Si fa presto a dire NWOTHM: epicità all’ingrosso

Chissà come sono andate veramente le cose, quel giorno. Quando per poco non finì male tra il Barg ed il Belardi. Pomo della discordia: la musica “degli” IRONFLAME, che il toscano è accusato di aver irriso, per ciò denunciandosi come nemico del metallo. Chissà come andò, dicevo, perché né Marco ha replicato alle pesanti accuse, né l’unico testimone oculare, Ciccio, ha fornito la sua versione dei fatti. Per il disco successivo invece si mosse il Maresciallo Diaz, noto aziendalista ad oltranza, condividendo e rilanciando il giudizio del Barg sulla musica di questo tal Andrew D’Cagna. Vorrei però sottolineare che, dopo tali, pesantissime accuse, non c’è stata alcuna epurazione. Vien da pensare forse che l’animosità iraconda del Barg abbia avuto un ruolo. Magari il Belardi nemmeno ha irriso il polistrumentista dell’Ohio. Che fa tutto da solo, ma nelle foto promozionali e nei video poi raccoglie una formazione intera. Chissà come mai. E chissà, magari il toscano ha anche solo sottolineato che il suo potrebbe sembrare un metal epico come tanti. Competente, coerente. Magari un po’ troppo pulitino. Ben suonato, dinamico. Sicuramente energico. Molto ben calibrato. Un po’ lucidato. Chissà, magari ha avanzato l’ipotesi che non è che tutto quello che si canta subito, innodico, lo si riesce a ricordare a distanza, che so, di un’ora o due, se in fondo le melodie non sono tutta questa originalità. Nulla per cui evocare una Crociata. Chissà, magari il Belardi si sarà espresso in questa maniera, scatenando l’ira e le calunnie del tirannico Bargone. No, lo dico perché è un po’ questa l’impressione che ha fatto a me questo Kingdom Torn Asunder.

Giungono da Albione i PHAËTHON, da non confondersi con due gruppi diversi, con lo stesso nome, ma senza dieresi. Io mi stavo confondendo col titolo del loro esordio, Wielder of Steel. All’inizio non avevo letto la “i” e pensavo si intitolasse “saldatore dell’acciaio”. Sarebbe stato un nome di merda, meglio “portatore dell’acciaio”, per quanto banale. Comunque, esordio, dicevo, del quartetto londinese, con dentro uno che è membro dei Fen (il cantante/chitarrista, qui solo chitarrista) e uno che ci ha suonato dal vivo. L’Ep del 2020, Sacrifice Doth Call, aveva qualità sufficiente per ricordarseli, aspettando senza troppa ansia l’esordio vero e proprio. Che è arrivato ora, quindi, con un album di epic heavy metal rozzo, rozzissimo, che si ferma un secondo prima di diventare estremo. Se mi concedete una cazzata, diciamo tra Venom e, che so, i Cirith Ungol. L’idea ci sta. L’esecuzione è sporca, bastarda e maleducata. Voce sgraziata, sgraziatissima. Potrebbe non piacere troppo, ma son gusti. Più divertenti sicuri dei Morgul Blade, coi quali se vogliamo una mezza idea la condividono, quella di mischiare l’epic con un po’ di estremo. Qui però siamo molto più sull’old school (cosa buona e giusta), e quindi ci sta che piaccia a qualche nostalgico un po’ più del dovuto. Nei tratti lenti, cadenzati, simili un po’ ai March to Die, tra gli odierni. Ma, d’altronde, è questione di vecchi sacrosanti riferimenti condivisi. Diffonde la benemerita, romana, Gates of Hell, succursale Cruz del Sur.

Questi GRENDEL’S SŸSTER ce li propone proprio la benemerita Cruz del Sur. A dire il vero li avevo attenzionati tempo fa, per una raccolta/fiume di Ep su Bandcamp con copertina tratta da Alma Tadema. Comunque, era dal 2019 che non si facevano vivi e questo, in realà, è il primo album. Titolo doppio, Katabasis into the Abaton / Abstieg in die Traumkammer, in inglese e tedesco come al solito. E come al solito la scaletta pare gigantesca, ma è solo perché è intrhgralmente riproposta in entrambi gli idiomi, senza alcuna differenza sonora, solo la traccia vocale. Se hanno finalità didattiche e magari sono sponsorizzati da qualche istituto per l’apprendimento della lingua tedesca non so, fatto sta che loro, che tedeschi sono veramente, sembrano proprio in fissa per le tradizioni fantastiche del loro Paese. Giustamente, direi. La musica è una specie di folk heavy metal, dove per folk non vedeteci l’acustico (la gran parte delle chitarre qui registrate sono elettrica) , quanto semmai il richiamo non solo tematico a musiche tradizionali. Come dicevo, tutta la scaletta è ripetuta, per cui non è necessario che vi ascoltiate tuttigli ottantaquattro minuti ufficiali, basta la metà. Il legame con il versante più gentile della NWOTHM odierna (Tanith, Herzel) è evidente, persino dichiarato. Non mi fanno impazzire, i Grendel’s Sÿster, preferisco appunto i due nomi citati prima. Per quanto gentili, piuttosto rigidi. Non particolarmente magici o immaginifici, o coinvolgenti. Forse da vedere su palco, in un contesto a loro congeniale.

