per l’appunto, continua. Il digitale deve invece acquisire un segnale continuo per poi trasformarlo in un segnale non continuo. Questa fase, detta di campionamento, è la più grande differenza tra le due tecnologie. Il suono NATURALE è quindi per DEFINIZIONE “ANALOGICO”.
        http://www.hardnheavy.it/sito/articoli/articolo8_CDvsLP.html
        Tra l’altro non ho detto che hanno registrato in analogico, gli Alcest con l’ultimo lavoro lo hanno fatto. E ci hanno messo mesi e mesi e speso una fortuna. Parlavo della resa della batteria, ripeto, che suona naturale e QUINDI analogica. Suona.
        Tra l’altro, a proposito della batteria usata sul disco:
        “In un video pubblicato ieri 17 dicembre, il drummer Dani Löble ha annunciato di aver usato la batteria che il compianto Ingo Schwichtenberg utilizzò per registrare ‘Keeper Of The Seven Keys”.
        Ciao.

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  • La produzione di questo disco invece è notevole, in particolare sulla sezione ritmica, me lo sono sparato in cuffia un po’ di volte (il CD, non gli mp3 che hanno anche dei mix/master diversi mi sembra) e mi ha colpito il lavoro alla console. Ottimo in particolare il basso. Poi sono abbastanza d’accordo con il resto, ma che è grosso modo quello che mi aspettavo da loro.

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  • Che recensione di m…..a ! A me piace di brutto questo!

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  • Confermo pienamente Barg e Carrozzi, che sono troppo educati. Il disco rompe il cazzo, non si arriva alla fine.

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  • Ma gli Helloween, parola di barg, non componevano “buoni dischi di mestiere da 20 anni”?

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