Il black album degli EVILE – The Unknown

Sono rimasto sorpreso nell’apprendere che gli Evile avevano ancora una volta mutato forma. Nel 2021 mi ero ritrovato al cospetto del loro Hell Unleashed, disperato tentativo di far virare l’intera faccenda non lontano dal metal estremo dopo otto anni di silenzio discografico, il tutto dopo aver sostituito Matt Drake alla voce con il malimpostato fratello. Ora Ol Drake, solo al timone degli Evile, ci riprova: stavolta – seppur senza eccellere – posso affermare che abbia fatto centro.

Il disco si chiama The Unknown ed è stato bollato all’unanimità come un qualcosa di prossimo al Black Album, di cui, in effetti, sono ripresentate la lentezza, la pesantezza di fondo e l’impostazione sonora. La differenza di budget e di produzione sono lampanti, del resto è un’altra epoca: ci accontentiamo che Chris Clancy, cantante dei Mutiny Within, abbia svolto un quantomeno dignitoso lavoro in sala di controllo. Batteria a parte, Ben Carter è davvero un ottimo interprete dello strumento ma le sue dinamiche sono state ancora una volta fatte a pezzi.

Scrissi che le linee vocali di Hell Unleashed erano proprio una merda. A due anni dalla patata bollente che Ol Drake si era ritrovato in mano, è un piacere constatare quanto sia maturato sotto ogni punto di vista, fissando la propria esecuzione a metà fra James Hetfield, il Russ Anderson dei dischi più criticati e a tratti Robb Flynn, nelle parti più introspettive e in quelle ai limiti del narrato. 

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I Metallica sono tornati ad essere il punto di riferimento, come all’epoca di Infected Nations e al contempo molto diversamente da Infected Nations. Deve essere stralunante, per un gruppo cresciuto come cover band dei Metallica, ritrovarsi a pianificare la scaletta degli album al modo di questi ultimi: la traccia numero quattro è anche in questo caso la ballatona, come per Fade to Black, Welcome Home (Sanitarium), One e The Unforgiven. Diversamente dal colosso dalla copertina nera la velocità è presente in due episodi, Sleepless Eyes e Balance of Time; in altri, come Out of Sight, la velocità è appena sostenuta, alla maniera di Holier than Thou o Through the Never. Avrei optato francamente per una scelta radicale, per motivi legati al missaggio e alla personalità del lavoro che in tal senso finisce per risentirne lievemente. La snervante lentezza degli episodi residui è dunque il piatto forte, il segno distintivo che rende l’ascolto di un ulteriore album degli Evile un qualcosa di non necessariamente banale.

Ol Drake spinge sull’interpretazione; i riff girano, il sentore degli anni Novanta è limitato soltanto da quella batteria un po’ troppo attuale. Con un pizzico di coraggio in più si potrebbe proseguire un filone che gli Armored Saint di Win Hands Down e del fantastico successore Punching the Sky cercarono d’inaugurare senza che nessuno facesse loro un adeguato eco. Il fatto è questo: gli Evile scrivono i pezzi grazie a un talentuoso chitarrista che con buona probabilità parte dai riff vincenti e li sviluppa sino a farne dei brani finiti. Difficilmente si giunge a un ritornello clamoroso e capace di entrare subito in testa, e in un contesto come quello del metal novantiano delle Only è come se mancasse del sale a un piatto di per sé buono. Si sente che Ol Drake è orfano del fratello, e, se in precedenza la si poteva additare come una sensazione, oggi è una certezza. Cambiare modalità di scrittura potrebbe rivelarsi in futuro una mossa vincente; inserire in formazione una seconda personalità avente tale compito, anche. I migliori episodi sono l’omonima, Monolith e At Mirror’s Speech, con una seconda metà del disco leggermente più lontana dal Black Album rispetto ai brani che lo inaugurano. Finalmente un disco godibile degli Evile, che non apprezzavo dai tempi di Enter the Grave. E ora, volendo seguire il percorso artistico dei Maestri, sotto con la fase hard rock southern, con lo Evile-Train, i capelli corti e le dichiarazioni del cazzo. (Marco Belardi)

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