Torino sotto la Luna Nera: PONTE DEL DIAVOLO – Fire Blades From The Tomb

Siamo arrivati al punto che per l’esordio di una band emergente italiana, in questo caso composta prevalentemente da musicisti esordienti (per lo meno a quanto ne so io), si scomoda e anzi si dà da fare un’etichetta internazionale, come già successo per Marthe e Tenebra. Stavolta, la Season of Mist. C’entra il valore della proposta, ovvio, ovvero il valore di Fire Blades From the Tomb dei Il Ponte del Diavolo, sempre nel caso in questione. C’entra però pure che, a farci attenzione, in giro, nei vicoli del web, si ricomincia a parlare di un suono italiano, prevalentemente doom ma non solo, con convincimento, interesse e soddisfazione. Io non sono ancora sicuro abbia senso parlare di scena, ma è un dato che sono ormai tante le proposte italiane che si stanno facendo notare nel settore. Più o meno da quando sono esplosi i Messa (a livello di esposizione, economicamente non so). Poi, essendo la nostra una nazione piccola piccola, succede che questi gruppi si conoscano tutti, condividano i palchi e spesso i musicisti. Per dire, qua ci troviamo Davide Straccione in una cover di The Weeping Song di Nick Cave & the Bad Seeds. Di musicisti in pianta stabile, invece, il nocciolo pare siano i due bassisti, gli unici due che su Metal Archives compaiono già in altre formazioni. Ovvero Abro, ora anche negli Inchiuvatu, e Laurus, che fra l’altro ha appena lasciato i Torinesi per restarsene in Veneto e sostituire stabilmente Sara Bianchin nei Bottomless. Nazione piccola piccola, dicevo. Comunque, se scena sarà per davvero, lo scopriremo dai raccolti successivi, per ora siamo solo alla prima fioritura.

C’è poi pure un secondo fattore da considerare. Di genere, se volete: a creare maggiori aspettative, fuori dai patrii confini, contribuisce anche la circostanza che a rappresentare una formazione italiana metal sia la voce di una donna. E questo senza che c’entri più la Cristina nazionale (no, non D’Avena), che appartiene alla generazione precedente e con questo sottobosco non credo abbia nulla in comune. Ne Il Ponte del Diavolo la strega/cantante risponde al nome d’arte di Erba del Diavolo, aka Elena Camusso, ed è piuttosto ovvio che sia proprio il suo canto a provvedere per buona parte al tono esotico/esoterico che avrà convinto l’etichetta francese ad investire sui torinesi.

È proprio quel canto la chiave di tutto. Il tono sardonico, teatrale, di una masca. Un tipo di canto che, nel metal, non è che sia proprio diffusissimo, in realtà, anzi. Più facile paragonarlo ad esempi (post) punk, anche celebri. Tanti tirano in ballo la reginetta Siouxsie. Io ho un’altra sensazione, meno internazionale, ma ci torno tra poco. Insomma, questo canto, unito a testi macabri spesso in italiano, rappresenta tanta parte di quello che differenzia il Ponte da mille altre proposte. La restante parte, almeno fino all’uscita di questo disco qui, era un suono casalingo, bassa fedeltà, indefinibile. Incasellabile come metal senza difficoltà, ma comunque sfuggente, sfumato, anarchico. Il gruppo si era fatto notare con una successione di tre singoli/Ep (noi li avevamo già incontrati ai tempi del secondo), che qualcuno forse catalogava pure come doom, ma senza troppa convinzione. In realtà c’era tanto punk, nell’attitudine, che per forza si ripercuoteva anche nel suono. Che quindi, cupo e macabro, era però pure variabile e liquido, come lo erano quello di alcune esperienze anarcoidi italiane, come Franti e Nerorgasmo. Oltre a Detriti e I Refuse It, uscendo dal piemontese. Ed arrivo quindi alla mia teoria: ne Il Ponte del Diavolo scorrerebbe quella linfa vitale lì e il metal sarebbe la forma che prende ora quella vitalità, a quarant’anni di distanza e dopo aver visto morire ogni sogno con la fine del gruppo di Luca Abort. Chiaro, sto parlando di una suggestione, non di somiglianze oggettive, riscontrabili.

Ecco, comunque, l’ho sparata grossa e come al solito mi rendo da solo il mestiere più complicato, quando potevo semplicemente accodarmi a tanti elogi e felicitazioni per un esordio de noantri, ma di successo. Però non resisto a quella tentazione di tracciare una linea che parte da questa ondata qui, in particolare oggi da Elena Camusso e compagni, e che a ritroso la collega ai Franti di Lalli, ai Not Moving di Lilith, fino a Fiamma Dallo Spirito. La matrilinearità libertaria di certo suono, in Italia. Se tutto questo coagula oggi in una forma metallica, è perché il metal, nonostante sia oggi prevalentemente arreso, mercificato e sclerotizzato, ma avrebbe ancora del potenziale sovversivo inespresso. Forse.