Visto che un paio dei nomi di cui ci siamo già occupati sono stati diffusi da etichette italiane, chiudiamo invece con due band italianissime. O per meglio dire sarde (meglio chiarire che qualche indipendentista lo trovi sempre). I primi sono dei veterani di Sassari, gli ICY STEEL, partiti nel lontano 2005, il cui The Wait, the Choice and the Bravery è “già” il sesto album. Stefano Galeano, che canta e suona la chitarra, è il filo conduttore di tutte le formazioni che si sono succedute dall’esordio. Guida gli Icy Steel in freddi e rigidi territori manowariani. Tempi mediamente medi, epicità maschia esibita, nessun orpello. Album monolitico, anche questo non significa che delle varianti gustose non sarebbero proprio nelle corde dei sardi. Prendiamo Fight Against Constant Sorrow, che è una specie di ballata e che nel ritornello richiama melodie di opera rock maggiore. Citerei quasi Queen e una volta tanto lo farei come complimento, perché la melodia del ritornello, che irrompe dopo l’incedere solenne della strofa, è davvero riuscita. Una digressione, comunque, perché il percorso riprende subito con toni più marziali. Un titolo come The Barbarian Side of Yourself sembra pensato da uno psicologo con i mutandoni di pelliccia. Gloria conquistata sul campo, nella pugna, a suon di mazze e spadoni.

SKYEYE-aprile-2021-1

Ho appreso degli sloveni SKYEYE (ahi) grazie al sempre vigile lettore (e censore) Ipercubo, che li ha segnalati con garbo la volta passata. E c’è da dire che non ha torto, l’anonimo contributore. Perchè New Horizons, questo il titolo del terzo e nuovo album degli slavi, è un bell’esempio di heavy metal tra classico e moderno. Vado a spiegarmi: metallo sempre su tempi veloci (non velocissimi), diciamo post-Painkiller, ma mai “panterizzati” o ammodernati, come potrebbero fare oggi degli estimatori dei Nevermore. Quindi, suono moderno e per nulla retrò, tagliente, ma in termini di scrittura siamo ai classici. Inteso come stile, poi chiaro: non sono i nuovi Iron Maiden, questi SkyEye qui. Molto probabilmente comunque meglio degli ultimi, ma dai, non spariamo più sui deboli e gli indifesi. New Horizons quindi è un heavy metal tosto, epico, melodico (melodie buone, alcune molto buone), qualche synth giusto a completare la maglia sonora, per il resto chitarre d’acciaio e batteria tosta. Voce buona, scuola Dickinson, non troppo lontana da lidi power (certo power). Quindi ecco, mi sentirei di consigliare gli SkyEye a chi ha apprezzato già di recente Triumpher (che tornano tra poco) e Sacred Outcry. Non al livello per me pazzesco di quei due pilastri greci, ma se trovassi gli SkyEye sullo stesso palco e piuttosto in scaletta non ci troverei nulla da obiettare. Bel disco, New Horizons. Lunghetto (quasi un’ora), al gusto mio, personalissimo, un paio di brani in meno male non avrebbero fatto. Ma bello. (Lorenzo Centini)

6 commenti

  • Avatar di weareblind

    SkyEye davvero ottimo.

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  • Avatar di ipercubo

    Era anche ora.

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  • Avatar di Fredrik DZ0

    per me invece gli Ironflame sono invece un gran gruppo, capace di portarli in top ten del 2024.

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  • Avatar di Squalo

    Da ieri pomeriggio non faccio altro che ascoltare il primo EP dei Ringlorn, band greca che deve sicuramente molto ai Warlord ma dotata di una classe ed epicità non comune.

    Si chiama Chapter One, è uscito ad inizio 2024 ed è stupendo.

    A fine gennaio uscirà il loro primo album, Tales of War and Magic e la notizia più sconvolgente (almeno per me) è che c’è stato nel giro di pochi mesi un cambio alla voce con l’ingresso di Marco Concoreggi…e ora l’attesa si fa ancora più impaziente.

    Date un’ascolto all’EP (sicuramente tra i più belli del 2024) perché secondo me avremo a breve uno dei migliori dischi del 2025.

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  • Avatar di Squalo

    Segnalo un altro album, sempre dalla Grecia, che si muove incredibilmente bene tra Epic e un Folk mai birraiolo o parodistico.

    Iriath, degli Arysithian Blade.

    E per me è già disco dell’anno.

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