Avere vent’anni: EAGLES OF DEATH METAL – Peace, Love, Death Metal

Il nome degli Eagles of Death Metal sarà per sempre legato ad una delle pagine più tragiche della nostra storia recente, una sorte quantomeno curiosa per un gruppo che aveva sempre avuto il puro e semplice divertimento come unica ragione di essere. 
Per me (e presumo anche per voi) i fatti del Bataclan sono stati un trauma in qualche maniera diretto, una realtà che generalmente tendiamo a considerare estranea e distante è sembrata tutto a un tratto più prossima e reale. In molti abbiamo pensato che quella volta eravamo davvero noi che potevamo finirci in mezzo, un malessere che si sarebbe protratto per qualche tempo ogni volta che si usciva per andare a un qualsivoglia concerto, sensazione che per fortuna poi è passata lasciando nuovamente spazio alla normalità. Perché life goes on, dicono l’ammericani. L’attentato di Parigi è stato anche uno di quei rari casi di cronaca in cui il nostro mondo, generalmente fatto di discussioni effimere e di nicchia, è entrato per alcune settimane al centro di analisi e dibattiti più ampi e complessi. Purtroppo dando anche esempio della generale pochezza di chi scrive in questo ambiente, gente così ambiziosa di visibilità che alla luce di fatti ben più gravi pensava fosse di qualche aiuto al dialogo passare giornate a fare le pulci a cronisti e commentatori sul fatto che non conoscessero i Kyuss o avessero utilizzato il termine scorretto per definire il genere suonato dal gruppo. Come se tutto questo avesse davvero un qualche importanza. Una roba pietosa, ci sarebbe da fare i nomi ma eviterò per carità di patria.

Se torniamo al 2004 invece troviamo solo il disco di esordio di un gruppo nato come spin off di un passatempo (il nome EODM infatti lo incontriamo per  la prima volta nel 1998 nel quarto volume delle Desert Sessions). La presenza di Josh Homme e altri personaggi legati alla scena di Palm Desert lo fa finire erroneamente incasellato le filone dello stoner rock, genere con cui in effetti ha poco a che spartire. Quello a cui gli Eagles del death metal realmente ambiscono è fare da colonna sonora ad un concorso di maglietta bagnata in uno spring break perenne, un mondo i cui unici valori da difendere sono il diritto/dovere delle femmine a twerkare come invasate e la fetta di lime nella bottiglia di Corona. I ricordi del disco sono ottimi e come pure la data del relativo tour al fu Zoobar di Testaccio (mio primo report in assoluto nelle vesti di giornalettista musicale), ricordi di un tempo in cui Jesse Hughes era solo un tizio roscio con i baffi in cerca di groupie e non qualcuno a cui fare domande sulla difesa dei valori dell’occidente. Un tempo in cui ai concerti c’era solo chi ci doveva essere e non una folla di “curiosi”  animati dallo stesso interesse di chi compra una mappa alla ricerca della villa di Sharon Tate o si aggira nella campagna toscana per trovare la casa di Pacciani. Tutta roba che oggi me ne fa tenere a debita distanza e sembra lontana anni luce da quello slogan del cazzeggio che era Peace, Love, Death Metal. (Stefano Greco)

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