Avere vent’anni: SHINING – III: Angst

È sempre un po’ complicato parlare di un personaggio controverso come Niklas Kvarforth, uno su cui in passato si è scritto di tutto e spesso per ragioni non legate alla musica: dalle note dichiarazioni sull’essere orgoglioso di come la gente si sia suicidata ascoltando i suoi dischi (sempre che sia vero) fino al famoso comunicato della band sulla sua morte e la scelta di tale Ghoul come suo sostituto, che poi si rivelerà essere Kvarfoth stesso nella famigerata data di Halmstad del 2007. Per fortuna che il buon Niklas tra una cazzata e l’altra ha avuto tempo anche di sfornare anche ottimi dischi, che per quanto mi riguarda almeno fino al sesto capitolo sono assolutamente inattaccabili. Questo III: Angst – Självdestruktivitetens emissarie si può inquadrare come l’ultimo album prettamente depressive black metal della band, visto che dal successivo verranno incorporati elementi più vicini al black‘n’roll con la presenza sempre più costante di assoli e addirittura chitarre acustiche.
Il disco in questione, come dicevo, si muove ancora su territori marcatamente depressive black metal, anche se, rispetto alla furia disperata di Within Deep Dark Chambers e all’andamento soffocante di Livets Ändhållplats, i tempi sono più cadenzati e i brani sono più snelli e un po’ più easy listening (sempre che si possa usare un termine del genere associato alla musica degli Shining). La produzione è perfetta e fa risaltare alla perfezione tutti gli strumenti, soprattutto la batteria dell’ospite d’eccezione Hellhammer, che in questo frangente praticamente sta fisso sul quattro/quarti ma riesce comunque sempre a impressionarti per la precisione e soprattutto la pulizia del suono. Le composizioni sono solo sei, tutte mediamente lunghissime, e non esagero nel dire che tra queste ci sono proprio alcuni manifesti del genere, come l’iniziale, molto katatonica, Mörda dig själv…, o ancora Submit to Self Destruction e la micidiale Fields of Faceless, con quel riff portante che non ti si leva dalla testa e che è un perfetto esempio di come debba suonare il depressive black.
Un lavoro che per certi versi conclude la prima fase di carriera degli Shining: la band di Kvarforth si manterrà su livelli egregi nei tre successivi, anche se ammetto che dal controverso Redefining Darkness del 2012 li ho persi totalmente di vista. (Michele Romani)