Sólstafir // Oranssi Pazuzu // Helga @Slaughter Club, Paderno Dugnano (MI) – 03.12.2024
“Il lavoro nobilita l’uomo, ma gli impedisce di vedere i gruppi di spalla ai concerti”, recita una frase attribuita a Charles – non il nostro Charles, ma Charles Darwin. Nello specifico, provo sempre a fare incastri pazzeschi tra le giornate in cui devo andare in ufficio e quelle in cui posso lavorare da casa, cercando di far combaciare queste ultime con quelle in cui è stato pianificato un concerto – o una partita a calcetto. Questa volta mi è stato impossibile per un importantissimo evento aziendale a cui dovevo dire un’imprescindibile frase di 2 minuti al microfono. Provo a farmi mettere all’inizio della scaletta ma qualcuno a cui non si può dire di no decide che è meglio che io pronunci le mie parole in chiusura. L’evento va lungo e mi ritrovo dall’altra parte di Milano all’ora in cui dovrei entrare allo Slaughter Club di Paderno Dugnano.
Inutile precisare a questo punto che non sono riuscito a vedere gli HELGA – oppure la Helga (alla polentona) o semplicemente Helga dato che, da quanto apprendo, si tratta di un gruppo svedese che prende il nome dalla cantante Helga Gabriel. Avevo comunque fatto i compiti a casa e avevo ascoltato il loro unico LP Wrapped in Mist e mi era sembrato di poterli definire post-metal – suonato in una versione più leggera dei loro conterranei Cult of Luna – con spunti decisamente tendenti al progressive e al doom, tanto da ricordare in alcuni passaggi più melodici sia gli Opeth che i Katatonia. Un coacervo di riferimenti svedesi che, a questo punto, sono tutt’altro che casuali. D’altronde, come diceva, mi sembra, sempre Charles Darwin: “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova“.
Arrivo giusto in tempo per gli ORANSSI PAZUZU, gruppo di cui ho sempre sentito un ben dire ma che, devo ammettere, non ho mai avuto modo di approfondire. Anche per questo motivo ero molto curioso di sentirli dal vivo – anche perché, vista la discografia abbastanza ben fornita, non ho avuto tempo di fare i compiti a casa prima di questa data. I due amici che mi accompagnano sono venuti quasi solo per loro. Uno me li definisce “quasi come gli Ulcerate ma black metal”, l’altro come “una roba strana con un po’ di jazz, black metal, industrial e altre robe”. Il primo amico mi sembra un po’ fuori fuoco, a meno che nei primi album effettivamente non suonassero a quel modo – sto facendo i compiti adesso e mentre scrivo queste frasi sto ascoltando l’ultimo album uscito quest’anno Muuntautuja, che forse dà più ragione al secondo. La definizione più azzeccata è però probabilmente quella che diede Charles, questa volta il nostro e non Darwin, quando li definì black metal psichedelico. Io ci ho sentito anche un po’ di Dødheimsgard e un po’ di Aarni, un altro gruppo finlandese pazzerello che ascoltavo da giovane quando avevo tempo – anche se loro erano più legati al doom. In ogni caso, il gruppo di Tampere riesce a ricreare un’atmosfera pazzesca che soddisfa anche me oltre ai due sodali che mi accompagnano.
Il motivo per cui sono venuto io, invece, sono i SÓLSTAFIR, che avevo visto una sola altra volta dal vivo in uno strano tour semiacustico accompagnati da un quartetto d’archi. Anche loro sono freschi di nuovo album, Hin helga kvöl, pubblicato l’8 novembre, il quale mi ha lasciato sensazioni contrastanti: da una parte li riporta a una dimensione originaria, con un paio di ottime canzoni, le quali vengono anche riproposte in scaletta questa sera, che trasportano direttamente ai tempi del black metal di Í blóði og anda e che dimostrano come siano ancora capaci di comporre e suonare metal quando vogliono – ma già i Bastarður, progetto parallelo del cantante Aðalbjörn Tryggvason, l’avevano dimostrato; dall’altra tutta una serie di canzoni un po’ mosce che giustificano quanto risposto dal Barg e da Centini quando chiesi loro se mi avrebbero accompagnato, ovvero “che palle i Sólstafir”. Il resto della scaletta ripercorre un po’ tutta la loro carriera. Mi sarei aspettato brani principalmente dai dischi più recenti, Berdreyminn ed Endless Twilight of Codependent Love. Con sorpresa mi ritrovo invece ad ascoltare molti dei miei brani preferiti da Svartir sandar e da Köld. Posso arrivare, anche grazie a questa scaletta, alla conclusione che il grosso problema degli islandesi è probabilmente anche il loro maggior successo, ovvero il singolo Fjara: dopo che l’hanno riproposta vediamo gente andarsene, come se fosse venuta lì solo per quella canzone. Per il resto confermo le impressioni sul pubblico estremamente variegato avute al loro altro concerto, dato che ho notato molta gente incanutita – uno assomigliava ad Antonio Razzi, per dire – che mi sarei aspettato di più a un concerto di Pink Floyd e Deep Purple. C’è anche da ammettere che, a parte Tryggvason, gli altri membri risultano un po’ bloccati e non interagiscono quasi per nulla né con il pubblico né tra di loro, ma anche solo canzoni come Ljós í stormi e Goddes of the Ages, che conclude nuovamente il loro concerto, valgono il prezzo del biglietto. (Edoardo)