Lasciando da parte le presunte origini immaginarie del suono de Il Ponte del Diavolo, parliamo alla fine di questo Fire Blades From the Tomb, ovvero del loro primo album intero, ufficiale. Che, a dispetto di tutte le boiate che posso avervi raccontato io prima, ha un aspetto davvero internazionale. E se Erba del Diavolo mantiene le aspettative, e ha anzi modo, nei minuti che ha a disposizione, di sperimentare più possibilità, il suono invece cambia, o meglio “cresce”. La possibilità di investire su una produzione maggiore fa sì che oggi il Ponte del Diavolo suoni meno particolare e più internazionale. Avrà a che vedere con la Season of Mist o con il crescente credito che stanno avendo i torinesi tra le lande d’Oltralpe. Dove sì, è chiaro che l’italianità di un suono può essere d’attrattiva, ma c’è anche il rischio che non venga intesa e resti anzi fraintesa come provincialità. Quindi Fire Blades From the Tomb suona internazionale, più internazionale che gli albori. E black metal, più black metal che gli albori. Un topos come il tipico fraseggio semitonico darkthroniano viene così sfruttato, abbondantemente, ed il lugubre chaos anarchico dei tre Ep viene coagulato in un dark metal che potrebbe pure accasarsi presso la Prophecy, senza sorprese. È un male? Ovviamente no, anche se dalle parole spese prima avrete capito che io sarei stato più felice ancora per un’uscita ancora più carbonara. Così, se proprio volessi sparare una cazzata, tirerei fuori le bombe classiche tipo “erano meglio i primi demo” (l’anticamera del “si sono venduti già”). Quanti stronzi abbiamo sentito fare discorsi del genere. No: Fire Blades From the Tomb è un disco bello e soprattutto nella prima parte ha diversi momenti notevoli. Demone e Covenant sono potenti ed oscure, convincenti in toto. La Razza alterna black metal, post-hardcore ed una travisazione della forma canzone commerciale degli anni ’60. Nocturnal Veil pare costruita su un riff dei Bølzer (ehi, a proposito, KzR: quanto ancora metterai alla prova la nostra pazienza?). Poi però un clarinetto dimesso (Vittorio Sabelli dei Dawn of a Dark Age) mi fa tornare in mente quella commistione tra rock elettrico e strumentazione acustica (il sax, in quel caso) che caratterizzava anche certe (non) forme anarcoidi…

Insomma, ritorno al punto di partenza e mi interrogo su quello che è Il Ponte del Diavolo e su quello che vorrei io che fosse. Comunque, questo è solo un esordio, speriamo quindi solo un preludio di altro. Ed è un ottimo esordio. Si chiude con la cover dei Bad Seeds dei Nick Cave che menzionavo prima. Lì, pure per via del canto impostato e professionale di Straccione, che si affianca a quello della Camusso, il suono finisce per suonare più addomesticato, pastorizzato. Metal nell’accezione più prevedibile. Ma è una fisima mia, questa. Non mi date troppo retta: Fire Blade From the Tomb è un esordio forte, di cui i torinesi devono andar fieri. Personalità ne hanno, e sono sicuro che ne emergerà ancora di più nei prossimi capitoli. (Lorenzo Centini)

13 commenti

  • Mi fa molto piacere questa recensione. Il disco l’ho comprato venerdì nella tarda mattinata, dopo che avevo ascoltato i singoli nei giorni precedenti.
    Soldi spesi bene.
    Non è una novità il comparto orrorifico/esoterico di certo doom nostrano. Ma pochi, forse nessuno sino ad oggi, era riuscito a mescolarlo, in modo così fluido ed efficace, al black e al post-punk.
    Personalità, direi.
    Per me la produzione è ottima a livello strumentale. Ma non sento traccia del secondo, presunto, basso nelle dinamiche del disco. Non ci sono più tracce di basso. C’è n’è uno di basso che fa un gran lavoro tra l’altro.
    Unico appunto, con riserva. Mi spiego. La voce della bravissima e selvaggia Camusso (selvaggia perché si percepisce che non ha esperienza, soprattutto nel declamare e nello scandire le parole) è seppellita nel mixing. Le frequenze del cantato sono in linea con le frequenze (impostate sui bassi) degli strumenti. Ed è un errore secondo me.
    Ma le linee vocali sono decisamente belle e lei non è malata di protagonismo. Riesce anche a tacere.
    Inezie comunque.
    Complimenti vivissimi a loro, da uno che guarda sempre con un po’ di diffidenza alla cosiddetta “scena italiana”.

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    • Anch’io non capisco la produzione della voce. È sovrastata dal resto, e piena di eco disturbante, sembra venire da un’altra stanza. Tutto il resto invece è cristallino. Boh.

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    • Lorenzo Centini

      E invece il problema classico delle produzioni italiane è proprio l’opposto, voci nitide e alte a livello sanremese che vanificano le chitarre. In questo caso il gruppo resta esotico ma non provinciale.

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  • Articolo molto interessante! Soprattutto, per quanto riguarda le linee di continuità con altri generi e altre epoche… A volte, io sono più legato alla spontaneità delle demo… Ma qui il gruppo sta crescendo molto bene! Bravo Ale!

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  • Nella linea delle riflessioni sulla continuità di una forza vitale in forme e generi diversi, insieme a quelli già citati, inserirei anche gli “Antenati”, mitico gruppo hc-punk di Aosta dei primi anni novanta.

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    • Lorenzo Centini

      Non conoscevo, ricordano i Contropotere. Restando ad Aosta, quand’ero ragazzino i Kina erano un’istituzione giù da me.

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    • Grandi Antenati, ho ancora il demo. Conosciuti tramite Cristiano (Extrema), erano venuti in trasferta con noi Trentini a Monaco nell’ 87 o 88 per la data del tour Kreator Voivod, intervistando Mille e Away per la zine che gestiva uno di loro.

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  • Consiglio anche Gem dei Bosco Sacro, più Doom ambient ma validissimo

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  • Fiorella Mannaia

    Meno male adesso avro’ una nuova fissa,grande classe anche il video.Grazie

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